*La politica non è solo votare:
il fine giusto è dedicarsi al prossimo*
L'impegno costante, responsabile, competente nelle associazioni e nei vari ambiti di volontariato - qualsiasi ruolo si svolga- è un modo efficace per servire il prossimo. Votare è giusto e necessario, ma se il voto non è inserito in un cammino serve ben poco.
La vita associativa, se ben vissuta, è spazio fecondo di maturazione civica e di cittadinanza attiva.
E’
necessario educarci e educare ad essere cittadini attivi attraverso
l’assunzione personale e comunitaria delle responsabilità che la realtà ci
presenta (Dal Patto Educativo Agesci).
Cinquant’anni
fa, don Lorenzo Milani scriveva con gli alunni di Barbiana “Lettera a una
professoressa”. Barbiana era una
sperduta località del Mugello dove don Lorenzo aveva fondato una scuola per i
figli dei contadini e dei montanari, abbandonati, in vario modo, dalla scuola
ufficiale. Quella professoressa
rappresentava l’istituzione scolastica.
La
lettera è una denuncia e un invito: la denuncia di una scuola sbagliata e
l’invito a migliorarla con slancio autenticamente cristiano, pedagogico e
politico.
“Il
fine giusto è dedicarsi al prossimo. E in questo secolo come vuole amare se non
con la politica o col sindacato o con la scuola? Non è più il tempo delle
elemosine, ma delle scelte.” (Scuola di Barbiana, Lettera a una
professoressa, Libreria ed. Fiorentina, Firenze, 1967, p.94)
Il
fine giusto è dedicarsi al prossimo. Questo
è un buon punto di partenza per pensare alla politica. Consente subito di
liberare il campo da idee diffuse e fuorvianti.
La
politica è l’arte di “interessarsi" al prossimo, ma può e deve diventare
l’arte di “dedicarsi” al prossimo.
E’
facile capire la differenza.
Nel
primo caso è possibile che ci si” interessi” degli altri strumentalmente, nel
secondo no. Se noi ci dedichiamo a qualcosa, essa appare e rimane come una
finalità superiore, non manipolabile né sacrificabile all’interesse personale o
a qualche idolatrica idealità.
Nei
secoli passati, la politica era pensata come strumento di difesa
dell’individuo, timoroso della ferocia di quanti lo circondavano: doveva
garantire pace e incolumità, perché ognuno potesse dedicarsi al suo lavoro
senza rischi né incertezze e pensare tranquillamente ai propri interessi. Una
sorta di egoismo illuminato: la solidarietà era un problema privato, di
religione e di coscienza. L’interessarsi al prossimo era un fatto puramente
strumentale e la politica appariva come un male necessario.
A
questa idea di politica si aggiunge oggi il giudizio, ancora peggiore, molto
frequente:” La politica è una cosa sporca”, e, se non lo è, è comunque
l’attività di alcuni “impallinati”; “la politica la fanno i partiti”, “la
politica non è della gente…e tanto vale allora, fare qualche altra cosa”. Ad
esempio, il volontariato o l’impegno sociale.
Ma
la politica è proprio lì!
Perché
se il volontariato, se l’impegno sociale non diventano politici, rimangono
sempre marginali, incapaci di modificare la profonda struttura civica, una
sorta di giardino fiorito che adorna il palazzo dove si decide realmente del
destino dell’uomo e della società.
La
politica allora è l’azione permanente della comunità che costruisce il suo
cammino in un dato momento storico, una comunità che vive territorialmente il
suo destino e che persegue il suo bene comune, bene che riguarda tutti.
Questa
politica coincide con la dignità dell’uomo e con la democrazia: la qualità
della vita, la difesa dei diritti, la vivibilità, non spettano a qualcuno, ma
spettano a tutti.
E
tutti dobbiamo essere realmente coinvolti in quello che avviene nel nostro
territorio.
Se
viviamo la vera politica non possiamo allora mitizzare momenti come quello
delle elezioni. L’elezione è solo un momento della politica: le elezioni per
noi dovrebbero durare tutto l’anno, perché tutti dovremmo essere coinvolti nel
determinare il ritmo di vita della comunità. La tecnica dell’elezione, che può
richiedere scelte “strategiche” (per non far vincere questo o far vincere
quello), è giustificata se inserita nell’idealità e nell’impegno. Altrimenti è
un semplice dilemma machiavellico che denuncia tutta l’ipocrisia della prassi
cosiddetta democratica, usualmente concepita.
Allora
è nostro dovere “fare politica”, non delegando, ma impegnandosi in prima persona, sempre, con senso di responsabilità e di civismo.
Questo
significa dedicarsi al prossimo.
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