martedì 24 novembre 2020

STOP ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

 

Violenza contro le donne: una giornata in ricordo del tragico volo di tre "farfalle"

Dal 1999, il 25 novembre è il giorno decretato dall’Onu per non dimenticare le donne vittime di violenza. Molti i passi in avanti sul fronte legislativo, sulle modalità di protezione ma tanto resta da fare, come sottolinea suor Rita Mboshu Kongo, teologa congolese

di  Benedetta Capelli  e Amedeo Lomonaco –

 “Las Mariposas” ovvero “le farfalle”. Venivano chiamate così Patria, Minerva e Maria Teresa, le sorelle Mirabal uccise il 25 novembre 1960 nella Repubblica Dominicana dagli uomini del dittatore Trujillo che le perseguitò per lunghi anni, prima di decretarne la morte violenta, sprezzante, ma che sancì pure la fine del suo regime. Il volo da una scogliera delle tre sorelle all'interno di una jeep, dopo essere state seviziate e uccise, divenne il volo di farfalle libere, di donne capaci di dire no al prevaricatore di turno. Per questo, con il tempo, sono diventate il simbolo dell’emancipazione femminile. Così nel 1999, proprio a ricordo del loro assassinio, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dichiarò ufficialmente il 25 novembre Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.

Violenza e pandemia

A giugno scorso, l’Onu ha diffuso un report realizzato dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, da Avenir Health, dalla Johns Hopkins University e dalla Victoria University australiana, nel quale si metteva in luce il chiaro incremento di casi di violenza sulle donne durante la pandemia: più di 15milioni di casi con un aumento del 20% delle violenze per i primi 3 mesi di lockdown in tutti i 193 Stati membri delle Nazioni Unite. E’ una piaga che percorre il mondo; negli Usa, in piena emergenza sanitaria, ogni minuto una donna è maltrattata dal proprio compagno; a Londra nelle prime sei settimane di lockdown sono stati 4mila gli arresti effettuati per abuso domestico.

Un tragico aumento di casi in tutto il mondo

Drammatici i numeri dell’America Latina. Quasi 50 femminicidi (termine più corretto che ha sostituito quello di “delitto passionale”) in soli due mesi in Argentina. In Messico, da febbraio ad aprile 367 le donne assassinate, in El Salvador le autorità avevano segnalato 9 femminicidi nel primo mese di blocco ma si teme che il numero sia più alto. In Brasile si è registrato un aumento del 56% delle violenze a marzo, in sei Stati. Con il lockdown, sono raddoppiate le chiamate alle linee di aiuto in Libano, in Malaysia, in Australia i motori di ricerca come Google hanno registrato il maggior volume di richieste di aiuto per violenza domestica degli ultimi 5 anni. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha esortato tutti i Paesi affinché adottino misure contro questo “scioccante aumento” di violenze.

Non numeri, ma persone

C’è dunque un’altra pandemia, una “pandemia oscura”, che colpisce milioni di persone, di donne. In questo video delle Nazioni Unite in occasione dell’odierna Giornata si ricorda che, in questo tempo segnato dal Covid-19, le violenze domestiche sono in aumento. In questo momento, molte persone sono intrappolate nelle loro case. Le storie di donne che ogni giorno, in tutto il mondo, subiscono violenza non sono dati statistici. Sono spesso anche volti sfigurati, corpi ricoperti da lividi. Vite vissute in gabbie di paura e violenza. “I dati sulle violenze contro le donne - si sottolinea nel video dell’Onu - non sono solo numeri, sono persone che potresti conoscere”.

La situazione in Italia

In Italia, dai dati Istat emerge un rilevante incremento delle telefonate al numero antiviolenza 1522 nel primo periodo di lockdown. Il Dossier del Viminale dello scorso settembre ha messo in luce che, durante questo periodo di blocco, una donna è stata uccisa ogni due giorni in famiglia; su un totale di 278 omicidi registrati tra agosto 2019 e luglio 2020, 149 sono in ambito familiare e ben 104 hanno avuto una donna come vittima. Il rapporto “Codice Rosso” presentato dal ministro della Giustizia Bonafede fotografa un "sensibile aumento" dei procedimenti iscritti per maltrattamenti contro familiari e conviventi nel periodo primo gennaio- 31 maggio 2020 rispetto al corrispondente periodo dell'anno 2019. Un “trend che può essere imputato alle misure di contenimento da lockdown e che hanno portato a situazioni di convivenza forzata”. Più 11% dei casi di maltrattamenti fra agosto 2019 e luglio 2020.

