Cristo Re dell’Universo
Ez 34,11-17/ 1Cor 15,20-28/ Mt 25,31-46
E così oggi concludiamo l’anno liturgico. Dalla prossima settimana inizieremo il cammino di avvento in
preparazione al Natale. Ci prepariamo ad accogliere l’evangelista Marco e a salutare Matteo.
Il quale, prima di congedarsi, ci lascia una pagina che è una frustata, un pugno nello stomaco, un
zampata in pieno volto, così, tanto per scuotere le nostre coscienze intorpidite di innocui cattolici da
poltrona.
Prima, però chiariamo una cosa: la Chiesa non ha nostalgie monarchiche e non dobbiamo guardare ai
(pochi e incoerenti) regnanti di questa terra per prendere esempio. Dire che Gesù è il Signore
dell’Universo, è una destabilizzante testimonianza di fede: quell’ebreo marginale perso nelle pieghe
della storia è colui che ha l’ultima Parola, colui che dà misura e senso ad ogni esperienza umana, che
svela il mistero nascosto nei secoli.
Meglio.
Significa credere che le vicende umane non stanno precipitando in un baratro di violenza e di caos, ma
nelle braccia di Dio. Ci vuole molta fede per fare una tale affermazione, ve ne dò atto, soprattutto dopo
duemila anni di cristianesimo in cui le cose non sembrano cambiate in meglio.
Dire che Cristo è “sovrano” della mia vita, significa riconoscere che solo in lui ha senso il nostro percorso
di vita e di fede.
Ed è bello, alla fine di quest’anno, ribadire con forza, insieme, questa nostra convinzione.
Ma.
Regalità
Leggendo il vangelo conclusivo di Matteo restiamo sconcertati ed interdetti.
Il clima è cupo, la visione di questo giudice implacabile come alcuni pittori ce l’hanno riportata, il
possente Cristo di Michelangelo della cappella Sistina, ad esempio, fa paura.
Cosa ha che vedere questa
pagina con il resto del vangelo? Matteo si è sbagliato? O ci siamo sbagliati noi quando continuiamo a
professare il volto di un Dio compassionevole?
I pastori, sul fare della sera, separavano le pecore dalle capre.
Le capre, senza il “cappotto” fornito da madre natura, pativano il freddo proveniente dal deserto ed
andavano ricoverate in un posto più caldo, come una stalla o sotto una roccia.
Quest’immagine è lo sfondo del racconto di Gesù, una separazione che è una protezione, un’attenzione
verso i soggetti deboli.
Il pastore accoglie le pecore che lo hanno riconosciuto nel volto del povero, del debole, del
perseguitato. Era prassi comune nel mondo ebraico, ma ne troviamo traccia anche in altre culture!,
valorizzare i gesti di compassione verso i deboli.
Due sono le novità apportate dal vangelo di Matteo: Gesù lascia intendere che è lui che curiamo nel
povero, identificandosi nell’uomo sconfitto. In secondo luogo questa identità è sconosciuta al discepolo
che resta stupito nell’avere soccorso Dio senza saperlo.
Il messaggio che Matteo ci rivolge è piuttosto chiaro: l’incontro con Dio cambia il tuo modo di vedere
gli altri,.......
Leggi: CRISTO RE
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