La conquista del Web ci riguarda
Confronto senza esclusione di colpi per mettere le mani sui mondi virtuali che segneranno il nostro futuro online
È necessario estendere
anche a questa forma di espressione dell’aggressività umana la nostra opzione
per la concordia e contro la sopraffazione. Per non restare prigionieri di
mondi creati da noi
Accanto ai violenti conflitti in corso, se ne combatte un altro senza spargimento di sangue ma con un enorme spiegamento di risorse tecnologiche ed economiche per il controllo della «nuova» Rete
- di ADRIANO FABRIS
Viviamo tempi di guerra.
C’è la guerra in Ucraina: una guerra vicina, situata all’interno dell’Europa. È
una guerra di stampo antico, finalizzata a distruggere fisicamente il nemico
con l’uso sempre più massiccio di armi. È una guerra crudele, che non risparmia
civili, innocenti, bambini. Ci sono poi le guerre dimenticate, altrettanto
crudeli, anche se non sono sotto l’attenzione dei media. Le ricorda infatti, il
più delle volte, solo questo giornale. Pensiamo a ciò che accade nello Yemen. Pensiamo
alla Siria e all’Iraq, dove il conflitto in certe regioni è tutt’altro che
concluso. Pensiamo al Tigrai. Pensiamo a ciò che avviene nel nord della
Nigeria. Ci sono ancora le cosiddette guerre a bassa intensità, in cui ogni
tanto le tensioni riesplodono provocando nuove vittime. Mi riferisco al
conflitto israelo-palestinese o a quello fra Pakistan e India per il Kashmir.
Ci sono infine le guerre minacciate. La minaccia riguarda un attacco armato,
fortunatamente non ancora compiuto. Ma non per questo le guerre potenziali non
fanno vittime. Uccidono con altri mezzi: bloccano l’economia, i commerci, gli
approvvigionamenti. È ciò che si sta verificando, ad esempio, fra Cina e
Taiwan. Tutte queste guerre hanno spesso motivi che vanno al di là dei semplici
interessi nazionali. In ogni caso le loro conseguenze si ripercuotono a livello
globale. Se la regola della violenza è che questa richiama sempre altra
violenza, in un’escalation che termina solo quando uno dei contendenti – o
entrambi – sono distrutti, la logica della guerra è che finiamo per pagarne le
conseguenze tutti quanti. Per questo, anche razionalmente, la ricerca della
pace è l’opzione più saggia e doverosa. T uttavia, accanto a queste guerre fin
troppo reali, vi è in corso negli ultimi decenni un’altra guerra, tuttora
aspramente combattuta. È una guerra subdola, perché non risulta immediatamente
visibile nella realtà concreta. È una guerra che non fa uso di armi
convenzionali e che non produce spargimenti di sangue, almeno in maniera
diretta. Ma non per questo è meno vicina a noi e meno crudele, visto che
anch’essa c’interessa tutti quanti. Sto parlando del conflitto per la conquista
e il controllo degli ambienti digitali. Non mi riferisco alle guerre combattute
in un videogioco: parlo proprio dell’instaurazione di quei nuovi ambienti di
vita che sono creati o aperti dagli sviluppi tecnologici (in particolare dalle
Ict, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione), e delle
conseguenze che tutto ciò ha comportato e comporta. Certo: chi ha dato
inizialmente la possibilità di vivere questi ambienti online, grazie alla rete,
non lo ha fatto per promuoverne un uso commerciale. Penso per esempio a Tim
Berners- Lee, l’inventore nel 1989 del World Wide Web. Ben presto, però, tale
opportunità è stata colta e ha prodotto la corsa allo sfruttamento del Web
concepito come un vero e proprio “nuovo mondo” da colonizzare, un’avventura
simile a quella che si verificò nel XVI secolo dopo la cosiddetta “scoperta”
dell’America. Anche in questo caso, come nelle vicende che hanno riguardato il
continente americano, lo scopo è stato anzitutto di accaparrarsi il controllo
delle rotte e dei territori che rendono possibile l’acquisizione delle nuove
risorse. Tutto ciò ha prodotto una serie di conflitti che hanno portato, in
ultimo, ad attribuire il monopolio di tale sfruttamento commerciale ad alcune
grandi compagnie “tech”. Si tratta, come sappiamo, soprattutto di Amazon,
Google, Facebook, Apple e Microsoft. Adesso è partita un’altra campagna di
conquista: si tratta della conquista di uno spazio diverso, anch’esso
inventato. Perché questa è l’intelligenza dell’operazione, conforme alla logica
