mercoledì 5 febbraio 2020

CURRICOLO DI STORIA, CURRICOLO DELLA MEMORIA

LA MEMORIA PERDUTA

Quello che stupisce è che ci si meravigli che il passaggio dal Curricolo di Storia al Curricolo della Memoria non sempre avvenga e che l’incedere idealista dello “svolgimento della storia che cade nel tempo” non sia poi il modo migliore perché tutti imparino cosa è accaduto realmente nel passato, perché è accaduto e – soprattutto – cosa sarebbe meglio non accadesse più

di Stefano Stefanel

In questi ultimi tempi c’è stata un’accelerazione imprevista di comportamenti e segnali molto preoccupanti per chi ritiene che alcune verità storiche non possano più essere revisionate, ma debbano soltanto essere insegnate dentro un sistema naturale di civiltà. Molto spesso, poi, accade che dal mondo accademico o scolastico si chieda di smetterla con competenze e curricoli e si torni a conoscenze e programmi. E così i segnali peggiori vengono ignorati e abbandonati al loro destino senza avere il coraggio di andare a vedere da che cosa nasce tutta questa confusione revisionistica su un passato piuttosto recente e incontrovertibile (Shoah, leggi razziali, alleanza tra Hitler e Mussolini, antisemitismo). Il vecchio mantra di destra “ma Mussolini ha fatto anche cose buone” si è evoluto, purtroppo, in un incredibile crescendo di follie interpretative.
​Assemblo alcuni fatti a cui ci stiamo assuefacendo e che sono il sintomo di un mutamento drammaticamente duraturo: l’insegnante che in classe denigra Liliana Segre dicendo che cerca solo visibilità; il Comune che attribuisce la cittadinanza onoraria alla Segre, deportata in quanto ebrea, e poi dedica una via ad Almirante che aveva firmato il “Manifesto della razza” che ha dato origine alle leggi razziali che hanno fatto deportare la Segre;un aumento di italiani (qualcuno ha detto che sono il 15%) che nega la Shoah; il saluto fascista ridiventato segno di distinzione; le scritte antisemite sulle porte delle case degli ebrei e sui muti delle città; il richiamo al comunismo ogni volta che si nomina il nazismo; il negazionismo su quanto avvenuto nei campi di sterminio. Questo museo degli orrori è sì un museo “storico” degli orrori, ma questo uso distorto della storia sta entrando nelle coscienze civiche, alterando il concetto stesso di civismo che non può svilupparsi dentro queste atroci falsità.
​La prima banalità che balza agli occhi è che tutte queste persone hanno frequentato le scuole pubbliche italiane in cui si insegna, ormai da più di 70, anni in forma antifascista e antirazzista la storia del Novecento. La scuola esecra, ma non si interroga sul perché ciò sia potuto accadere. La scuola italiana ritiene che la storia si possa insegnare solo in forma storicistica, cioè seguendo nella linea del tempo l’evolversi degli avvenimenti, dei motivi e delle cause. E così la storia del Novecento si affronta in terza media (secondaria di primo grado) e in quinta superiore (secondaria di secondo grado), cioè senza alcuna connessione temporale e verticale (a 14 anni si studia la storia del Novecento e a 15 quella dei greci e dei romani: e tutto questo viene ancora definito logico!), per poi ritornare a studiare il Novecento a 18-19 anni. La battaglia sul compito di italiano con una traccia di tipo storico continua a pretendere questa partizione di tipo storico. E la drammatica assenza di verticalità tra i due ciclo oltre a produrre dispersione, ora mi pare produca anche revisionismo.