Adolescenti consapevoli ma silenti

Save the Children, in occasione della Giornata, ha reso noto i risultati di un’indagine condotta da Ipsos su un campione di adolescenti tra i 14 e i 18 anni in Italia. Emerge una maggiore consapevolezza del fenomeno della violenza, tra le ragazze il 70% dichiara di aver subito molestie nei luoghi pubblici e apprezzamenti sessuali e al 64% di loro è capitato di sentirsi a disagio per commenti o avance da parte di un adulto di riferimento. Ancora poche quelle che denunciano le molestie, sia per paura della reazione (29%) che per vergogna (21%). Sul web tra le ragazze il 41% ha visto postare dai propri contatti social contenuti che l’hanno fatta sentire offesa e/o umiliata come donna, e di queste il 10% si è sentita maggiormente esposta durante il lockdown. Preoccupa la percentuale di giovani, il 15% in maggioranza maschi, che pensano che le vittime di violenza sessuale possano contribuire a provocarla con il loro modo di vestire e/o di comportarsi. 

Le risposte alla violenza

I numeri drammatici, la crescita culturale del fenomeno, le varie campagne promosse hanno comunque aperto la strada anche ad interventi legislativi mirati, e sono state inaugurate modalità nuove di protezione come i centri antiviolenza e le case rifugio per le donne maltrattate. Secondo un’indagine dell’Istat, nel 2018, la metà delle donne che hanno lasciato la “casa rifugio” (50,8%) ha concluso il percorso di uscita dalla violenza e il 7,8% ha terminato il percorso di ospitalità, un esito positivo per circa 6 donne su 10. Ma le misure per garantire la sicurezza delle donne ospiti – ed è la denuncia del report “Le case rifugio per le donne maltrattate” - non risultano del tutto adeguate.

Investire nell’educazione

Suor Rita Mboshu Kongo, teologa congolese e docente presso la Pontificia Università Urbaniana, ribadisce che la strada da fare per contrastare il fenomeno della violenza contro le donne è molto lunga. “Bisogna lavorare, secondo la mia esperienza, sull’educazione e la formazione. Queste sono le priorità. E’ necessario educare a conoscersi – afferma – dialogare, coinvolgendo la famiglia, la scuola e la Chiesa e richiamare quel ‘patto educativo globale’ che Papa Francesco ha promosso”. Fondamentale, suggerisce suor Rita, è comprendere fino in fondo il senso della relazione, non dimenticando che ogni uomo è immagine di Dio e che la violenza contro le donne è violenza contro il Creatore.

Parlando della situazione nel suo Paese, la teologa ricorda che le donne subiscono violenza, subiscono il razzismo e anche il sessismo. “Umiliando la donna – afferma suor Rita – si umilia la famiglia. Umiliandole si umilia anche la società, la cultura in cui vivono, il clan, il villaggio o il Paese. La Chiesa in Congo sta cercando di fare un lavoro complesso per cercare di scardinare i pregiudizi, non è semplice ma non è nemmeno impossibile”. La teologa è una suora impegnata anche a far emergere il tema della violenza sulle suore nella Chiesa. Circa un anno fa, il problema è stato affrontato nella sua complessità, “oggi – sottolinea – la Chiesa sta lavorando, ci sono cambiamenti, è un processo nel quale senz’altro la Chiesa non è stata sorda al grido di sofferenza di molte”. L’invito, in conclusione, è quello di parlare con chiarezza. Parlare spesso non è semplice, ci sono ostacoli di vario tipo che portano le donne a scegliere la strada del silenzio come se questo cancellasse il problema. Serve supporto, solidarietà, sapere che non si è sole, soltanto così si potrà uscire dal buio e si potrà avere la forza per lottare contro l’ingiustizia subita, spesso gratuita e senza senso.

 

Vatican News

 

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