Non si può morire di lavoro. Il bene di tutti dipende dalla comunità e dal saper vivere insieme. La Costituzione può rappresentare la bussola valoriale per tutti, cattolici e laici.
Il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, prende carta e penna e in occasione della Festa della Repubblica del 2 giugno scrive una lettera a chi lavora nelle istituzioni, in cui invita anche a impegnarsi per non sprecare l'occasione del Pnrr. Pubblichiamo il testo integrale.
Lettera a chi lavora nelle istituzioni della nostra casa comune
Carissima, carissimo,
la vedo operare negli
uffici, nelle aule di università o delle scuole, in quelle di un tribunale o
nelle stanze dove si difende la sicurezza delle persone, nelle corsie dove si
cura o nel front office di uno sportello, nei laboratori o lungo le strade per
renderle belle e proprie, nei ministeri o in qualche ufficio isolato dove non
la nota nessuno, nei cortili delle caserme o nei bracci delle carceri. In
realtà tanta parte del suo lavoro non si vede, ma questa lettera è per lei. Non
ci conosciamo, ma il suo servizio è vicino alla mia vita e a quella dei miei
amici, delle persone che mi sono care, di tanti, di tutti, miei e nostri
compagni di viaggio e per questo ho pensato di scriverle. Istintivamente le
darei del tu, ma preferisco cominciare dal Lei per il grande rispetto che
nutro.
Una mistica francese
di nome Madeleine Delbrêl, una donna molto religiosa e molto impegnata nel
sociale, una donna pienamente evangelica, a proposito delle persone come lei
diceva che sono il filo che tiene insieme il vestito: la capacità
del sarto è proprio quella di non farlo vedere, ma il filo è necessario perché
i pezzi di stoffa si reggano insieme. Così è il suo lavoro, prezioso per le
istituzioni della nostra casa comune, e ogni pezzo è importante. Davvero. La
qualità della mia vita dipende anche da lei: per questo per prima cosa la
ringrazio, perché il suo lavoro, tante volte ignorato, contiene e richiede
generosità e competenza. Non si capisce mai abbastanza, infatti, quanto impegno
richiedono “le cose di tutti”. Purtroppo, i problemi, i ritardi, le disfunzioni
e anche alcune persone che non compiono il proprio dovere, finiscono per non
fare apprezzare la generosità, la competenza, lo zelo che lei e tanti mettono
nel loro lavoro. D’ora in avanti mi piacerebbe chiamare il suo impegno non
“lavoro” ma “servizio”. E che anche lei lo pensasse così. Sì, lo so che è
lavoro e a volte anche duro, sottovalutato.
Eppure, proprio grazie
alla passione e alle lotte di tante persone, anche di chi ci ha preceduto, oggi
godiamo di molte protezioni e garanzie che costituiscono quello che chiamiamo
welfare, che poi è il modo in cui la vita quotidiana diventa bella e non
antipatica, troppo dura da vivere.
Non possiamo più
accettare, eppure succede ancora spesso, che il luogo di lavoro, che è per la
vita, diventi invece un luogo di morte. Penso a chi non è più tornato a casa e
alle mogli e ai figli che hanno aspettato invano i propri cari: questo mi
addolora, mi commuove e non smetto di chiedere condizioni di lavoro sicure per
tutti. Vorrei un lavoro sempre meno a tempo determinato e più stabile, perché
deve contenere il futuro: per sé, per la propria famiglia, per i figli, sì, per
i figli. Senza figli per chi si lavora? Vorrei, poi, che il lavoro fosse lavoro
buono e non solo lavoro: che i lavoratori fossero sempre messi in regola e che
nessuno sia più sfruttato. Possibile che oggi c’è ancora chi non mette le
persone in regola?
