Un milione e duecentomila italiani delusi
La decisione della Corte Costituzionale
di dichiarare «inammissibile» il referendum riguardante l’omicidio del
consenziente ha sollevato vibranti e indignate proteste in una parte
consistente dell’opinione pubblica. Non solo per il merito della
questione, genericamente ascritta al delicato tema dell’eutanasia, ma
perché dietro la richiesta di referendum c’erano un milione e
duecentomila italiani che l’avevano sottoscritta. Una mobilitazione
popolare senza precedenti, che lasciava prevedere il probabile risultato
positivo dell’iniziativa referendaria.
A entrambi questi aspetti si è riferito
il radicale Marco Cappato, responsabile dell’Associazione Luca Coscioni,
promotrice dell’iniziativa referendaria: «È una brutta notizia per la
democrazia e per chi sta soffrendo, ma andremo comunque avanti con altri
strumenti, come la disobbedienza civile, i ricorsi. Continueremo a
combattere per una eutanasia legale contro un’illegalità già
attualmente praticata», ha affermato Cappato. E, dietro la sua, si sono
levate moltissime voci sulla stessa linea.
I giudici della
Consulta sono insensibili alla sofferenza dei malati?
Per quanto riguarda il contenuto della
richiesta di referendum, i giudici della Consulta sono stati accusati di
insensibilità verso le sofferenze di tanti malati che, grazie alla
parziale abrogazione dell’art. 579 del Codice penale, avrebbero potuto
chiedere di porre fine alla loro vita, senza che questo ricadesse
nella fattispecie dell’omicidio. La sentenza che dichiara
l’inammissibilità del referendum su questo tema è apparsa a molti
espressione di un moralismo bigotto e ipocrita, che non se la sente di
rinunciare a una regola convenzionale e, in nome di questa, rimane sordo
ai problemi posti dalla realtà.
La sollevazione popolare è stata tale da
indurre il presidente della Corte Costituzionale, Giuliano Amato, a
ricorrere a una mossa inedita, convocando una conferenza stampa per
difendere la decisione e spiegare le ragioni della Consulta. «Leggere
o sentire che chi ha preso la decisione non sa cosa è la sofferenza», ha
detto Amato, «ci ha ferito ingiustamente». E ha spiegato «Nella sorpresa
e anche amarezza che ha destato in molti la decisione di ieri ha giocato
un ruolo determinate l’uso che è stato generalizzato ‘Referendum
sull’eutanasia’. Perché referendum sull’eutanasia desta nelle persone
che leggono o ascoltano la legittima aspettativa che si tratti di un
referendum che ha ad oggetto le persone che stanno soffrendo, che sono
malate, che sono magari incurabili (…). Peccato che il referendum non
fosse sull’eutanasia ma fosse sull’omicidio del consenziente e che
arrivare a un voto che, aspettandosi che sia sull’eutanasia, poi legittima
l’omicidio del consenziente, finisce per legittimare l’omicidio
del consenziente ben al di là dei casi per i quali ci si aspetta che
l’eutanasia possa aver luogo».
E a questo che, del resto, faceva
riferimento il comunicato con cui la Corte spiegava le ragioni della
inammissibilità del quesito referendario, evidenziando che esso si poteva
applicare a casi ben diversi da quelli che, nell’immaginario collettivo,
potrebbero giustificare, o almeno rendere comprensibile, l’uccisione di
una persona sofferente e richiamando la necessità di una «tutela
minima, costituzionalmente necessaria, della vita umana, in generale, e
con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili».
L’effettivo contenuto
del quesito referendario
In realtà, chiedendo l’abrogazione del
divieto contenuto nell’art. 579, non si sarebbe avallata solo l’uccisione
di un malato, ma di chiunque lo avesse chiesto, per qualsiasi motivo.
Anche di persone sanissime che – in un momento di debolezza e di
scoraggiamento o, più durevolmente, in stato di depressione – avessero
espresso il desiderio di farla finita. Abbiamo forse avuto tutti
momenti di scoraggiamento, in cui ci è sembrato di non avere la forza di
continuare ad affrontare la vita e abbiamo esclamato «Voglio morire!». A
maggior ragione ciò può accadere nel caso di «persone deboli e
vulnerabili» che, se il referendum fosse passato, avrebbero potuto trovare
chi – magari per interesse personale – . le accontentasse, senza doverne
rispondere.
Ma di questo – come dimostrano anche le
proteste contro la sentenza, unilateralmente centrate sul problema della
sofferenza del malato – la stragrande maggioranza dei firmatari del
referendum non si sono neppure resi conto. Non hanno avuto presente il
testo legislativo che si trattava di modificare e non hanno fatto troppo
caso al fatto che, in realtà, abrogando il divieto di uccidere un
consenziente, non si precisava affatto che questi dovesse essere un malato
o comunque una persona soggetta a terribili sofferenze. E che, al limite,
si trattava di legittimare – come ha notato il presidente merito della
Corte, Giovanni Maria Flick – anche gli omicidi consumati in certi giochi
mortali che i ragazzi fanno per emulazione sotto la suggestione di TikTok. Ha
ragione Amato: che c’entra questo con l’eutanasia? Più in generale,
che c’entra con il rispetto per la sofferenza di tanti malati?
