- di Enzo Bianchi
Sempre di più siamo
consapevoli che il sapere oggi, soprattutto con l’introduzione
dell’intelligenza artificiale, viene colpito nelle sue due principali funzioni:
la ricerca intesa come quaerere e la trasmissione della conoscenza. Lo
profetizzava già Jean François Lyotard: “L’antico principio secondo il quale
l’acquisizione del sapere è inscindibile dalla formazione dello spirito, e
anche della personalità, cade e cadrà sempre più in disuso … Il sapere viene e
verrà prodotto per essere venduto e consumato e dunque per essere scambiato: si
arriverà alla mercificazione del sapere”. Dunque l’insegnamento tenderà a
formare competenze piuttosto che ideali e il rapporto con il sapere non sarà
più una via di realizzazione della vita interiore, di umanizzazione.
Perciò è necessario e
urgente riflettere nuovamente sull’insegnare innanzitutto in senso assoluto,
senza specificazione dell’oggetto, per mettere in evidenza che l’insegnamento è
un atto generato da una persona che ha l’exousía, l’autorevolezza e la
conseguente umiltà di mettersi in relazione. Siccome ha imparato, le è stato
insegnato, è capace di insegnare. Insegnare significa infatti “fare segno”, e
designa il compito di persone che si fanno portatori, datori e trasmettitori di
segni. L’insegnante consegna simboli, chiavi ermeneutiche per interpretare la
realtà e la vita: è colui che indica l’orizzonte, che “orienta”, cioè aiuta a
trovare l’“oriente”, il luogo dove sorge la luce della vita.
È significativo che
secondo la tradizione sapienziale ebraica la sapienza è l’arte del dirigere la
vita e il sapiente è colui che sa anche orientare gli altri nella vita, colui
che tiene saldamente il timone della nave e la sa guidare. Sta scritto nel
Libro dei Proverbi: “L’uomo sapiente tiene saldo il timone” e in Qohelet
“Esperto della vita, avrà parole che saranno come pungoli”, cioè stimoli
all’indagare, alla ricerca, all’approfondimento, e “pietre miliari”, cioè
indicatori di via e argini che segnalano il limite. Suggeriscono, non
impongono, non tacciono ma non gridano. Come l’oracolo di Delfi, attraverso il
quale il dio non dice, non nasconde: fa segno (Eraclito f. 93).
Sì, gli insegnanti sono
chiamati a porre gesti espressivi, gesti carichi di senso e di vita, dove il
senso va inteso nella sua triplice accezione di significato, di direzione, di
sapore, senza tralasciare la dimensione estetica nella quale la bellezza dà
compiutezza a ogni senso.
In questa relazione tra
l’insegnante e il destinatario dell’insegnamento, chiamato discepolo, il
rapporto non deve certo essere asettico perché l’insegnare ha sempre un aspetto
generante e come ogni generazione deve essere intriso di “eros”, di capacità
affettiva.
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