Il suo lavoro è un
servizio per il bene della comunità, composta da tante persone. Così tante che
non possiamo sapere chi siano, eppure sono la mia e la nostra comunità. Sì,
perché siamo una comunità, dobbiamo tornare a esserlo. So che la sua vita
personale è da un’altra parte e che saggiamente distingue l’ambito privato da
quello pubblico, ma è anche vero che quello che fa per tutti, con il suo
lavoro, è una parte importante della sua vita, le dà soddisfazioni e
preoccupazioni, la coinvolge umanamente. Questo non è sbagliato. Anzi. È più
faticoso e difficile tenere distinti questi ambiti, come tanti sollecitano a
fare, perché la vita è una ed è bene che sia unita. È bello aiutare la nostra
casa comune specie quando, come in questi mesi, capiamo quanto è importante,
decisiva ma anche fragile, colpita da pandemie, da rischi terribili nei quali come
sempre i più penalizzati sono i più deboli.
Ogni lavoro è un
servizio alla casa comune ed è importante. Spesso sono proprio quelli meno
considerati e giudicati “umili” che servono di più. Tutti servono! Ogni lavoro
deve essere fatto con umiltà per poter essere contenti, perché serva agli altri
e non alla nostra affermazione personale.
Gli umili non si
stancano, non diventano presuntuosi e intrattabili, non agiscono per interesse
ma perché quello che svolgono è un servizio e lo fanno anche quando non conviene,
ma conviene a chi lo ha chiesto. Si adoperano pure quando nessuno si ricorderà
della scelta, solo perché è giusto farlo. E questo resta, aiuta, risponde,
protegge.
Quando il lavoro (che
resta lavoro) lo viviamo anche come impegno di servizio – nello spirito
dell’art. 4 della nostra Costituzione repubblicana, che chiede a tutti di
svolgere un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o
spirituale della società – ne sappiamo comprendere l’importanza non per quello
che rende o per il successo che porta, ma per il valore che ha in se stesso.
Più fa bene agli altri, il lavoro, più fa bene a noi. Anche quando non si vede.
Il contrario crea un clima faticoso, competizioni inutili, sensi di rivalsa. Se
facciamo bene o male qualcosa, nel tempo richiesto o no, questo ha sempre delle
conseguenze.
I diritti sono cose
importanti. I nostri e quelli degli altri. Se è un diritto deve essere
garantito sempre e non come concessione o un piacere. Non vanno create
scorciatoie. Troppi pensano che per ottenere quello che è di diritto si debba avere un “santo in paradiso” a cui raccomandarsi, magari irridendo il merito di
ciascuno, i tempi, le precedenze, l’onestà insomma. Si può vincere una volta e
si è sconfitti tutte le altre. Crescono così la disillusione, il malcontento,
la convinzione che nessuno si occupa di me e che ognuno si deve arrangiare da
solo.
Se è un diritto, è
fondamentale garantirlo e questo fa sentire sicuri tutti. Ma dipende da ognuno.
È davvero importante sapere di poter contare sulle istituzioni, e quindi su di
lei, sulla sua competenza, sulla sua onestà, sulla sicurezza che ci sarà una
risposta e che sarà la migliore. Lei sa bene quante persone sono sole e come da
soli ci si sente perduti, incompresi, arrabbiati e a volte si finisce per prendersela
con il primo davanti, magari il povero malcapitato che fa una domanda allo
sportello.
Il nostro è il tempo
in cui realizzare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il cosiddetto
PNRR, e mi sembra possa essere un’occasione davvero decisiva dopo tanta
sofferenza. Durante la pandemia abbiamo capito quanto le fragilità, le
contraddizioni, le ingiustizie siano anche conseguenze dei rimandi, dei
ritardi, delle furbizie, delle cose che bisognava fare e che non sono state
fatte, degli interessi privati che hanno condizionato le scelte politiche. Le
cause di tante sofferenze sono a volte così lontane che non le sappiamo più
riconoscere.
