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di Teresa
Scacciante
Mentre
gli appartenenti al Gruppo di lavoro nominato alcuni mesi fa dal dicastero
dell’Istruzione sulla povertà educativa, tra cui Franco Lorenzoni, Marco
Rossi-Doria e Chiara Saraceno, lavorano da mesi per trovare le strategie
migliori per l’utilizzo dei fondi del Pnrr, in sinergia con scuole, enti
pubblici e del terzo settore italiano, è utile leggere – per accompagnare gli
aggiornamenti su tale attività così cruciale per il bene del nostro Paese – il
recente saggio del giornalista Giuseppe Di Fazio, consigliato da Rai per il
Sociale e pubblicato da Sicilian post.
Sfogliando
le pagine del libro Giovani invisibili si rimane colpiti anzitutto dai dati del
problema, che attanagliano in particolare le aree dell’Italia
centro-meridionale, in cui non solo la percentuale della dispersione scolastica
aumenta di parecchi punti, ma arriva a toccare percentuali del 25% in aree
metropolitane come Catania o altri capoluoghi in cui quasi un bambino su 4 non
frequenta il percorso di studi previsto dalle leggi. E considerando anche la
cosiddetta “dispersione implicita”, la percentuale sale complessivamente al
35%! È anche impressionante constatare che, nelle stesse aree metropolitane
popolose, poco più del 50% degli abitanti possiede la licenza media come titolo
massimo di studi, mentre nelle città più grandi del Centro-Nord la stessa
categoria si abbassa al 35%.
D’altro
canto, già l’inizio della carriera scolastica appare pregiudicata nelle regioni
del Sud Italia, in quanto meno del 10% degli istituti comprensivi è dotato di
mensa o riesce ad offrire questo servizio, che permetterebbe alle famiglie più
povere sia di poter garantire almeno un pasto completo al giorno per i propri
figli, sia di poter utilizzare un tempo-scuola più disteso per trovare
opportunità lavorative rispondenti alle richieste di lavoro più comuni.
Ma
nel saggio Giovani invisibili l’analisi della triste realtà del Meridione non è
fine a se stessa, vuole solo fornire il giusto contesto alle preziose storie di
lotta contro le povertà educative, da cui i protagonisti tentano un riscatto
con l’aiuto di imprevedibili incontri e aiuti che, giorno dopo giorno,
imprimono una direzione diversa alle loro esistenze. Prendono così vita dalle
pagine, l’uno dopo l’altro, i racconti dell’attività, a Brancaccio, di don Pino
Puglisi, tratteggiato attraverso il suo operato di educatore, dimesso e
impopolare, sempre lontano dai riflettori; la storia professionale e umana del
giudice Roberto Di Bella, che nel lungo servizio come presidente del Tribunale
dei minori di Reggio Calabria non si arrende allo status quo dei figli delle
famiglie della ’ndrangheta, e tra mille ostacoli riesce ad allontanarli dal
territorio di origine che li avrebbe lasciati retaggio della criminalità,
inventando il progetto “Liberi di scegliere”, che tutt’ora dà frutti
consistenti anche in altre realtà.
Ancora
colpisce la storia di redenzione di Davide Cerullo, miracolosamente uscito
dalle reti della droga e della camorra, il quale in più libri racconta
personalmente la sua storia, intrecciata con varie altre realtà di riscatto
sorte nei quartieri più difficili di Napoli, come ad esempio la “Casa Luisa” a
Forcella, il “Centro Gridas” e “L’albero delle storie” a Scampia: Davide
sottolinea come – in tutte le storie come la sua – sono degli incontri
preziosi, provvidenziali, a dare la forza, passo dopo passo, di far cambiare la
vita a chi non ha avuto l’opportunità di essere cresciuto in ambienti
accoglienti e moralmente sani.
Le
dinamiche descritte da Davide Cerullo risuonano anche nelle storie di tanti
giovani catanesi, incontrati dai volontari dell’associazione “Cappuccini”
dell’omonimo quartiere, presenti nel capoluogo etneo da ben 25 anni. Le decine
di volontari che hanno operato fin dai primi anni, tra le viuzze del quartiere
disagiato del centro storico catanese, hanno incontrato e accompagnato
centinaia di giovani nei loro anni più delicati e vulnerabili: li hanno
sostenuti aiutandoli negli studi, portando i pacchi della spesa nelle loro case
grazie alla collaborazione del Banco alimentare, aiutando i genitori a
districarsi tra burocrazia, problemi lavorativi, sfratti e tanto altro. Spesso
non hanno risolto i problemi più grossi, ma hanno offerto la loro personale
compagnia che ha saputo mantenere desta la speranza; un ragazzo ha definito
l’amicizia ricevuta dai volontari “tanto semplice da essere eccezionale”, e
anche dopo decenni l’impronta lasciata in molti è così sincera che non è
difficile ritrovarsi e sperimentare nuove forme di condivisione.
Come
il recentissimo progetto “Di bellezza si vive” (a cura dell’impresa sociale
ON), che sta coinvolgendo una quarantina di giovani di due quartieri disagiati
di Catania e che, pur non essendo raccontato nel volume Giovani invisibili, ne
rappresenta una continuazione concreta; resa possibile grazie alla dedizione,
alla cura per il bene comune e alla speranza nel riscatto dei più fragili:
qualità sempre vive nei volontari che condividono tempo, energie e sentimenti
con chi incontrano sui loro passi.
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