AL VIA GLI ESAMI
DI MATURITA
- di Giuseppe Savagnone*
Mercoledi 16
giugno, alle 8,30, cominciano gli esami di maturità per 540
mila studenti delle scuole superiori. Un appuntamento che,
ogni anno, coinvolge una larga fascia della popolazione, ben al di là del
numero, già consistente, dei candidati. Basti pensare ai docenti e in
genere al personale scolastico, ma soprattutto alle famiglie, che accompagnano i
figli, in questo tradizionale momento di stress, cercando di
sostenerli come possono.
Perché gli
esami di Stato rappresentano comunque, da sempre, uno snodo delicato
della vita di un ragazzo e di una ragazza. Uno di quei “riti di
passaggio” che segnano il compimento di una stagione e l’inizio
di un’altra. In questo caso, la conclusione del ciclo degli
studi scolastici e l’ingresso all’Università o nel mondo del lavoro. Dopo,
non si sarà più “ragazzi”, come ancora si è definiti finché si
frequenta la scuola. Non è un caso che, malgrado l’espressione
sia stata da tempo abolita, si continui a parlare di “esami
di maturità”.
Si capisce perché nell’immaginario
collettivo, e soprattutto nella percezione degli studenti, questa prova
continui a mantenere la sua carica
intimidatoria. Perfino nell’edizione di quest’anno, che, a causa del
Covid, li vede ridimensionati sia perché ridotti alla
sola prova orale, sia perché collocati nel contesto
di una valutazione globale della carriera scolastica del
candidato che ne riduce sensibilmente il peso (40 punti su cento,
rispetto ai 60 attribuiti ai risultati degli ultimi tre anni di
studi).
Abbassare
l’asticella
Una scelta
ragionevole, che tiene conto, giustamente, delle particolari condizioni in
cui si è svolto l’anno scolastico, in seguito alla minaccia della
pandemia. È ormai abbastanza noto che la dad (didattica a
distanza), se da un lato apre delle nuove opportunità, di
cui i docenti e gli alunni più attrezzati possono
avvalersi, dall’altro, nella maggior parte dei casi, incide per lo
più negativamente sulla qualità delrapporto educativo e dell’attività
didattica.
Anche
perché evidenzia le disparità di condizione economica, sociale e
culturale degli studenti. Altro è seguire le lezioni potendo
contare su un ambiente confortevole, raccolto, avendo a propria
esclusiva disposizione strumenti adeguati, col sostegno di una
famiglia attenta ai problemi scolastici del figlio, dove si parla un
buon italiano e si è abituati a leggere, altro farlo da locali angusti e
rumorosi, coi fratellini più piccoli che piangono e quelli
più grandi che pressano per avere anch’essi l’uso dell’unico computer di
casa, in una famiglia alle prese con altri problemi e sprovvista di basi
culturali.
Era necessario, perciò, per
evitare una selezione che avrebbe
risentito pesantemente (e comunque più pesantemente del
solito) di fattori estranei al merito
strettamente scolastico, abbassare l’asticella della
prova. Da qui la rinunzia allo scritto, che normalmente dà luogo
a una prima scrematura dei candidati. Certo, con la
conseguenza, già verificatisi l’anno scorso, di un indebolimento anche
della selezione culturale e di una inflazione di voti alti. Ma, ripeto,
è un prezzo che bisognava pagare.
Né credo sarà
un fattore selettivo in senso socio-economico – come denunziato
in termini eccessivamente drammatici, da Ernesto Galli Della Loggia – l’introduzione di
un curriculum in cui verranno segnalate le
diverse esperienze ed attività, anche extra-scolastiche, dei
candidati. Un modo di far conoscere e valorizzare degli
aspetti della loro personalità che la scuola spesso stenta ad
intercettare e che non necessariamente sono collegati alle loro
disponibilità economiche.
Opportuna
la novità, rispetto agli esami di maturità dell’anno
scorso, rappresentata dal ripristino
dell’ammissione all’esame da parte del consiglio di
classe. Le difficoltà legate alla pandemia non possono far perdere di
vista la differenza elementare tra chi in qualche modo, durante l’anno, si
è impegnato e chi invece ha approfittato della
situazione per non far nulla. E i professori del consiglio
di classe sono nella condizione di valutare questa differenza.
Una
ipotesi su cui riflettere bene
All’interno
dei limiti dell’emergenza, andrebbe tutto bene se il
ministro Patrizio Bianchi non avesse enfatizzato la nuova formula
come una svolta epocale. «È una bellissima forma di esame, è un esame
di Stato che riguarda la maturità delle persone, non se hai una competenza o
l’altra, ma se hai la capacità, la testa per poter affrontare degli argomenti
complessi. Quindi non è un esame ridotto ma un esame che ha una sua
identità». Da qui anche l’ipotesi, avanzata dal ministro, che da
ora in poi questa formula possa essere adottata anche in
regime di normalità.
