Sesso, affetti, relazioni e
il Grande
Confidente
Artificiale
Il
42% dei ragazzi tra 15 e 19 anni chiede aiuto all’AI in momenti di tristezza,
solitudine, ansia, o consigli su scelte, relazioni, sentimenti (dati appena
presentati da Save the children nella XVI edizione dell’Atlante dell’Infanzia a rischio in Italia).
-di
Alessandro D’Avenia
Che
cosa dicono queste statistiche? Che l’educazione artificiale ha rimpiazzato
quella sentimentale. Ricordate l’educazione civica, confinata nell’ora di storia? Data
l’ignoranza sul tema, da qualche anno è diventata trasversale a tutte le
discipline con un suo monte ore e un voto. La insegniamo tutti perché non è una
materia come le altre, le precede: il «civico» (diritti e doveri) abbraccia
tutta la vita di un «animale politico». E anche se si riceve un voto a parte in
civica, la vera qualifica è il «comportamento» (un tempo «condotta», nella
pagella elementare di mia madre addirittura «gentilezza», a ogni epoca le sue
sfumature): come ti rapporti con il mondo? Se non raggiungi la sufficienza non
passi, anche se eccelli nel resto. La chiamiamo «educazione» perché coinvolge
tutta la persona: sta alla vita come il respiro. Le educazioni
(logico-matematica, linguistica, artistica, motoria...) sono infatti forme
culturali permanenti e necessarie a proteggere la vita e a permetterle di
svilupparsi. L’uomo non è solo animale «politico» ma anche «prolifico», ha e dà
la vita, necessita quindi di un’educazione sessuale e affettiva. Quale aspetto
totale della vita protegge e sviluppa questa educazione? E la scuola che
fa?
L’uomo
«culturalizza» gli istinti. Noi non mangiamo solo per nutrirci, ma per stare a
tavola mentre ci nutriamo: trasformiamo in relazioni e arte un bisogno
primario. Lo stesso accade con la vita. Non ci accoppiamo solo per riprodurci,
ma per amarci, conoscerci, gioire. Abbiamo la vita sessuale più sorprendente
del mondo: a differenza di un cane facciamo l’amore viso a viso, quando ci
pare, anche nei periodi infecondi o non più fertili, tendenzialmente non in
pubblico... Insomma siamo una curiosa eccezione che richiede attenzioni
speciali. L’educazione sessuale-affettiva dovrebbe essere quindi una festa
celebrata attorno alla cosa più bella: affidarsi l’uno all’altro per darsi e
dare la vita, e invece oggi è ridotta a paure e indicazioni sanitarie, necessarie
di certo ma che non possono esaurire l’argomento se non al prezzo di far
coincidere il sesso con una cosa pericolosa. Così un adolescente nel pieno del
passaggio esaltante e tremebondo della pubertà, perde il gusto dell’eros: paura
e confusione, per poi dover chiedere aiuto al Confidente Artificiale.
L’Occidente
ha scelto l’antica radice gen- per il mistero della vita: generare, geniale,
genitali, generoso, genuino, genitori, gentile, gente... Che cosa serve quindi
per coltivare una «radice» così feconda? Educare alla relazione. E cioè? Sesso
viene forse da secare, tagliare: due elementi tra loro morfologicamente
implicati a vicenda per generare effetti — beni relazionali — materiali o
immateriali, necessari a (sopra-)vivere. Il rapporto genitore-figlio genera
protezione, educazione, continuità. Il rapporto docente-studente genera
cultura, crescita, libertà. Il rapporto tra amici genera fiducia, aiuto,
confidenza. Il rapporto affettivo-sessuale genera unione, gioia, conoscenza,
altra vita. Le relazioni sono i riti che danno possibilità alla vita di essere
tale.
Questo
significa che «educazione affettivo-sessuale» a scuola non può essere il nome
di poche ore condotte da esperti, perché è di fatto l’unica materia — la
materia prima — di tutta la settimana: siamo immersi nelle relazioni come
nell’aria ma solo quando l’aria è cattiva ci accorgiamo che esiste. Ed è quello
che sta accadendo, allora bisogna «cambiare» l’aria. Come?
Non
bastano gli esperti che a scuola ci sono già: docenti e psicologo. Di certo
l’insegnante di scienze spiega l’apparato riproduttivo, quello di inglese la
fenomenologia amorosa adolescenziale di Romeo e Giulietta, quello di chimica le dinamiche ormonali,
quello di latino le poesie erotiche di Catullo e lo psicologo è disponibile per i ragazzi...
ma l’aspetto trasversale che coinvolge tutte le discipline e in tutte si
manifesta a diverso titolo non è la somma di questi contenuti, ma è un vissuto
unitario: la modalità in cui si realizza la vita delle relazioni incarnate,
come i docenti si relazionano tra loro e con gli studenti. Un bambino impara a
relazionarsi dal modo in cui gli adulti (genitori, parenti, docenti,
educatori...) lo fanno tra loro e con lui. A differenza degli animali che si
accoppiano, noi «facciamo l’amore», cioè creiamo la relazione, amiamo come
siamo «educati» ad amare.
