Ci manipolano, radicalizzano le idee, ma portano benefici e
potenzialità enormi Bisogna essere attrezzati e tradurle in vantaggi per noi e
le prossime generazioni Parla Floridi, filosofo dell’informazione a Oxford
di SILVIA
CAMISASCA
«Tra
la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, durante l’amministrazione Clinton,
si fece l’errore, non facile da evitare, di trattare le tecnologie digitali
alla stregua di utility, beni di servizio come gas o acqua, lasciandole
sviluppare senza codici di regolamentazione, non considerando il fatto che
mondo digitale e social media creano un ambiente in cui gli individui
trascorrono il loro tempo». Lo spiega Luciano Floridi, direttore di ricerca e
docente di filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford,
disciplina di cui è ritenuto fondatore. Nel mondo analogico di radio, tv o
giornali, questo non avviene: non si vive 'in tv' o 'sulla radio', ma si naviga
'in rete', si chatta 'on line', a causa della formidabile capacità, propria del
digitale, di aprire uno spazio in cui le persone si muovono liberamente. Spazio
che nel testo La
Quarta Rivoluzione (Cortina Editore, pp. 304, euro 24) Floridi definisce
«infosfera».
Un
libro che ben chiarisce che la fase in corso non ci vede né connessi, né off
line, ma, siamo in quella zona in cui, per dirla con Floridi, il fiume si getta
nel mare e, dunque, «non ha senso chiedersi se l’acqua sia dolce o salata,
siamo semplicemente in zone salmastre» conclude il filosofo.
E
di filosofia, di fronte alle sfide etiche, talvolta destabilizzanti, che
vorticose innovazioni tecnologiche impongono, c’è un gran bisogno.
Col
paradigma di intelligenza artificiale la fantascienza è sempre di più forza
sociale con eserciti di robot che svolgono alcune funzioni molto meglio dell’uomo:
leggono le lastre con maggior dettaglio di un radiologo e intervengono con mano
più ferma di un chirurgo, esattamente come sono sistemi artificiali a pilotare
aerei e a raccogliere istantanee da Marte. La meccanizzazione dell’azione
comporta il divorzio - non il matrimonio, come spesso si ritiene - tra
intelligenza e azione. Certo da tali progressi tecnologici si trarranno enormi
benefici, ma il rischio di rimanere travolti dall’oceano di dati prodotti
dall’Ict e dalle infinite nuove opportunità è molto alto. Ancora una volta di
fronte all’ondata digitale siamo a un bivio, in cui non è esclusa la
possibilità di prendere la via sbagliata, cedendo alla tentazione di credersi
al centro dell’universo e non mettendo a servizio dell’umanità questa nuova
risorsa.
Professore,
in che senso il rapporto con i nuovi mezzi richiede una grande consapevolezza
del cambiamento che portano con sé?
«Il
concetto di comunicazione, dalla nascita della scrittura, è legato alle
funzioni di registrazione e diffusione di informazioni, ma i sistemi digitali,
assolvono anche una terza funzione, 'elaborano' cioè manipolano,
automaticamente e autonomamente, gli oggetti che trattano. Inoltre,
approcciando i media digitali, l’utente non è più passivo, ma interagisce con
essi: si pensi banalmente ai movimenti che compiamo con un cursore.
Rielaborazione e interazione, non presenti in epoca analogica e, invece,
caratterizzanti l’infosfera digitale, comportano un terzo elemento di novità:
il contatto (o contrasto) con agenti non necessariamente umani. In altre
parole, molto spesso, la controparte della nostra interfaccia è rappresentata
da un software che, altrettanto spesso, è più abile nell’esprimere preferenze e
interessi nostri. È come se l’agente artificiale giocasse d’anticipo, selezionando
e ordinando gli elementi nel momento in cui, ad esempio, ese- guiamo ricerche
in rete».
Qui
si apre la spinosa questione di quanto e come le tecnologie digitali 'pilotino'
e condizionino menti e utenti. In che misura è vero?
«È
un passaggio delicato: sarebbe più semplice se i social media 'manipolassero'
banalmente le persone, invece, l’operazione è più sottile, perché è tesa ad
'agevolare' il nostro lavoro riferendosi alle tracce lasciate nel virtuale dal
nostro comportamento passato».
Si
può dire, dunque, che ci condizionano indirettamente, nel momento in cui
assecondano i nostri gusti per condurci ancora a loro?
«È
proprio così: per offrire un servizio migliore e, presumibilmente, gradito,
'alimentano' le nostre posizioni. Non sfugge, a questo punto, la potenza del
digitale di 'radicalizzare' e polarizzare le coscienze, mostrando sempre più
loro ciò che già rientra nei propri orizzonti. Nel mondo analogico, ciò avviene
più difficilmente: ad esempio, un appassionato di calcio, su un quotidiano trova,
oltre alle pagine di stretto interesse sportivo, anche servizi di economia,
politica o scienza e, anche scegliendo di trascurarli, di fronte a una proposta
che contempla l’eterogeneità, accetta e convive con la diversità, dà per
scontato tollerare le passioni degli altri».
