Matteo
è un ebreo che scrive per una comunità in prevalenza giudeo-cristiana. E, alla
maniera semitica, apre il suo racconto con la catena generazionale per cui, di
padre in figlio, fa discendere Gesù da Davide e, ancor prima, da Abramo. È
scelta teologica che fonda la novità di Cristo nelle promesse antiche sino,
però, a una frattura; sino a “Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato
Gesù, chiamato Cristo” (1,1-16). Qui la discesa di Dio nella realtà carnale
della sua creazione scompagina l’ordine regolare delle cose, originando da
subito dolorosi tagli … di spada.
Una
anonima coppia di promessi sposi viene umanamente sconvolta da una gravidanza
misteriosa, da subito sigillata dall’evangelista come opera del santo Spirito
del Signore. Sono piccoli che hanno incrociato nella loro storia il Dio che,
dopo aver parlato tante volte nel tempo per mezzo dei profeti, intende ora
rivelarsi definitivamente alla sua creatura come piena parola d’amore. Matteo
tace sull’avventura spirituale di Maria. Sarà poi Luca a raccontarla.
Qui
la vergine è pura ricettività già visitata dal mistero e, situata in stato di
umiliazione, non pronunzia parola. L’attenzione si concentra invece sull’uomo,
il capofamiglia, anch’egli drammaticamente spiazzato dalla situazione e a cui
non si prospettano che due alternative: la denunzia pubblica della fidanzata,
con le tristi conseguenze connesse, o un improbabile ripudio privato. Giuseppe
è giusto, e di una giustizia che già supera la sottomissione alla legge e la
scavalca per l’affetto verso la donna con cui ha sognato una famiglia normale.
Ma, pienamente inserito in una cultura e in una religione patriarcale che dalle
origini considera la moglie proprietà esclusiva del marito, non può arrivare a
considerare altra soluzione. Pur sentendo nella profondità del cuore che può
fidarsi di Maria, come accettare che quella terra di Dio sia la sua donna? E
come accogliere il misterioso figlio non suo nella sua vita?
Come
all’epoca dei patriarchi, al silenzioso Giuseppe tormentato dal dubbio appare
in sogno un angelo del Signore, la prima di altre volte. Il messaggio sarà
sempre lo stesso: Prendi con te Maria e il figlio. Questa volta l’angelo,
comunicazione di Dio, gli dona di superare se stesso e la propria giustizia per
andare oltre. Lo incoraggia in ciò che è il suo vero desiderio: “non temere di
prendere con te Maria”. Lo sbalza in un’altra dimensione, come in una nuova
creazione: l’umano che supera l’attaccamento al sé, al proprio contesto, alle
proprie precomprensioni e diventa capace di prendere con sé, di fare suo il progetto
divino e aprirsi a una relazione nuova, su prospettive che hanno il respiro di
Dio. Figlio di Davide, lo ha infatti interpellato l’angelo, rivelandogli la sua
identità profonda, vocazione ad un ruolo nella storia della salvezza:
traghettare nel futuro la speranza messianica, antica di generazioni infinite,
che abbraccia ora con respiro universale tutte le genti in attesa di
liberazione dall’insignificanza. Suo compito quello di inserire, da padre
legale, il figlio dello Spirito nella sua famiglia davidica, depositaria delle
promesse.
Nella
catena generazionale Matteo ha appena fatto discendere Gesù da Abramo. Giuseppe
risale infatti a quell’Abramo dalla fede nuda che ha abbandonato il suo futuro
nelle mani di Dio, accettando la propria mancanza, lasciando spazio a Dio e
divenendo “padre di molti popoli”. Allo stesso abbandono è chiamato anche lui,
che ora lascia il suo io ben strutturato, accetta il mistero che abita la sua
sposa e adora il nome che dovrà imporre al figlio: Jehoshù’a, cioè: Dio salva,
salva il suo popolo dal fossato della distanza e lo fa vicino nel perdono. Lo
salva dal non-senso di una vita ripiegata su se stessa, e lo riempie di
pienezza vitale. Ha compreso che in quel debole nascituro la forza salvifica
del Signore diventerà liberazione dai peccati, passaggio dall’angoscia
soffocante dell’io all’“allargamento” del cuore. E a questo progetto allora
aderisce, prestando tutto il suo essere uomo, sorpassato da un’evenienza altra,
che pure ha bisogno di lui.
Tutto
ciò prende avvio dalle Scritture. L’angelo è suggestiva allusione alla
meditazione delle profezie che Giuseppe rumina nel suo travaglio. Le Scritture
registrano il tracciato dell’umanità in cammino verso Dio e della Divinità che
si china sull’umanità, sino ad inserirsi in essa, incarnandosi: Emmanuel, Dio
con noi. È il nome che tornerà, sigillo del Risorto, alla fine del vangelo per
dare inizio al tempo della Chiesa. Per questo è qui, fin dalla genesi di Gesù,
anzi da prima, da un’attesa lontana, quando Isaia aveva profetizzato alla casa
di Davide: “il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e
partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is 7,10-14). Grande atto di fede:
una giovane sposa reale ha indicato alla ormai indegna casa di Davide che non i
potenti della terra, non altre divinità potranno essere salvezza per il popolo
angosciato dalla pressione dei nemici, ma solo il Signore che è e sarà sempre
il “Dio con noi”. I due nomi ora si identificano: Dio salva perché Dio con noi.
Vivere
della Parola, respirare il respiro di Dio attraverso lo Spirito che soffia
dalle Scritture significa per tutti accettare di perdersi, di deragliare dalle
proprie certezze, poi di lasciarsi plasmare dal suo progetto che vuole figli
co-protagonisti responsabili, che assumano il rischio della libertà. Nessun evento
di salvezza può darsi senza la corresponsabilità degli uomini. E di uomini che
al fuoco delle scritture compiano un cammino di umanizzazione, perché alla
compiutezza dell’umano lì si trova Dio.
Prendere
con sé, sposare per sempre l’evento di grazia che ha investito un giorno la
propria vita nell’incontro con Gesù; lasciarlo crescere nel silenzio interiore,
portarlo con sé per le terre e per il tempo, nella storia, custodendolo ed
essendone custodito: la vocazione di Giuseppe è la stessa di ogni credente.
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