Come cambia
l’educazione oggi
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Di Roberto D’Alessio
educatore scout
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Si può educare senza avere l’idea di ciò che è bene e di ciò
che è male? O, ancora, senza domandarsi quale tipo di uomo e di donna e di
convivenza sociale vogliamo? Baden-Powell direbbe certo di no, dal momento che
pensava che la fraternità scout avrebbe cambiato il mondo e portato la pace tra
i popoli. struire una visione personale e collettiva o di delega all’uomo
forte, al capo che incarna la visione più opportuna e semplice.
Il tema è importante, perché la maggioranza dell’opinione
pubblica odierna risponderebbe, al contrario, che è possibile con due
accezioni: “l’educazione è un tirar fuori dall’altro, sarà poi lui a
scegliere”; oppure direbbe che “è troppo difficile avere certezze nella
complessità odierna, e bene o male dipendono dalle circostanze: non ci sono
regole generali”. In ambedue i casi non importa l’idea di uomo buono o cattivo,
di società giusta o sbagliata: l’educazione si riduce ad affiancare o a curare
i traumi o a favorire il tempo libero: assistenza, terapia, accompagnamento,
non educazione!
La visione.
La
relazione educativa presuppone per noi un patto in cui, esplicitamente o
implicitamente a seconda del livello di concettualizzazione possibile, gli
obiettivi, le prospettive, gli orientamenti, fin i sogni, siano dichiarati: da
“qui i patti, le carte firmate, gli impegni assunti. Poi sarà un gioco, una
lotta, un confronto di libertà reciproca, nel contesto di una esperienza
comune, di una vita che cresce e che ci offre molteplici occasioni di
realizzare o meno le nostre idee. Educare ha bisogno dunque di una visione, non
astratta, non generica, non idealista di ciò che è bene e di ciò che è male. La
visione è propriamente questo: un punto di vista sulla vita e sul mondo, che mi
consente di esprimere valutazioni e giudizi, orientamenti per il futuro. Se
vogliamo, un punto di vista ottimistico ma coerente, attuale ma anche capace di
vedere le conseguenze, indicatore del futuro che verrà, concreto, pratico ma al
contempo nutrito di speranza e valori. Possiamo dedurre questa visone dalla
cultura odierna? dall’opinione pubblica corrente? No, troppo debole, troppo
relativa, troppo dipendente dall’aria che tira, dagli interessi particolari,
dal contingente, dai vari “dipende”, insomma. E troppo soggettiva e
individualista per diventare visione collettiva. Lo stato di confusione causato
da visioni particolari, senza criteri di priorità condivisi e senza luoghi dove
agire il confronto, genera incertezza e l’incertezza paura: è una condizione di
tutti, quasi inevitabile, ma le persone ne soffrono veramente; da qui nascono i
desideri sbagliati di rinuncia a costruire una visione personale e collettiva o
di delega all’uomo forte, al capo che incarna la visione più opportuna e
semplice.
I due ancoraggi
L’azione educativa
vera ha invece due ancoraggi: 1) alla realtà concreta sulla quale è radicato il
punto di partenza, il linguaggio compreso, il patto fiduciario iniziale; 2)
alla visione di fondo fatta di una valutazione del presente e di una prospettiva
sul futuro. Il processo educativo cresce e si sviluppa costantemente tra i due
ancoraggi. Il primo ancoraggio, alla realtà, è meno difficile oggi: o c’è o non
c’è; o ne siamo capaci o falliamo lo start-up. La realtà è lì, basta starci
dentro e provare e riprovare. Il secondo ancoraggio è più difficile. Lavorare
oggi sul giudizio di bene e male e sulla visione di prospettiva richiede un
costante discernimento, un costante porsi domande. Non da soli, come vedremo.
Se il percorso educativo va avanti, si attua anche progressivamente un lavoro
di traghettamento, dalle visioni personali alla visione collettiva comune. Per
questo non basta leggere insieme un documento, anzi non serve a nulla: la
visone comune nasce dalla esperienza comune, dal condividere fatti, percorsi,
valutazioni, dal lavorare assieme, dal fare esperienze vitali insieme e trarne
insieme conseguenze di giudizio (è bene, è male) e di volontà (decisioni di
fare o non fare, comportamenti da evitare o da ripetere). Il mondo occidentale
contemporaneo, detto post-ideologico, fatica a fare questa sintesi, ad assumere
una visione complessiva condivisa; è frammentato, scisso. Paradossalmente è un
mondo iper-connesso sulle informazioni, ma sconnesso sui valori che nutrono le
visioni. La tecnologia che connette può essere il veicolo di nuove visioni, ma
non può essere lei la sintesi di senso.
