mercoledì 21 agosto 2019

LA FOLLIA DELLA VIOLENZA. QUOTIDIANI EPISODI DI VIOLENZA CHE CI SGOMENTANO

LA VIOLENZA 
«BANALE» 
LA NATURA UMANA

Come si perde 
il "lume della ragione"

 Lettura neuroscientifica delle «esplosioni» estive

di Pietro Pietrini*

Il duplice omicidio del giorno di Ferragosto a Ucria, nel Messinese, apparentemente a seguito di una lite per un parcheggio, va ad aggiungersi al lungo elenco di fatti di cronaca analoghi avvenuti negli ultimi anni. Nel solo 2016, stando a dati statistici pubblicati dall’Osservatorio Asaps (Associazione sostenitori amici della Polizia stradale), in Italia ci sono stati ben 183 episodi di aggressioni stradali refertati, che hanno causato quattro morti e 238 feriti, 37 dei quali gravi. Aggressioni che trovano origine in una precedenza non concessa, un parcheggio conteso, un sorpasso non gradito. O ancora, c’è chi è stato ucciso per il fastidio di uno schiamazzo in strada o per aver negato una sigaretta. Liti che esplodono per ragioni che sembra già tanto poter definire 'futili'. Quei futili motivi che per il Codice penale costituiscono un aggravante di un fatto di reato. Fenomeno pressoché ubiquitario. Il che certo non consola, ma piuttosto impone una riflessione sull’umana natura. Cosa accade nella mente umana in questi frangenti? Come si arriva a perdere il lume della ragione?
A chi di noi non è mai capitato di ritrovarsi a inveire con foga contro il furbetto che con una manovra magari un po’ azzardata ci ha appena soffiato da sotto il naso il parcheggio che avevamo adocchiato dopo lungo girovagare? Se ripensiamo alla nostra risposta in quei frangenti, potremmo addirittura rimanere sorpresi dalla veemenza della nostra reazione, da quello che in quegli attimi siamo riusciti a dire, o meglio, non siamo riusciti a non dire, non importa se eravamo soli o con altri in macchina, magari con i nostri figli. Nell’immediatezza dell’evento non riusciamo a evitare una reazione viscerale, quasi incontrollabile: presi da un impeto di rabbia che sale, proferiamo imprecazioni e maledizioni di ogni genere. In poco tempo, tuttavia, anche solo pochi attimi più tardi, riprendiamo il controllo e ci rimettiamo, magari sbuffando un po’, alla ricerca di un nuovo posto. È una reazione fisiologica. È la ragione per cui, nelle situazioni di conflitto, fin da piccoli ci insegnano a contare fino a dieci prima di rispondere. Perché sappiamo che in quei pochi secondi è molto probabile che il tono della nostra risposta diventi radicalmente diverso. L’alternativa è rischiare di dire cose delle quali ci pentiamo poco dopo, magari anche solo dopo aver appena finito di pronunciarle.
L’esperienza ci insegna anche che la nostra risposta di fronte a eventi simili può essere assai diversa da giorno a giorno. Basta poco: se siamo digiuni o abbiamo mangiato, se siamo stanchi o riposati, tristi o felici. La nostra percezione del mondo che ci circonda cambia e così la nostra modalità di interagire con esso. Le recenti acquisizioni delle neuroscienze cognitive stanno rivelando il fine gioco di squadra tra emozione e ragione nella modulazione del nostro comportamento. Conosciamo sempre meglio i meccanismi cerebrali che sottendono questi rapporti in condizioni normali e in presenza di patologie psichiatriche. Sappiamo oggi che particolari combinazioni di fattori genetici, neurobiologici e cerebrali, unitamente a fattori ambientali, possono favorire condizioni di maggiore rischio di discontrollo degli impulsi, di comportamenti abnormi in risposta a provocazioni anche modeste. Ma se in alcuni dei casi di cronaca come quelli ricordati in apertura è talvolta possibile riscontrare una franca patologia mentale o una storia di abuso di sostanze, in molti altri casi non vi è nulla di questo. L’assassino è «la persona mite, lavoratore instancabile e mai protagonista di episodi violenti» come nel caso del sessantenne che nel giugno del 2016 a Giulianova uccise con una coltellata al cuore un compaesano con il quale poco prima aveva un diverbio per un sorpasso. Mutuando Hannah Arendt, potremmo definirla la «banalità del male», che trasforma il vicino della porta accanto in un assassino. La sfida delle neuroscienze sociali, che studiano con metodologie multidisciplinari il comportamento umano, è quella di riuscire a comprendere quali meccanismi entrano in gioco nel generare quel 'sonno della ragione' che, in pochi attimi, cambia per sempre la sorte sia della vittima sia dell’aggressore.
*Psichiatra e neuroscienziato direttore della Scuola Imt Alti Studi Lucca

Nessun commento:

Posta un commento