Posso
ricevere «istruzione» fisio-psico-sanitaria, ma sono «educato» all’affettività
e alla sessualità dalla qualità delle relazioni attorno a me. Lo spiego con la
storia del poeta che non aveva mai visto il mare. Abitando nel cuore della sua
regione ne aveva solo sentito parlare. Un giorno riuscì a raccogliere il denaro
per il viaggio verso il Mediterraneo. Arrivato in albergo, l’oste gli indicò la
strada. Egli andò e si sedette a riva, rimanendo in silenzio a guardare sino a
sera. Quando tornò l’oste gli chiese come era andata. Il poeta rispose: «Non
l’ho visto», lasciando perplesso l’interlocutore. La stessa scena si ripeté per
sei giorni, fino alla sera del settimo, quando tornò raggiante urlando
all’oste: «Ce l’ho fatta!». Raccontò che aveva visto tornare una barca, da cui
erano scesi dei marinai: «Ho visto il mare negli occhi di coloro che fanno il
mare e dal mare sono fatti». Verità incarnata: lo stesso vale per chi fa ed è
fatto dall’amore, gli umani. Quello che serve è un’educazione che attraverso relazioni
sane (lo è quella in cui uno dà all’altro ciò di cui l’altro ha bisogno) faccia
venir voglia di incarnarle a propria volta, di ri-fare l’amore ricevuto,
continuarlo o migliorarlo, dopo aver vissuto e compreso perché funziona o meno.
Poi chiaramente sta a ciascuno elaborare, anche con fatica, che cosa far
proprio e cosa cambiare di ciò che ci è stato trasmesso, per avere una vita di
relazioni più vera e gioiosa di quella ricevuta e perché ogni rapporto ha
fragilità e unicità che nessuna «istruzione» può esaurire.
La
scuola degli amanti (titolo alternativo del Così fan tutte di Mozart e Da
Ponte) non chiude mai, dura tutta la vita. In questa scuola può dirsi
«educato», affettivamente e sessualmente, chi sente la vita altrui in modo tale
che ferirla o accarezzarla è ferire o accarezzare la propria. Nel recente fatto
di cronaca milanese i magistrati hanno evidenziato la «disumana indifferenza»
dei giovanissimi accoltellatori: non sentono la vita ma la morte, che li eccita
più della vita, tipico delle culture esangui. Manca loro l’educazione che si
vede/vive, come il poeta con i marinai, negli adulti di riferimento. E la
scuola che può fare? In una temperie culturale narcisistica, individualistica e
consumistica, alimentata dalla virtualità digitale, l’educazione alle relazioni
potrebbe partire a scuola approfondendo con i ragazzi le origini culturali e i
limiti di questi «visori» e di queste «visioni» del mondo, per restituire poi
loro l’alfabeto dell’intelligenza emotiva, proprio come si insegna quello per
scrivere: occorre prima scardinare l’idea oggi dominante che per avere vita
bisogna prendersela o comprarla, cioè che il controllo è relazione quando è
invece la sua consumazione, e poi educare la capacità di riconoscere e dare
nome a emozioni, gesti e sentimenti (è per esempio dimostrato che chi non legge
fatica a riconoscere i sentimenti altrui).
Perché
i ragazzi ignorano le infinite sfumature dell’amore e non quelle dei siti
porno? Perché abbiamo lasciato che li educhi chi capita, e non noi e la cultura
vera. E così molte adolescenti raccontano che il primo rapporto è di fatto una
violenza, perché i ragazzi «imitano» ciò che vedono fare a quelli che hanno
scambiato per marinai, ma erano solo pirati. La scuola può fare un lavoro
culturale più serio dell’attuale querelle elettorale, sul modello
dell’educazione civica, affidando degli approfondimenti a noi docenti, con
eventuali esperti, scelti in base alle necessità e alla maturità dei ragazzi.
Se chiedono a un chatbot e non a noi, non è perché l’IA è cattiva ma perché noi
abbiamo una cultura delle relazioni povera e un progetto culturale esangue.
Anni
fa in una scatola nascosta trovammo le lettere di corteggiamento dei miei
genitori. Le abbiamo catalogate per data in un volume che abbiamo regalato loro
in un anniversario. C’è stata per me più educazione sessual-affettiva in quella
scatola che in mille istruzioni ricevute, magari da loro stessi. Tutto comincia
dal raccontare ai figli come ci si è conosciuti, scelti, amati, e continua con
il tenersi per mano, un biglietto affettuoso, chiedere scusa, una carezza, un
complimento, una foto, una parola di incoraggiamento, una passeggiata, un
regalo, una telefonata... Questa è la scuola degli amanti, la guidano coloro
che «generano» vita e vite, educatori a ogni titolo, e hanno, come quei marinai
con il mare, l’amore negli occhi: lì è l’educazione sessuale e affettiva di un
ragazzo, che allora, come il poeta, a quegli occhi domanderà il mistero della
vita, e non, perché disperato, a ChatGPT.
Corriere della Sera
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