l’augurio per il nuovo anno
di padre Ermes Ronchi
"Maria legge il passaggio al nuovo anno alla luce della
fede e ci invita ad accorgerci che «c'è dell'oro in questo tempo strano".
«Inciampare in una stella, come i re magi e poi
smarrirsi nel pulviscolo magico del deserto». È l’augurio di padre Ermes Ronchi
per questo nuovo anno appena iniziato. Incontriamo il frate dell’Ordine dei
Servi di Santa Maria al convento di S. Maria del Cengio a Isola Vicentina per
farci aiutare a scrutare l’anno che sta iniziando e lui, richiamando un verso
di fra Davide Montagna ci rimanda alla stella che «può essere una persona, un
libro, una poesia, un amore, gli occhi di un bambino. Una stella per avere
tanta luce quanto ne basta al primo passo. E ce ne sono tante stelle in giro.
Camminiamo su gioielli – ci dice – senza accorgercene. E poi la luce si rinnova
a ogni passo perché non siamo soli. Con noi c’è Dio».
Ma partiamo da questo incredibile Ventiventi. Padre Ermes ci
dia tre immagini che, per lei, sintetizzano l’anno che si è appena concluso.
«Papa Francesco da solo in piazza San Pietro venerdì 27
marzo, in quella piazza deserta, sotto la pioggia, che va via a tu per tu con
il crocifisso per pregare per il mondo. Era solo, ma c’eravamo tutti. A me è
sembrato quello, in un certo senso, un punto zero della Storia.
La seconda è la bellezza degli occhi delle persone dietro le
mascherine. Ci si può riconoscere con gli occhi, ci si può parlare con gli
occhi, ci si può abbracciare con gli occhi. L’ultima è da dire
sottovoce pensando a chi ha molto sofferto. La dico con un verso di una
poesia di Mariangela Gualtieri: “C’è dell’oro in questo tempo strano”. E allora
a me piace andare alla ricerca di qualche pepita».
Ci confida qualcuna delle pepite che ha trovato?
«Prima di tutto il linguaggio della cura. Noi siamo ciò di cui
ci prendiamo cura.
Poi il non implodere dentro alle cose. Rischiamo di implodere
per l’accumulo di cose e invece, come ci dice il profeta Isaia, dobbiamo alzare
il capo e guardare. È questo un tempo che ha delle crepe, ma è attraverso le
crepe che entra la luce. Attraverso le crepe ci parla di luce questo tempo
desolante e desolato».
A livello comunitario questi dodici mesi che cosa ci dicono?
«Ci dicono che la salute dei più forti dipende dalla salute
dei più deboli, cioè dalla cura dell’anello debole. È un rovesciamento
paradossale. Abbiamo riscoperto la vita partendo dalla fragilità, non
dall’esaltazione del vivere per il vivere e basta, ma dalla riscoperta di cosa
è vita e di cosa non lo è. Questa attenzione me la rivelano soprattutto i più
deboli. Proteggendo l’anello debole proteggiamo tutti. Questo è un grande
insegnamento.
Secondo lei lo abbiamo capito?
«Io credo di sì. Nessuno si salva da solo. Nessuno è forte da
solo. Noi siamo più forti se proteggiamo i deboli. Questo vuol dire rimettere
la persona al centro, qualsiasi persona».
Lei ha avuto paura del questo virus?
«No. Non ho avuto paura. Ho cercato di tradurre la paura, che
comunque fa capolino, in prudenza e in cura. Abbiamo sentito la vita assediata
dal virus, assediata ma non espugnata. Non ho paura per il covid. Ho paura per
ciò che ha causato questa pandemia. Questo sì mi fa paura: l’aggressione
dell’uomo all’ecosistema. Tutti i virus sono di origine animale. Noi abbiamo
bruciato la casa degli animali, l’abbiamo avvelenata. Quella è l’autostrada
attraverso la quale i virus arrivano fino a noi. Mi fa paura questo
atteggiamento suicidario dell’uomo che persevera ad aggredire la terra. Mi
sembra che possiamo fare un comandamento che non c’è: “Ama la terra, come ami
te stesso. Amala come l’ama Dio».
La pandemia come ci ha cambiati?
«Penso che non è un virus che cambia il cuore delle persone.
Il covid può venire e andarsene senza che questo davvero ci cambi. I veri
cambiamenti non sono indotti da un fattore esterno. I veri cambiamenti sono
quelli che escono dall’anima. Neanche la paura ci cambia. La paura paralizza,
non libera dal male che c’è in noi. La vita non avanza per divieti o Dpcm. Solo
una passione positiva, la cura, un desiderio fanno avanzare la vita. La vita
avanza per innamoramenti. Affrettiamoci ad amare. Le persone se ne vanno così
in fretta. Non perdiamo tempo».
Tutto questo porterà a dei cambiamenti strutturali?
«Io penso di sì. Immaginare di chiudersi nella
propria regione, nella propria provincia, nel proprio comune,
nella propria camera per trovare la salvezza in queste
situazioni in cui il mondo è sottosopra e brucia è come essere in
una nave che affonda e ti chiudi nella tua cabina pensando di salvarti. Ma se
la nave affonda, vai sotto anche tu. Siamo tutti sulla stessa barca. Questa
percezione c’è, come sentimento strutturale. E infatti non si è mai visto tanto
denaro promesso come per questo Recovery plan. C’è una strutturale crescita
della corresponsabilità. Per questo sono fiducioso. Questa è una delle cose che
segnerà il futuro. Quanto è accaduto porterà alla percezione che tutto si
tiene, tutto è correlato. Non possiamo vivere sani in un mondo malato.
Questa è una percezione diffusa e determinante per il futuro. Noi che ci
credevamo i signori del creato abbiamo scoperto che dobbiamo stringere i fili
dell’empatia e della solidarietà»
La Chiesa in questo che ruolo può avere?
«Questo tempo è l’occasione per fare un balzo indietro di
duemila anni e riscoprire la domus ecclesiae, cioè la Chiesa nella
casa. Fare un gesto religioso insieme, attorno alla tavola che è il primo
altare. Il cristianesimo comincia nella casa non nella chiesa. Bisogna
riscoprire questo».
Perché le parrocchie non danno questo input preciso?
«Lo Spirito Santo non ti spinge ad andare in chiesa, ma a
diventare Chiesa. Gli ebrei hanno salvato la loro religione con la liturgia
domestica».
Su cosa deve puntare la Chiesa?
«I tre vettori per il futuro della chiesa sono la Parola di
Dio e la carità. Il terzo vettore che io vedo è la contemplazione, cioè la
capacità di fermarsi, di inginocchiarsi davanti alle cose, di scoprire la
bellezza delle cose, di stare a tu per tu con Dio. Il cristiano del futuro o sarà
un mistico o non sarà. O sarà un uomo che spezza il pane o non sarà».
E ciascuno di noi come deve affrontare il futuro prossimo?
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