È una
prospettiva su cui vale la pena di riflettere con calma.
L’abolizione definitiva delle prove scritte tradizionali – il tema
di italiano e la prova di indirizzo, differenziata secondo il tipo di studi
– sarebbe compensata dalla
composizione di un «elaborato» che ogni studente nell’arco
di un mese dovrebbe preparare, con la guida di un docente,
su un argomento.
Secondo
quello che già quest’anno si sta facendo. «Quest’anno c’è molta
più enfasi sull’elaborato, più attenzione per svolgere un pensiero
complesso». Ma non c’è il rischio che tutto si riduca
alla riproposizione della vecchia “tesina”, che già in
passato aveva costituito il punto di partenza per la discussione
orale? «Non voglio sentir parlare di tesina», ripete Bianchi: si
tratta di un elaborato «ampio e personalizzato».
A cercare il
pelo nell’uovo, anche la tesina richiesta, in passato, per l’esame
di Stato – l’esame “di maturità”! – avrebbe dovuto
essere espressione di «un pensiero complesso, ampio e
personalizzato». Sulla carta. Sappiamo tutti com’è finita.
Ma qui
– si obietterà – c’è un docente che ne segue la
stesura. In verità, anche per la tesina gli studenti si facevano
guidare da un professore. E questo, però, non evitava
la banalizzazione…
Lo
spartito e l’orchestra
Forse
bisogna stare a vedere come andranno le
cose. L’esperienza insegna che, nella vita della scuola, le
aspirazioni di un ministro non sempre hanno una corrispondenza
nella realtà dei fatti. Le ordinanze, le circolari sono
ovviamente normative, ma come lo è lo spartito di una sinfonia
rispetto alla sua esecuzione. Chi suona la musica
è l’orchestra. E l’orchestra, in questo caso, sono i professori
e gli studenti.
Ricordo ancora
quando una delle tante riforme degli esami di Stato previde che i
candidati avrebbero scelto una materia fra quattro indicate dal ministero,
mentre la commissione esaminatrice avrebbe assegnato la
seconda. Il risultato fu che il membro interno (allora
unico) faceva sapere alla commissione qual era la seconda materia
richiesta dallo studente, che nel novantanove per cento dei
casi veniva accontentato. Alla fine, bastava studiare due materie
per fare un eccellente esame “di maturità”.
Non si
può escludere che la musica, questa volta, sia più fedele
allo spartito. Ma si dovrà monitorare attentamente lo svolgimento di
questa nuova formula. Tanto più che la rinunzia alle
prove scritte tradizionali non è indolore. Pensare di poterle
sostituire con la discussione orale – sia pure basata
sull’«elaborato» – è illusorio. Le logiche della
scrittura e quelle dell’oralità sono molto diverse. E l’esperienza
dice che persone capaci di incantare l’uditorio con le loro brillanti parole,
quando sono costrette a costruire un discorso per
iscritto ne sono del tutto incapaci. Senza contare le offese
all’ortografia, alla grammatica e alla sintassi, mascherate dall’oralità, ma
pesantemente evidenziate quando si scrive.
In
Italia l’Università denunzia il fatto che gli studenti
usciti dalla scuola non sanno scrivere. L’ipotesi del nuovo esame di
Stato avanzata (ancora con cautela) dal ministro Bianchi non
sembra una buona risposta a questo problema. Certo, non è il tema di
maturità che può risolverlo. Ma l’esame che conclude
il ciclo di studi ha soprattutto la funzione di orientare gli sforzi
della scuola negli anni precedenti. Il venir meno delle
prove scritte tradizionali rischierebbe di indebolire la
tensione a educare i giovani ad esprimersi correttamente
quando scrivono.
Una
proposta più drastica
Qualcuno,
più drasticamente, ha proposto in passato – e c’è chi lo
fa anche nel presente – l’abolizione di quello che,
malgrado le riforme, torna ogni volta ad apparire un “rito
inutile”. Si avrebbe la tentazione di dar loro
ragione. Se non fosse che, in questa società informe, dove le
stagioni della vita si confondono – bambini invecchiati, adulti
infantili… – , dove gli unici riti che
rimangono sacri è quello legati alla logica
del consumismo – lo shopping, la
movida… – , forse ha ancora un valore questo segnale di
passaggio dall’adolescenza all’età adulta, con la conseguente sfida a viverlo
bene. Perché alla fine, la vera maturità non è nell’esito di una
prova ormai scolorita, ma nel modo in cui chi deve sostenerla vi si
prepara e sa affrontarla, quale che sia la sua formula, con nervi
saldi e consapevolezza. E questo mantiene il suo valore.
*Pastorale
Cultura Diocesi Palermo
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