Teoria della pratica
Come costruire una propria visione e passare da una visione
personale a una collettiva
Questo lavoro
costante, diviso in livelli solo per marcare l’inizio (fidarsi) e la fine
(scegliere, elaborare), si svolge in alcuni luoghi di volontariato (cioè dove
vado volontariamente, per voluntas o che, sempre per libera scelta, cerco di
costruire come luoghi di elaborazione di giudizio). Ognuno deve averne almeno
un paio: il tempo dell’individualismo non li ha previsti. Ognuno deve trovarli
e soprattutto spingerli a funzionare così. Il nome di questi luoghi è molto
vario, sono luoghi del discernimento altrettanto essenziali dei luoghi di
sopravvivenza o di svago: piccolo gruppo di chiesa, di amici studio/lavoro/associazione,
comunità educatori, genitori o staff pensanti, assistente, coppia… e via di
questo passo.
Che “tempo” fa?
- Tempo del relativismo culturale: Varie visioni e
giudizi di bene e di male si confrontano senza criteri e priorità condivise
- Tempo del soggettivismo etico: Ognuno dà valore solo
a ciò che pensa, sente, lo emoziona, indipendentemente dai fatti; abitudine a dare giudizi partendo dai fatti,
dalle esperienze vissute, dai dati raccolti.
-Tempo dell’individualismo esasperato: L’individuo
(io) è più importante della persona (io, tu, egli, noi... loro); mi salvo da
solo, a prescindere dagli altri.
Riconoscere il bene
e il male: Dare nome al bene e al male non è affatto facile: ad esempio, è
più facile parlare di bene comune in generale che non di beni comuni in
concreto. Questo schema (dedotto dal libro “Cosa
dobbiamo fare?” del cardinale C.M. Martini) ci può
aiutare descrivendo i tre livelli di male che si presentano agli occhi “aperti”
di un educatore. Sia chiaro: la domanda su cosa è male non è fatta per
distinguere buoni e cattivi (altri ci penseranno e noi sappiamo che tutti siamo
un po’ buoni e un po’ cattivi, per cui vale la pena di usare incessantemente
perdono e misericordia su di noi e i nostri fratelli), ma per scoprire quel
male di cui siamo conniventi e per vincere misteriosamente il male col bene.
*Male del singolo: È tantissimo, si somma e per questo
è molto pericoloso. Cosa fare? Correzione fraterna, lotta di
opposizione, credere nella possibilità di recupero, esemplificare il contrario.
* Male collettivo: Situazioni di corruzioni
generalizzate, criminalità organizzata, guerre, … Spesso istituzionalizzato in
strutture di peccato che quasi ti costringono a essere connivente. Cosa
fare? Consapevolezza, discernimento, preghiera, denuncia pubblica.
* Male globale: Forme collettive di male che si auto
giustificano e si legittimano in teorie e che soffocano il valore della ragione
e deridono la fede. Cosa fare? Il male non è eliminato ma trasformato in
bene da esempio e forza della morte di Gesù Cristo in Croce. Penetrare il male
e lasciarsene penetrare (nessuna fuga dal mondo): è lotta che ci impegnerà
tutta la vita operando il bene.
I temi “crinale” (o “generatori”)
Nella mia esperienza sono tutti i temi di confine, o perché
scandiscono le tappe della crescita nell’età evolutiva (ad es. le tappe verso
la autonomia e la responsabilità sociale, che devono fare i conti con genitori
che mangiano la vita dei figli, iper-proteggendoli) o perché marcano un confine
geo-politico: privato pubblico; diritti e doveri (ad es. il “crinale” tra
luoghi da presidiare e flussi di persone, cose che li attraversano). Dentro
questa grande categoria, alcuni temi e situazioni assurgono per quella
specifica vita, in quel tempo, in quella nazione, per i misteri della
comunicazione di massa e della psicologia collettiva, a fatti emblematici, cioè
si impongono a tutti come eventi decisivi e sintetici. Non è che siano più
importanti di altri, ma lo sono in quel momento storico, in quel luogo
geografico, nella nostra vita. Invece di negarli, dicendo che non è vero che
sono così importanti, è più utile attraversarli, percorrerli e rinforzare cosi
la nostra visione, perché questi temi rendono immediatamente evidente le
conseguenze dei comportamenti nostri e altrui, ci obbligano a scegliere e a dichiarare
da che parte stiamo.
Un esempio delle due tipologie: Come si lavora sui temi
“crinale”? a) Scavo e approfondimento sulla base della esperienza diretta. b)
Cosa pensa l’opinione pubblica. c) La nostra opinione e decisioni conseguenti.
È chiaro che alle diverse età questo processo può durare un
anno o una uscita: l’importante è che dalla esperienza diretta si parta e si
ritorni. Ai lettori che sono educatori, lascio la felicità di costruire i
propri strumenti e modelli.
Bibliografia
Luigi Melesi, Liberaci dal male, Ed. Don Bosco. Uno dei più grandi educatori contemporanei descrive il
costante lavoro di costruzione e ricostruzione di una visione etica coi
detenuti del carcere di San Vittore nei suoi 30 anni di cappellania.
Gabriele Gabrieli, Il cammino è la meta, la preghiera
universale per la pace. Storico capo scout
e animatore interculturale di comunità, ci offre il suo taccuino di strada in
cui si legge l’esperienza scout incrociata a quella dei popoli sinti e rom.
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