venerdì 27 novembre 2020

GIOVANI E NOVECENTO. UN BILANCIO AMARO

  Se il Novecento delle grandi speranze è stato un 'secolo breve', ancor più breve è stato 'il secolo dei giovani', quando ci fu addirittura chi teorizzò come 'nuova classe' quella che era soltanto una classe d’età. I giovani sono stati protagonisti del secolo per un tempo molto breve e non privo di contraddizioni,

La Prima guerra mondiale durò dal 1914 – ma in Italia dal 1915 – al 1918, e ha 'fatto', secondo i conteggi ufficiali, circa dieci milioni di morti; si è trattato quasi soltanto di soldati al fronte, in massima parte giovani sotto i trent’anni di età. È stata combattuta nelle trincee, lontano dalle città, e ha coinvolto solo le truppe belligeranti, molto raramente i civili. La Seconda ne ha 'fatti' (o 'totalizzati', nel linguaggio delle statistiche) circa sessanta milioni, perché è stata combattuta ricorrendo anche a una nuova meraviglia del progresso tecnico, l’aeroplano. La gran parte dei morti fu provocata dai bombardamenti aerei, alcuni terribili come quello su Dresda, e due in particolare effettuati sperimentando per la prima volta in guerra e su popolazioni civili la bomba detta 'atomica', sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Altre enormi novità tecnologiche hanno caratterizzato la 'macchina' dello sterminio messa a punto dal Genio tedesco nei campi di concentramento di Auschwitz e altri, al cui confronto non sfigurarono i modi più 'classici' delle deportazioni di massa in una federazione che osava dirsi socialista o comunista ma che rinnovò e perfezionò su immensa scala i modi del 'dispotismo orientale'. Fu una gara, quella dello sterminio, che in campo 'democratico', cioè capitalista, si affidò alla più sciagurata delle invenzioni del secolo, la scissione dell’atomo, sognata dagli scienziati come portatrice di grandi benefici per l’umanità e usata quasi soltanto come bomba, la più micidiale mai immaginata e creata. Gli incauti ed entusiasti studiosi che hanno osato chiamare il Novecento 'il secolo dei giovani' non pensavano certamente al numero dei giovani morti nelle due guerre (e nelle tante altre che lo hanno insanguinato, col pretesto di questa o quella ideologia) ma alle nuove forme di protagonismo giovanile che si affermarono in reazione alle due 'grandi' guerre, e ai modi di neutralizzarle messi in atto nel mondo occidentale capitalista dopo la Seconda, con la diffusione o imposizione dei modelli della American way of life, infine vincenti. Il dominio parte sempre dai giovani, si serve dei giovani, manda al massacro i giovani per primi, e questo il Novecento ha saputo ben ricordarcelo, insegnarcelo.

Se il Novecento delle grandi speranze è stato un 'secolo breve', ancor più breve è stato 'il secolo dei giovani', quando ci fu addirittura chi teorizzò come 'nuova classe' quella che era soltanto una classe d’età. I giovani sono stati protagonisti del secolo per un tempo molto breve e non privo di contraddizioni, lo sono stati almeno tra la metà degli anni cinquanta e la fine dei settanta, quando il malaugurato 'ritorno a Lenin' ha soffocato, di fronte alla loro crisi di crescita, tutte le novità. Ma lo sono stati. E hanno perfino avuto teorici all’altezza delle aspirazioni di una o due generazioni, in grado di analizzare e spiegare i mutamenti sociali, i nuovi assetti del capitale, le nuove servitù della cultura. Ci sono stati dei grandi 'padri' come Paul Goodman e Herbert Marcuse o in Italia fratelli maggiori come i 'piacentini' e Elvio Fachinelli, e ci sono stati fratelli veri 'fratelli' come Guy Debord, male ascoltati e mal capiti o non studiati e subito del tutto dimenticati da chi è venuto dopo. 'Corri, ragazzo, ché il vecchio mondo vuole riacciuffarti' recitava un manifesto del Sessantotto francese, con l’immagine di un giovane in fuga inseguito dalle vecchie immagini del potere: poliziotti, politici, mamme, preti e quant’altro... ma il timore della récupération fu avvertito dovunque solo da pochi, dai migliori, nel movimento degli studenti. E il resto, se non è silenzio – ché ancora in qualche luogo qualche giovane sogna e pensa un mondo migliore – è comunque un’esile non-accettazione che si scontra con l’accettazione del mondo così come lo impongono i nuovi poteri, l’antico e sempre nuovo capitalismo con le sue invenzioni (il suo 'progresso') e con la sua acutissima attenzione (nata dalla riflessione sui pericoli corsi...) per le tecnologie della comunicazione. È sopraggiunto il tempo della 'cultura del narcisismo' – vedi i saggi di Christopher Lasch, il più acuto interprete di una sconfitta storica forse definitiva e dei suoi esiti nel ripiegamento dei giovani sul proprio io – che non è un modo di liberare alcunché ma una forma di castrazione volontaria che procura consolazioni superficiali, costruite sul vuoto, nell’accettazione del mondo come gli altri te lo impongono in cambio di palliativi peggio che imbecilli, peggio che farseschi.

La cultura del narcisismo e l’attenzione spasmodica del capitale alle forme della comunicazione e del controllo hanno compiuto l’opera. Grazie al fallimento delle rivoluzioni e delle rivolte, delle speranze di una e più generazioni di poter allo stesso tempo 'cambiare il mondo' e 'cambiare la vita', come era nel sogno dei surrealisti, come era nel sogno dell’incontro tra il messaggio di Marx e quello di Rimbaud.

Altro che 'nuova classe sociale'! I giovani sembrano essere perfino tra i principali strumenti, oggi, del potere distruttivo del capitale. La sola speranza che può contrastare questa constatazione è quella di nuove rivolte a partire da minoranze coscienti e determinate, che possano incontrare su un terreno di lotta comune gli oppressi di tutto il mondo; ed essa può nascere oggi solo da una coscienza ecologica che esige bensì altrettanta coscienza del funzionamento del potere e dei modi in cui esso inganna, corrompe e distrugge. Che tante Greta nascano e lottino, cercando e trovando nuove alleanze! Ma che stiano attente a non farsi ingannare dai loro nemici e dai più subdoli tra loro che sono proprio la cultura, il consumo e la produzione culturale come droghe che addormentano la coscienza. In altre parole, la scuola e soprattutto l’università come oggi sono, e la schiera infinita dei loro funzionari servili


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