Quello che vorrei
dirle è che abbiamo un grande motivo per dare oggi tutti il massimo, ed è per
questo che ho pensato di scriverle! Vorrei che anche nessuno di noi perdesse
questa opportunità. Sappiamo che c’è bisogno di istituzioni che funzionino
bene, anzi meglio, ed è per questo che dobbiamo cercare la qualità. A questo
proposito Dietrich Bonhoeffer, un credente che si poneva domande profonde sul
valore di ogni persona e dello stare insieme, morto martire per mano dei
nazisti, uno di quelli che ci hanno lasciato in eredità l’Europa, ha scritto
che bisogna passare “dalla fretta alla calma e al silenzio, dalla dispersione
al raccoglimento, dalla sensazione alla riflessione, dal virtuosismo all’arte,
dallo snobismo alla modestia, dall’esagerazione alla misura”. Potremmo
aggiungere: dal dilettantismo alla competenza, da una felicità individualistica
al sacrificio per stare bene tutti, dall’apparenza alla sostanza, dal successo
rapido e a tutti i costi alla costruzione paziente di quello che dura, dal fare
le cose per il consenso, per il potere, per la considerazione e il ruolo
sociale, a farle solo perché sono giuste, insieme e non da soli, anche se lì
per lì sembra convenire meno. Ho visto grandi energie che si sono perse cercando
a tutti i costi il proprio tornaconto, e il grande spreco di ogni giorno per
burocrazie senza volto, perché non è mai responsabilità di qualcuno.
Gli uomini e le donne
che hanno scritto la Costituzione avevano davvero sofferto molto, toccato con
mano quanto l’umanità può restare sfigurata dalla violenza, ma avevano visto
anche come uomini e donne sanno resistere e persino agire da eroi quando è necessario
per aiutare qualcuno che soffre. Hanno perciò voluto lasciarci, nella
Costituzione, un progetto per costruire e mantenere una società più umana e
umanizzante, per riuscire a evitare le sofferenze da loro vissute. E tutto
comincia dal sapere fare unità. Mi sento chiamato a questo come cristiano,
credo si possa realizzare prima di tutto con l’aiuto di Cristo, e ritengo che
tutti, senza distinzioni, possiamo impegnarci a fare unità seguendo il progetto
indicato dalla Costituzione.
Ogni generazione è
chiamata a riappropriarsi dei valori e delle virtù costituzionali. Per questo
dobbiamo tutti ritrovare il senso dei limiti. È un concetto che nella
Costituzione, proprio perché preoccupata di rendere concreti i diritti, ricorre
ben diciassette volte, a cominciare ad esempio dall’art. 1, dove lo si ricorda
a ciascun cittadino, come membro del popolo sovrano, ma anche nell’art. 42
quando, nel riconoscere e garantire la nostra proprietà privata, si preoccupa
di aggiungere che possono servire limiti per assicurarne la funzione sociale. E
poi in molte altre occasioni in cui si affermano diritti indicando, però, dei
limiti per il rispetto dei doveri verso gli altri e la società. Perché solo
così i diritti di ciascuno possono divenire reali e concreti.
Al centro della Costituzione
c’è la persona, cioè, sempre, un “noi”. Non c’è l’individuo. E’ una concezione
evangelica che è stata fatta propria da tutti i padri costituenti, di ogni
credo e sensibilità politica.
Non dimentichiamo che
siamo chiamati a portare insieme i pesi della vita, tanto che l’art. 2 ci
ricorda che la solidarietà è addirittura un dovere inderogabile. Dobbiamo
riuscire a valorizzare l’impegno, che non è reale senza la necessaria
continuità e serietà (nello spirito dell’art. 4). La Costituzione si preoccupa
non solo di garantire le nostre “libertà da” possibili abusi degli altri e dei
potenti e la “libertà di” agire per fare tutto ciò che ci sembra giusto, ma si
sforza di indicare il senso di tutto ciò, sottolineando la bellezza di usare
delle “libertà per” uno scopo sociale. Si tratta di costruire un mondo di
relazioni personali. Per questo la Costituzione evidenzia – già nell’art. 2, ma
poi in molti altri – che è nei gruppi sociali (la famiglia, le associazioni di
tutti i generi e tipi, le comunità religiose, isindacati, le organizzazioni
politiche democraticamente organizzate, il lavoro, i corpi intermedi) che si
sviluppa la nostra personalità, e non invece con una vita sterilmente
individualistica ed egocentrica.
Il bene comune deve
essere il nostro orizzonte. Lo ricorda anche la Dottrina sociale della Chiesa.