L’individuo,
quindi, nella rete finisce sempre più per arroccarsi sulle proprie posizioni,
chiudendosi in una sfera personale e ponendo se stesso al centro dell’universo?
«Diciamo
che lo sconfinato mondo digitale apre e chiude contemporaneamente le menti e,
rispetto all’approccio analogico, richiede molta più consapevolezza e
preparazione. Risorse e potenzialità sono enormi, ma bisogna essere ben
'attrezzati' per tradurle in vantaggi, per noi e le prossime generazioni ».
In
un tale mare magnum che ne è dell’etica?
«I
principi normalmente chiamati in causa in relazione ai 'danni collaterali' del
vivere virtuale sono quelli di privacy e tolleranza e, del resto, le
motivazioni sono sotto gli occhi di tutti, come è chiaro che in merito a tali
questioni si discute da secoli, ben prima dell’avvento di internet: basta
pensare a Locke! Lo scossone etico, secondo me, avviene su un altro piano,
perché in rete, non solo ci confrontiamo con agenti 'altri' rispetto all’umano,
ma questi gettano una luce diversa su noi stessi: in altre parole, se un robot
guida o disegna meglio di noi, siamo 'detronizzati' nel nostro primato,
spodestati dalla nostra centralità».
Anche
questo, in verità, non è la prima volta che si verifica.
«Appunto.
Già tre volte, con Copernico, Darwin e Freud, nella storia dell’umanità l’uomo
ha perso la centralità dell’universo: sono state tre rivoluzioni dalle quali
l’individuo è uscito ricollocato in una posizione marginale. Ora, è in corso la
quarta rivoluzione, dalla quale emerge un uomo non più al centro della gestione
dell’informazione e della comunicazione».
È
la 'Quarta Rivoluzione' che dà il titolo al libro, in cui tutti noi non siamo
protagonisti dell’infosfera, pur vivendoci e 'vivendola'?
«Esattamente.
È come se organizzassimo una cena, in cui, però, non siamo i festeggiati. Del
resto, il soggetto nell’etica classica, è sempre l’Io, mentre l’ottica che
andrebbe a ridefinire la posizione contemporanea è quella di un’etica di cura e
servizio verso l’altro, in cui all’Io sostituisco, non tanto l’altro, ma la
relazione che si salda tra me e ciò che è fuori di me. Questo è già avvenuto in
altri campi, ad esempio, la scuola, l’ambiente o la medicina. Cosa significa medicina
di servizio, se non che al centro dell’attenzione non è il medico o il chirurgo
che opera, ma la cura e la salute del paziente?».
L’imporsi
di una nuova etica non potrebbe, in ultimo, aiutarci?
«Certo,
soprattutto, perché ci siamo adagiati sul 'meccanismo' newtoniano di
causa-effetto: il processo digitale, invece, procede secondo un rimando di
'link', prevede appunto uno schema reticolare, di nodi e intrecci».
Di
relazioni?
«Esatto:
immaginiamo tante strade che si intersecano in una rotonda (l’uomo) dove si
incontrano e saldano le relazioni e i rapporti tra gli individui. Come nel caso
del matrimonio, al centro non è l’uno o l’altro, ma la relazione, così si
estende a tutte le forme che si possano sperimentare nel vissuto. Al centro
dell’agire politico non è lo Stato, il partito o il sindaco, ma il tessuto
civico tra le varie componenti. E lo stesso nel business o nell’informazione.
L’uomo, quindi, è il risultato (un incrocio) di tante relazioni e vari
rapporti».
Nell’ampia
zona di acqua dolce-salata, in cui siamo contemporaneamente off e on line.
«Ha
detto bene 'ampia zona', perché l’area dell’infosfera è sempre più grande:
questo è bene ricordarlo a chi ritiene di poter fare a meno delle tecnologie
digitali. Ovviamente è possibile, ma gli 'esclusi' subiranno così un doppio
danno: non solo più deboli, perché sprovvisti degli strumenti necessari
all’accesso digitale, ma, non godendone i vantaggi, la propria dimensione sarà
sempre più determinata, 'decisa' da chi sperimenta e vive il virtuale,
usufruendo già anche delle relative opportunità. Questo l’Italia lo dovrebbe
tenere presente, considerando che è fanalino di coda, a livello europeo, per
apertura alla 'mentalità' digitale: vale per i pagamenti on line come per gli
acquisti in rete, per i big data come per i servizi bancari».
«A
cavallo delle rivoluzioni qualcuno paga sempre le spese delle trasformazioni.
Occorrerebbe che tutta la società si facesse carico dei costi dell’Intelligenza
artificiale?
«Giusto.
La profondità e radicalità dei mutamenti impedisce all’attuale generazione di
stare al passo degli eventi e a rimanere indietro saranno molti. Non è giusto
che chi è escluso oggi, in termini di perdita di ruolo, lavoro e reddito, debba
pagare tutte le conseguenze di un beneficio per tutta una civiltà: un beneficio
che ha un costo, di cui tutta la società deve farsi carico.
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