​Tutto questo cozza contro la banale considerazione che l’evoluzione mentale dei ragazzi si evolve più velocemente di un tempo, anche perché messi a contatto con un mare di nozioni e notizie rinvenibili senza sforzo critico sul web. Così può accadere (ed è accaduto) che uno studente faccia un approfondito studio sul passato di suo bisnonno, internato nei campi di concentramento dai nazisti durante la seconda guerra mondiale e contemporaneamente sia segretario provinciale di Casa Pound. Non comprendo perché a nessuno venga in mente che l’insegnamento storicistico della storia (parto dall’uomo di Neanderthal e arrivo fino a Donald Trump se ci arrivo) sia un elemento cardine della trasformazione del sapere storico in un semplice film del passato dove tutto si confonde (la Resistenza come Lepanto, la Prima Guerra Mondiale come la Guerra dei Trent’anni). E tutto questo avvenga mentre cresce e si sviluppa il pensiero dello studente e le ideologie si sedimentano e non sono più scalfibili. Così accade che se un ragazzo tra i 15 e i 18 anni diventa fascista poi quando in quinta superiore studia la storia non la collega con la propria ideologia e può al tempo stesso studiare la Shoah e negarla. Cosa avvenga poi dopo la fine degli studi è sotto gli occhi di tutti. Quando un’ideologia si è formata – qualunque essa sia – è difficile da scalfire: e a 18 anni è quasi sempre già formata.
​A me pare evidente che la storia del Novecento si dovrebbe studiare in prima superiore legandosi strettamente a quanto si è studiato in terza media, prima cioè che la corsa verso l’ideologia (sia di destra sia di sinistra, sia antifascista sia revisionista) inizi la sua “fuga” irreversibile. Ma poiché questa evidenza appare solo a me e l’Università, gli intellettuali, il Miur, gli studiosi si battono per la Storia del Novecento in terza media e in quinta superiore assistendo, attoniti, al drammatico fatto per cui tutti quelli che hanno studiato nelle scuole pubbliche italiane (statali e private) possano acquisire quanto appreso o negarlo senza poterci fare nulla. Credo che allora l’unica cosa da fare sia quella di separare il Curricolo di Storia (che continuerà nel suo incedere storicista, per cui se prima non si è studiata la Seconda Guerra d’Indipendenza non si può studiare la Seconda Guerra Mondiale) dal Curricolo della Memoria. Erodoto non la pensava così e neppure Tito Livio, ma allora la Storia raccontava i vincitori e non aveva altre pretese. Noi invece abbiamo attuato una pedagogia scolastica dell’antifascismo per sentirci poi dire da troppi che Fascismo e Antifascismo sono solo due modi di pensare e tutti e due leciti. 
​Potrebbe allora accadere che il Curricolo di Storia produca le amate conoscenze dentro i sempre applauditi Programmi, il Curricolo della Memoria, invece, sviluppi dentro un suo percorso, slegato da rigide partiture annuali, le Competenze Civiche e di Cittadinanza dove i valori del sapere e quelli del civismo coincidono. Prima che sia troppo tardi spero nello sdoppiamento, così che il Curricolo della Memoria aiuti dai dieci ai vent’anni lo studente a crescere culturalmente su quanto si deve ricordare mentre sviluppa la sua ideologia, fermando così alcune derive revisioniste, antisemite e naziste che si annidano nella mente dei giovani mentre sono spinti a studiare il Medioevo e il Rinascimento.
​Il passato non è ordinato e il suo ordine dentro in manuali è spesso spaventoso, con la storia della Cina ridotta a  qualche paragrafo e quella dell’Islam messa qua e là. Ma questo Novecento messo alla fine dei due cicli, senza neppure farsi sfiorare dal dubbio che il passaggio dallo studio della Seconda Guerra Mondiale (terza media) allo studio di Pericle (prima superiore) non sia così logico come sembra in uno sviluppo armonico e organico dell’apprendimento. 
​Quello che stupisce è, allora, che ci si stupisca che il passaggio dal Curricolo di Storia al Curricolo della Memoria non sempre avvenga e che l’incedere idealista dello “svolgimento della storia che cade nel tempo” non sia poi il modo migliore perché tutti imparino cosa è accaduto realmente nel passato, perché è accaduto e – soprattutto – cosa sarebbe meglio non accadesse più.



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