Dobbiamo rendere migliore il mondo con il progresso materiale e spirituale
della società (art. 4, ma anche, per esempio, art. 41 dove si parla di
indirizzare la libertà di impresa a fini sociali). Penso che tutti dobbiamo
fare il meglio che possiamo con responsabilità. È proprio vero: non ci si può
salvare da soli! Gli uomini e le donne hanno aspetti di incredibile grandezza
perché, tra l’altro, riescono a organizzarsi tutti insieme e affrontare le difficoltà
della vita più efficacemente.
Ecco, è per tutto
questo che vorrei che le nostre istituzioni funzionassero bene e fossero sempre
di più connesse all’Europa, pensandosi per il mondo intero. Siamo tutti legati.
Non serve pensare qualcosa a breve termine, dobbiamo guardare il futuro per
uscire davvero dalle pandemie imparando la lezione, scegliendo di essere
migliori, non uguali, perché significherebbe essere peggiori. Non ci serve solo
un bonus, ma ci occorre il bonum, il bene per tutti! Abbiamo sempre
pensato che le risorse non ci sarebbero mancate e così abbiamo sciupato tanto,
pensiamo a come facciamo con l’acqua… Purtroppo, ci accorgiamo dell’importanza
delle cose e delle conseguenze dei nostri atteggiamenti solo quando queste
vengono a mancare. Oggi più che mai urge essere davvero seri perché dobbiamo
lasciare qualcosa a chi verrà dopo, soprattutto l’esempio, la speranza, il
gusto di fare bene il proprio lavoro e di farlo per il bene di tutti.
Le nostre istituzioni
ora si trovano ad affrontare, in poco tempo, tanti progetti. Ma quella che
chiamiamo istituzione è fatta di persone ed è proprio lei, e quanti si
impegnano in mille modi per rendere umana e bella la nostra casa comune.
Concludo col dirle che
scrivo a lei ma scrivo in fondo a me stesso e a tutti noi cittadini, piccoli e
grandi, e soprattutto a chi ha responsabilità perché abbiamo bisogno di tutti.
La guerra attuale ci ha ricordato che la pace non è mai scontata e che bisogna
lavorare tanto perché la nostra casa accolga tutti, insegni a stare insieme tra
diversi, lotti contro ogni ingiustizia, difenda i diritti di ciascuno e non
metta mai in discussione la persona. Anche per questo non dobbiamo avere paura
di accogliere, di dare fiducia, la possibilità di mettersi alla prova, di
ascoltare con l’orecchio del cuore. Aggiustiamo quello che non funziona. Ogni
persona è preziosa se è amata e difesa, come ogni persona è insignificante
quando questo sguardo manca. È necessario che tutti coloro che lavorano nelle e
per le istituzioni ritrovino un vero spirito di servizio e nel contempo che
tutti i cittadini sappiano ritrovare e ricostruire la loro fiducia verso le
istituzioni.
Mi piace pensare che
in un momento così importante tutti ce la mettiamo davvero tutta, senza
distinzione. Don Primo Mazzolari, che amava Dio e le persone, la Chiesa e la
città concreta degli uomini e delle donne, scrisse: “Ci impegniamo noi e non
gli altri … né chi sta in alto, né chi sta in basso, senza pretendere che gli
altri si impegnino … senza giudicare chi non si impegna … il mondo si muove se
noi ci muoviamo, si muta se noi mutiamo, si fa nuovo se qualcuno si fa nuova
creatura … la primavera comincia con il primo fiore, la notte con la prima
stella, il fiume con la prima goccia d’acqua, l’amore col primo impegno …”.
Rinnoviamo allora il patto sancito dalla nostra Costituzione, compartecipiamo a
questo impegno accanto a tutti gli altri, e per me che sono cristiano aggiungo
un motivo in più: chi cerca il cielo incontra la terra, chi fa le cose per Dio
le fa per tutti e senza interessi. Il mio auspicio è che siamo tutti compagni
di viaggio in questa bellissima strada che è la vita, e che le pandemie, le
vicende tristi della nostra storia contemporanea, possano diventare motivo per
realizzare quello che ognuno in realtà cerca: un mondo unito dove siamo
Fratelli tutti.
Grazie di tutto
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