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venerdì 4 ottobre 2024

NESSUN UOMO E' UN'ISOLA


 SACRIFICI 

PER 

IL BENE COMUNE


-         di Giuseppe Savagnone*

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Uno shock collettivo

Le parole del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sono state semplici e chiare: per risanare i conti pubblici, sarà necessaria una manovra che «chiederà sacrifici a tutti».

 E il ministro ha citato l’articolo 53 della Costituzione, secondo cui «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva», un principio che per lui dev’essere «la stella polare» in questa situazione.

 In concreto, ha spiegato, per far fronte alle necessità del momento bisognerà reperire risorse da «tutto il sistema Paese»: «i privati, le aziende e soprattutto la Pubblica amministrazione, che sarà chiamata ad essere più performante e produttiva». In particolare, per quanto riguarda le banche e le aziende, si tratterà di «tassare i giusti profitti, gli utili», calcolati «in modo corretto».

 A prima vista non sembrerebbe un discorso sconvolgente. Invece lo è stato. La Borsa di Milano ha chiuso a -1,5%, il risultato peggiore in Europa.

 Peggiore anche del -1,32% di quella di Parigi, dopo l’annuncio di una «imposta eccezionale» sulle imprese e sui contribuenti più ricchi ipotizzata dal governo del nuovo premier, Michel Barnier.

 Ma non è stata solo la Borsa ad aver un shock: basta leggere, all’indomani dell’annunzio di Giorgetti, i titoli di prima pagina dei quotidiani – ad eccezione di quelli filo-governativi, che significativamente non hanno riportato la notizia o l’hanno relegata in un piccolo riquadro – per rendersi conto di quanto esso abbia scosso partiti e opinione pubblica.

 La maggioranza ha cercato di calmare gli animi e di rassicurare tutti: «Niente nuove tasse», è stato ribadito con forza da diversi suoi esponenti. Né essi potrebbero dire diversamente, per coerenza con il programma elettorale della destra, che, al n.4, prevedeva, fra gli altri punti, «Riduzione della pressione fiscale per famiglie, imprese e lavoratori autonomi» e «No a patrimoniali dichiarate o mascherate». E proprio a una “patrimoniale mascherata” fanno pensare le parole del ministro dell’Economia.

 Ma, nel tempo della post-verità, non è necessario che una affermazione sia conforme alla realtà: basta che lo sembri. E le parole in questo aiutano.

 Come nel caso delle accise sul gasolio, per le quali allo studio del Tesoro ci sarebbe un «meccanismo di allineamento» con quelle della benzina. Una possibilità che ha suscitato aspre reazioni. Anche in questo caso, l’accusa al governo è di essere incoerente con le promesse elettorali.

 Su X, allora, Giorgia Meloni scriveva: «Gli italiani continuano a essere spennati alla pompa di benzina… Per forza, le tasse sui carburanti sono tra le più alte al mondo! Abbassare, se non abolire, alcune folli e anacronistiche accise che gravano sugli automobilisti sarebbe un atto di civiltà!». E, l’opposizione ha rispolverato un video del 2019, durante la campagna elettorale, in cui l’attuale premier pretendeva che le accise venissero «progressivamente abolite».

 Ma anche qui il recupero è possibile, grazie alle parole: è stato subito precisato dal governo che non si tratta di un vero e proprio aumento delle accise del gasolio, bensì di una loro «rimodulazione». Miracoli del linguaggio. Vedremo se basteranno a fermare le proteste.

 Il problema delle imposte tra vincoli dell’economia e libere scelte politiche

Davanti a questo quadro, bisogna innanzi tutto constatare che, anche nell’ambito della politica fiscale (non è l’unico) i partiti al governo non stanno riuscendo a mantenere le promesse fatte quando chiedevano il voto agli elettori.

 Non è certo la prima volta nella storia che ciò accade. Prenderne atto serve solo a ricordare che ormai, al di là delle proclamazioni retoriche, di “svolte radicali” – a comandare la linea politica dei governi sono, in larga misura, le regole dell’economia, che impongono loro una sostanziale uniformità di scelte, anche quando le idee e i progetti sono diversi.

 Una seconda osservazione, che controbilancia la precedente, è che, un certo margine di autonomia la politica continua comunque ad averla. Lo dimostra il fatto che, sempre in campo fiscale, il governo in carica due promesse elettorali le aveva mantenute: «Pace fiscale e “saldo e stralcio”», sulla base di un «accordo tra cittadini ed Erario per la risoluzione del pregresso»; ed «Estensione della Flat tax per le partite IVA fino a 100.000 euro di fatturato».

 Anche se entrambe queste scelte appaiono problematiche. La Pace fiscale è accusata da più parti di essere in sostanza un puro semplice condono, che avvantaggia gli evasori fiscali e li incoraggia per il futuro a non pagare le tasse, irridendo e scoraggiano coloro che attualmente versano contributi esorbitanti proprio a causa della immunità di cui godono gli altri.

 Quanto alla Flat tax (“tassa piatta”) – già varata per i titolari di partita IVA con incassi lordi annui non superiori ai 65mila euro (ma di cui si prevede presto l’estensione anche ai redditi superiori) – è un sistema fiscale non progressivo per cui applica una sola aliquota d’imposta, a prescindere dall’ammontare dell’imponibile. Invece di pagare in percentuali proporzionate al loro reddito – e quindi più elevate per quelli che ne hanno uno maggiore – , i contribuenti  rispondono tutti sulla base della stessa percentuale.

