mercoledì 7 febbraio 2018

STANLEY JAKI E L'EDUCAZIONE SCIENTIFICA


L’opera del grande storico della scienza Stanley Jaki offre preziose indicazioni per chi è impegnato oggi nell’educazione scientifica.
Una rilettura dei suoi testi principali e di alcuni contributi specifici consente di evidenziare cinque punti cruciali: la prospettiva storica, l’insegnamento per esempi, il valore delle parole, il realismo degli oggetti, le radici cristiane della scienza.
 di Beniamino Danese

Alcuni anni fa, quando gli scrissi di essere un fisico che lavorava nella science education, Padre Jaki mi diede un consiglio riassunto in una sola riga: «La scienza non è filosofia e la filosofia non è scienza» [1].
È una riga paradossale, che non ha mancato di causare discussioni senza fine ogni volta che l’ho difesa con amici e colleghi.
Come minimo, non ha mai mancato di «svegliare la mente», che è lo scopo dei paradossi [2].
Padre Jaki, infatti, aveva una predilezione per questo tipo di frasi brevi e incisive.  Così, per esempio, su scienza e religione: «Non osi unire l’uomo, ciò che Dio ha separato».
Ma  torniamo  a  scienza  e  filosofia.  Padre Jaki ne ha discusso a più riprese. Ci interessa in questa breve introduzione approfondire questa sua frase che costituisce in una certa misura la sintesi del nostro intervento. «Diversamente dalla verità scientifica, sempre  nitida  perché  ristretta,  la  verità  filosofica  è  sempre  ampia perché comprensiva, e non importa quanto particolare, e anche quanto  banale,  ciò  possa  apparire.  Essendo  comprensiva, la verità filosofica chiede di abbracciarla, ossia di amarla e di trasformarla in saggezza, che è un’attitudine che non permette parcellizzazioni» [3].
Come  la  filosofia  anche  coloro  che  insegnano,  e  coloro  che  imparano,  sono  abbracciati e a loro volta abbracciano una disciplina. E così l’insegnare (e l’imparare) hanno a che fare con l’amore. «Questo insegnante mi ha fatto amare (o odiare) la materia» è, infatti, una frase molto comune sulla bocca degli studenti.
Padre Jaki diceva che, come l’infermiere, insegnare non è solo una professione, è una dedizione.  Una cura.   Ma   insegnare   e   imparare   hanno   anche   dei   limiti.
«L’interesse per una qualsiasi cosa seria non può essere insegnato in modo consequenziale, se mai può essere insegnato. E poiché l’interesse è una forma di amore, anche la filosofia, in  quanto  è  amore  della  saggezza,  non  è  completamente  insegnabile» [4].
Con questo paradosso possiamo inquadrare la riflessione sull’educazione scientifica.
L’opera del grande storico della scienza Stanley Jaki offre preziose indicazioni per chi è impegnato oggi nell’educazione scientifica.
Una rilettura dei suoi testi principali e di alcuni contributi specifici consente di evidenziare cinque punti cruciali: la prospettiva storica, l’insegnamento per esempi, il valore delle parole, il realismo degli oggetti, le radici cristiane della scienza.
Insegnare e imparare, anche per le discipline scientifiche, ha a che fare con l’amore. E ha dei limiti.
Tratterò in breve cinque punti tratti dai cinquant’anni di studi e lavori di Padre Jaki [5], cinque punti che hanno una speciale rilevanza per l’educazione in generale e l’educazione scientifica in particolare.
La prospettiva della storia della scienza Negli anni Sessanta del secolo scorso Padre Jaki forgiava la sua prima opera importante, The Relevance of Physics [6]. Padre Jaki lavorò per guarire quel malessere culturale che è la divisione fra le due culture (le lettere e le scienze), secondo il titolo di un noto saggio di Charles Percy Snow (1905 -1980).

E allora ci si può domandare: ma come? Da un lato l’affermazione «la scienza non è filosofia», dall’altro il lamento sulla «divisione in due culture»? Come si affronta questo paradosso? ...


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