Cosa dice Save the Children
L’impatto
della povertà sulle aspirazioni dei giovani è stato il tema dell’evento
biennale IMPOSSIBILE 2024, organizzato da Save the Children sulle
politiche globali e nazionali in favore delle giovani generazioni.
Ma quali sono le urgenze che sollecitano l’assunzione di nuove
politiche pubbliche e di strategie educative attente al bisogno di
aprire spazi di partecipazione sociale attiva per le ragazze e i
ragazzi, a partire da quelli che vivono in contesti a maggior rischio di
marginalità? Su quale processo educativo investire per sostenere la loro
fiducia in un futuro diverso?
Lo
spazio di confronto aperto da IMPOSSIBILE 2024 ha preso le
mosse dai risultati di una ricerca condotta a livello nazionale da Save
the Children su un campione rappresentativo di ragazze e ragazze di
15-16 anni.
Attraverso
le loro risposte si è delineato un quadro dell’impatto che la condizione di
povertà materiale può avere sui percorsi educativi e di vita.
Dall’immagine
che emerge scaturiscono riflessioni e interrogativi piuttosto gravi, a livello
politico e sociale ma anche per la responsabilità che ciascuno di noi può avere
a livello individuale nella partecipazione al bene collettivo. Vediamo qualche
dato.
I
problemi in numeri
In
genere ci si aspetta che i giovani guardino al loro domani in modo positivo e
propositivo, animati da fiduciosa curiosità. I dati di Save the Children ci
dicono invece che le aspettative per il futuro dei giovani in
condizione di povertà sono molto diverse, in senso negativo, da quelle dei loro
coetanei più abbienti.
Il
17,9% dei ragazzi tra i 15 e 16 anni in povertà afferma che i genitori hanno
difficoltà nel sostenere le spese ordinarie (cibo, vestiti e bollette) e una
percentuale di poco inferiore asserisce che non sempre è possibile l’acquisto
di un paio di scarpe anche quando necessarie.
Le ragioni
economiche sono alla base del problema: quasi uno studente su quattro
tra gli intervistati inizia l’anno scolastico senza avere tutti i libri e il
materiale necessario; la disponibilità economica ridotta é anche la ragione che
impedisce al 24% di loro di partecipare alle gite scolastiche.
Alla
consapevolezza che questi ragazzi mostrano circa gli ostacoli che dovranno
affrontare nel loro accesso al mondo del lavoro per condizione di disagio
economico in cui vivono contribuisce anche vedere i genitori preoccupati per le
difficoltà che affrontano.
Spesso
per far fronte ai bisogni economici i giovani, di età anche inferiore a 16 anni
(18%), svolgono un’attività lavorativa.
È
quindi comprensibile come le aspirazioni e le aspettative concrete di avere un
lavoro ben retribuito per questi ragazzi sia molto minore rispetto ai coetanei
con status socioeconomico migliore.
Se
per questi ultimi lo scarto tra aspirazioni e aspettative
è
di 17,6 punti percentuali, per i più svantaggiati la forbice raggiunge i 56,4
punti percentuali, a testimoniare quanto la povertà possa generare frustrazione
e gravare negativamente sui percorsi di vita.
I dati,
benché preoccupanti, sono però la base di partenza per
sostenere un impegno congiunto delle diverse parti sociali e politiche per
individuare le risorse necessarie a migliorare l’esistente e rendere concreto
il motto di Eglantyne Jebb, la fondatrice di Save the Children, per
la quale
Non
c’è nessuna insita impossibilità nel salvare i bambini del mondo. È impossibile
solo se ci rifiutiamo di farlo.
La
scuola in prima linea
In
una prospettiva di cambiamento sociale non è possibile
delineare percorsi di reale mutamento senza guardare al capitale che i bambini
e i ragazzi costituiscono.
Sono
loro infatti il volano per lo sviluppo delle società e la cura con cui sappiamo
promuoverli un investimento sociale saggio e imprescindibile.
Il
primo ambiente in cui i giovani, a partire dalla prima infanzia, trovano spazi
di affermazione e di confronto è la scuola.
È
proprio qui che si possono cogliere con particolare evidenza le ripercussioni
dello status economico svantaggiato, che fa passare in secondo piano
l’istruzione con il conseguente aumento della dispersione scolastica, esplicita
per chi finisce con l’abbandonare gli studi e implicita per chi, pur non
abbandonando, riesce a fare ben poco rispetto alle proprie possibilità poiché
ostacolato da fattori economici e familiari.
La
scuola viene a essere perciò il presidio fondamentale in cui i temi relativi ai
giovani assumono visibilità e non possono essere ignorati.
Questo
sollecita ogni giorno la scuola stessa ad assumere azioni coerenti con i
bisogni – di apprendimento ma anche socio-relazionali – delle ragazze e dei
ragazzi attraverso un’opportuna cura della didattica.
Come
asserisce il Presidente dell’INVALSI Roberto Ricci, tra le numerose
personalità intervenute all’evento, è un impegno che investe tutto il sistema
scolastico a partire dalla primissima infanzia.
La
cura per l’apprendimento delle competenze di base è il primo strumento efficace
per la realizzazione di una vera inclusione, come lo è l’attenzione
verso il possesso delle competenze socio-emotive; le une e le
altre sono infatti i muri portanti su cui si costruisce ogni altro repertorio
di competenze.
La
stessa cultura alla partecipazione si costruisce fin da
piccoli e questa consapevolezza sollecita tutte le istituzioni a investire su
quell’insostituibile capitale umano che sono i bambini e i giovani attraverso
un autentico processo educativo e formativo equo, libero di condizionamenti
coartanti verso il futuro legati a condizioni di povertà.
Approfondimenti
- Domani (IM)POSSIBILI. Indagine nazionale su povertà
minorile e aspirazioni
- Povertà minorile e aspirazioni
Nessun commento:
Posta un commento