venerdì 1 aprile 2022

L'IDENTITA' DELL'INVIDIA


CAPIRE L'INVIDIA

 

-         di MAURIZIO SCHOEPFLIN

 Per comprendere l’intento che ha spinto Gualtiero Lorini a scrivere il non facile volumetto Elogio dell’invidia (Carocci, pagine 104, euro 12) può essere opportuno partire dalla seguente domanda: perché consideriamo positivamente l’atteggiamento dell’allievo che ammira il maestro e cerca di emularlo, mentre, al contrario, lo consideriamo negativamente se ne 'invidia' la bravura? Che cosa distingue in maniera così netta i due stati d’animo, tanto da richiedere di essere giudicati in maniera così radicalmente diversa? Il lavoro di Lorini, che si muove tra metafisica, fenomenologia e antropologia, si presenta proprio con lo scopo di indagare a fondo l’identità dell’invidia, in modo da non confonderla con altre inclinazioni quali la gelosia, la disapprovazione o la malevolenza.

La prima fondamentale acquisizione che l’autore raggiunge consiste nella certezza che l’invidia «si sottrae a una definizione univoca in virtù della sua natura dinamica», che «deriva dalla frizione tra l’autorappresentazione che ciascuno inevitabilmente opera nel momento in cui è cosciente di sé e la realtà esterna con la quale non sempre tale autorappresentazione si trova in perfetta armonia. Da questo disaccordo scaturiscono quelle manifestazioni, rivolte solitamente alle persone più vicine, che vengono rubricate come 'invidia' e che in realtà sono solo reazioni allo scontro fra la rappresentazione del proprio mondo e l’esperienza di quello reale».

A Lorini, ricercatore in Filosofia teoretica presso la Cattolica di Milano, preme collocarsi nella posizione dell’indagatore che non è interessato a emettere giudizi morali, ma a comprendere le strutture esistenziali che precedono le azioni e i comportamenti. Dopo che, però, sant’Agostino ha definito l’invidia «il peccato diabolico per eccellenza» e san Gregorio Magno ha affermato che «dall’invidia nascono l’odio, la maldicenza, la calunnia, la gioia causata dalla sventura del prossimo e il dispiacere causato dalla sua fortuna», è ancora possibile tessere un elogio di questo sentimento?

A questo proposito, in un’intervista rilasciata al sito Letture.org, Lorini afferma che il titolo del suo saggio deve essere inteso in senso provocatorio, in quanto ciò che egli prende in esame non è il vizio «condannato unanimemente sul piano etico», bensì «quella disposizione eticamente neutra, ma antropologicamente strutturante, che ci porta a diventare noi stessi in virtù di un ineludibile confronto con l’altro». Convinto che sia necessario risemantizzare il termine invidia, l’autore sostiene: «Io cerco di sottrarlo all’ambito etico che valuta intenzioni e azioni, e lo colloco in una dimensione esistenziale, preriflessiva, matrice di condotte che vanno ben al di là di quelle che l’etica condanna come viziose».

 www.avvenire.it

 

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