del marketing. Anzitutto si riconosce un bisogno, poi s’inventa una dimensione
all’interno della quale può venire soddisfatto, successivamente si pongono le
condizioni per tale soddisfacimento, ottenuto attraverso una contropartita
commerciale o commercializzabile, e infine si cerca di alimentare e
consolidare, attraverso campagne di pubblicità mirate, quel desiderio che ci
spinge ad accedere, sempre e di nuovo, all’ambiente online: quello che è stato
appunto inventato e di cui si ha il monopolio. Mark Zuckerberg, dopo aver
compiuto con successo quest’operazione inventando e gestendo un social network
come Facebook, ora – dato che la produttività di questa rete sociale sembra
esaurita, anche a seguito di alcuni scandali riguardanti lo sfruttamento
improprio di dati personali – compie un’operazione analoga promuovendo e
cercando di monopolizzare un altro ambiente: quello che viene chiamato
“metaverso”. Come viene detto sul sito di Meta – la nuova azienda di
Zuckerberg –, il “metaverso” è «un set di spazi virtuali nei quali puoi creare
ed esplorare, insieme ad altre persone che non stanno nel tuo stesso spazio
fisico. Sarai in grado di frequentare amici, lavorare, giocare, imparare
acquistare, creare, e molto di più. Non si tratta necessariamente di passare
più tempo online: si tratta di far sì che il tempo che tu passi online abbia
più senso». Ciò viene compiuto permettendo di accedere ad ambienti virtuali,
mediante per esempio dispositivi come visori e sensori, allo scopo di vivere
non tanto in una realtà aumentata quanto in una realtà davvero “altra”. Non è
propriamente di una novità: nel sito viene detto chiaramente. È piuttosto un
modo di sviluppare e rendere condiviso un determinato uso della rete. Qui in
effetti sta il punto. Nuovo non è l’uso del Web, ma – come nel caso di Facebook
– è il modo che ci viene offerto di collocarci in esso. Nell’Arte della guerra
di Sun Tzu, il famoso trattato cinese, è scritto che la strategia migliore per
vincere le battaglie è quella che raggiunge l’obiettivo senza dover combattere.
Un modo per ottenere questo risultato è far sì che la battaglia si combatta sul
proprio terreno. Il modo più facile per far sì che un terreno sia il proprio è
quello di crearselo. È ciò che cerca di fare Meta. Ma ci sono altri competitor
che da tempo si sono annunciati e che stanno seguendo strategie diverse per
conquistare gli ambienti virtuali. Uno è Microsoft. Microsoft non punta, per la
commercializzazione della realtà virtuale, sulla sua assoluta novità, ma sulla
continuità rispetto ad altre esperienze che abbiamo fatto usando le
piattaforme, soprattutto nel corso della pandemia. Viene sviluppata una
versione di Teams, ad esempio, in cui saranno i nostri avatar a interagire,
così come, nella versione attualmente diffusa, interagiamo attraverso le nostre
immagini in video. Un’altra strategia è quella di Google, che cerca di fare
come la Gran Bretagna nei confronti di chi voleva uscire dal Mediterraneo per
andare nell’Atlantico: ha acquisito il possesso dello Stretto di Gibilterra.
Google cerca di avere il primato nella produzione dei visori che danno accesso
al metaverso. N on possiamo sapere come andrà a finire questa guerra. Non
sappiamo, soprattutto, se il metaverso, una volta conquistato, avrà davvero
valore. Altri progetti in passato – analoghi, ma meno tecnologicamente
sviluppati, come Second Life – dopo un po’ sono stati abbandonati. In ogni
caso, anche se non porta evidenti spargimenti di sangue, anche se si cercherà
di vincerla prima di combatterla, questa è pur sempre una guerra: una guerra di
conquista per ottenere il controllo di ciò che prima non c’era e che ora
diventa accessibile a fronte di una contropartita commerciale o
commercializzabile. È una guerra che si combatte sia offline che online, e che
in ogni caso, come tutte le guerre, avrà ripercussioni forti nella nostra vita
quotidiana. Ecco perché è necessario estendere anche a questo caso, anche a
questa diversa forma di espressione dell’aggressività umana, la nostra opzione
per la pace. Altrimenti ci troveremo a non avere scampo: neppure nei mondi
virtuali da noi creati.
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