È immensamente più serio e corretto – se
si deve parlare di eutanasia – il disegno di legge in discussione alla
Camera, che riprende le indicazioni date dalla Corte costituzionale nella
sentenza del 25 settembre del 2019, con cui dichiarava parzialmente
incostituzionale l’art. 580 del Codice penale. Sulla scia di queste
indicazioni, il disegno di legge prevede che non sia un reato l’assistenza
medica a un suicidio nel caso che la persona richiedente sia «affetta da
una patologia irreversibile o prognosi infausta o da una
condizione clinica irreversibile e sia tenuta in vita da trattamenti di
sostegno vitale», e in presenza di «sofferenze fisiche o psicologiche
intollerabili».
Si può essere o meno d’accordo con la
proposta, ma qui si parla effettivamente di eutanasia, e non di una
liberalizzazione dell’assassinio su richiesta. Così, per quanto possa
apparire paradossale, l’ondata emotiva che ha accompagnato, sostenuto e
fatto trionfare, in termini numerici, la richiesta dei radicali è stata strettamente
legata all’equivoco denunciato dal presidente della Consulta: che si
trattasse, cioè, di legittimare l’uccisione di una persona gravemente
malata e soggetta a terribili sofferenze. Chi ha firmato la richiesta
di referendum, nella stragrande maggioranza dei casi è stato vittima di
questa illusione ottica.
Vox populi vox dei?
Siamo davanti a una vicenda sicuramente
inquietante, che ci costringe a riflettere seriamente sull’accusa rivolta
alla Corte Costituzionale di aver voluto fare violenza alla democrazia,
facendo violenza alla volontà popolare. «Vox populi vox dei», recitava un
antico detto. Ma già Manzoni, nella sua narrazione dei moti popolari
legati alla carestia di Milano, aveva messo in discussione questa
certezza.
Certo, la democrazia esige che, nel
governo della città politica, sia il popolo ad essere sovrano. Esistono
però interpretazioni diverse di questo concetto. Ce n’è una, quella
originaria, della “democrazia diretta”, risalente a Jean Jacques Rousseau
(quello da cui prende il nome la piattaforma dei 5stelle) e
vagheggiata dai populismi di oggi, che attribuisce alla «volontà generale»
un potere assoluto e incontrollabile. Tutto quello che la volontà generale
decide è bene: «La volontà generale è sempre retta». Il filosofo ammette
però che il popolo sovrano ha bisogno di qualcuno che gli insegni ci sia
sempre qualcuno che gli insegni «a conoscere ciò che vuole», magari
riuscendo a «persuadere senza necessità di convincere». Come il maestro, a
cui, nella sua opera pedagogica, propone di guidare l’allievo senza
violenza, ma orientandolo senza che se ne renda conto: «Certo, egli deve
far soltanto ciò che vuole, ma non deve volere se non la vostra volontà».
Alla fine, dunque, una simile sovranità
è illusoria. Per questo la versione della democrazia adottata nella nostra
Costituzione coniuga il principio della sovranità popolare con una serie
di mediazioni e di limiti che possano mettere la comunità civile al
riparto dalle derive irrazionali di una «volontà generale» manovrata da
guru e “persuasori occulti” capaci di illuderla e di manipolarla.
Il controllo della Corte Costituzionale sull’ammissibilità dei referendum
rientra in questa logica. Come del resto il principio della divisione dei
poteri e la mediazione del Parlamento.
Il battage in corso per far credere che
la democrazia sia stata tradita, perché la Consulta ha rilevato
l’incongruenza del quesito sul fine vita – apparentemente volto alla
tutela dei deboli, i malati, e in pratica pericoloso proprio per chi è
più fragile e vulnerabile – rientra in questa logica, a cui ormai siamo
purtroppo abituati. Agitando degli slogan, si dà addosso alle persone che
pensano e che hanno la competenza per affrontare ragionevolmente i
problemi. Così, la questione dell’ammissibilità o meno di una forma più o
meno esplicita di eutanasia, come quella discussa dalla Camera, può vedere
fronti contrapposti, ma all’insegna della consapevolezza di ciò di cui si
discute e nel reciproco riconoscimento delle ragioni altrui. Niente a che
vedere con la cagnara imperversante sui social. Qui si tratta di capire e
valutare con onestà intellettuale i problemi. E oggi forse è questo il
maggiore servizio che si possa rendere alla democrazia.
*Responsabile del sito della Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo, www.tuttavia.eu.
Scrittore ed Editorialista.
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