 Una riforma che è stata contestata perché appare in contrasto con quello stesso art.53 della Costituzione, citato dal ministro Giorgetti, che, al secondo comma, recita: «Il sistema tributario è informato a criteri di progressività». E che, secondo molti esperti, comporta in sostanza uno sgravio per i redditi più alti.

 La filosofia insita nella lotta contro le tasse

In entrambi i casi, le riforme che la destra aveva annunciato e sta attuando in campo fiscale prestano il fianco al sospetto di essere un favore alle classi più abbienti, in una prospettiva che ha sempre visto con aperta ostilità le tasse.

 Non bisogna dimenticare che i partiti di governo si ispirano tutti, anche se con accentuazioni diverse, alla visione e alla testimonianza vissuta di Silvio Berlusconi (per la cui morte hanno indetto il lutto nazionale), grande nemico delle tasse, al punto da dichiarare che la «giustificazione morale» dell’evasione è insita nel «diritto naturale».

 A questo gli italiani sono stati educati nel corso della Seconda Repubblica, una stagione di cui quella attuale è la naturale continuazione. Si capiscono, allora, lo sconcerto dell’opinione pubblica e l’imbarazzo del governo di fronte alle parole di Giorgetti quando cita l’art.53 della Costituzione (sia pure solo nella sua prima parte), ricordando che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Ce ne eravamo dimenticati.

 E, quel ch’è peggio, non aderiamo più alla filosofia sottesa a tutto questo articolo – primo e secondo comma – , che era quella della dottrina sociale cristiana, a cui aderiva la maggioranza dei padri costituenti, democristiani, su questo punto d’accordo con i loro colleghi del PCI e del PSI.

 Quello che ormai la grande maggioranza degli italiani pensa è che ognuno ha diritto di tenersi quello che è suo. Questo spiega l’adesione massiccia alla politica del governo nei confronti dei flussi migratori (ormai sempre più condivisa anche dal resto d’Europa, che si ispira alla stessa filosofia), con relativa “difesa delle frontiere”, a tutela del nostro sovrabbondante benessere (vedi gli sprechi spaventosi che esso comporta).

 E spiega anche l’ostilità verso le tasse, percepite come un abuso di uno Stato che – secondo la famosa espressione berlusconiana – vuole “mettere le mani nelle tasche” dei cittadini.

 Magari ci si dedica al volontariato e si fanno offerte alle fondazioni di beneficenza, ma il diritto di proprietà è un dogma indiscutibile e il principio delle tasse ne costituisce tendenzialmente una violazione. Posso regalare il mio, ma non essere obbligato a darlo alla comunità, perché il frutto del mio lavoro, o di quello dei miei genitori (nel caso delle successioni, per cui pure l’Italia è il paradiso degli ereditieri), o del denaro che in qualche modo mi sono guadagnato.

 Ma forse si perde di vista qualcosa…

È praticamente assente, nei più, la consapevolezza che in realtà ognuno di noi può crescere, studiare, lavorare, produrre e consumare, grazie a una società che lo precede, lo accoglie alla nascita e lo accompagna in tutte queste fasi, creando le condizioni per cui le sue potenzialità possono realizzarsi.

 E che essa può farlo solo perché e nella misura in cui i singoli non si limitano a percepirne i benefici, ma contribuiscono al mantenimento dei suoi servizi con quello che posseggono, che perciò non è solo in funzione del loro benessere, ma va impiegato perché anche altri abbiano quello che noi abbiamo ricevuto.

 Come si è molto indebolita, a livello collettivo, l’idea che siamo responsabili degli altri esseri umani, al di là di ogni appartenenza etnica e culturale, e a maggior ragione dei nostri connazionali poveri.

 Secondo i dati ufficiali sono più di cinque milioni. Uomini, donne, bambini, che non hanno neppure il necessario (per loro colpa? Il liberalismo classico lo sosteneva, ma oggi sappiamo che non è così). Il sistema tributario ha il compito, precisamente, di realizzare concretamente questa umana solidarietà.

 In ogni caso, poveri o ricchi, c’è una solidarietà – i cristiani la chiamano fraternità – che rende i nostri destini, lo vogliamo o no, dipendenti tra loro. Perché, come ha scritto nel Seicento il poeta inglese John Donne, «nessun uomo è un’isola, completo in se stesso./ Ogni uomo è un pezzo del continente,/ una parte del tutto./ Se anche solo una zolla fosse portata via dal mare,/ l’Europa ne è diminuita,/ come se lo fosse un promontorio,/ o una magione amica,/ o la tua stessa casa./ Ogni morte d’uomo mi sminuisce,/ perché io sono parte dell’umanità./ E dunque non mandare mai a chiedere/ per chi suona la campana:/ essa suona per te».

 Questa è la filosofia, oggi dimenticata, a cui si ispira la nostra Costituzione. E ora che il ministro Giorgetti ha avuto il coraggio di ricordaci la necessità di fare tutti dei sacrifici per il bene comune, forse, invece di farci prendere dal panico, dovremmo riflettere.

 *Scrittore ed editorialista – Pastorale della Cultura, Diocesi di Palermo

www.tuttavia.eu

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