martedì 25 luglio 2023

TUTTO PASSA E QUASI ORMA NON LASCIA

Anche il corpo è un divenire, è stato creato per essere mutato, migliorato, trasformato a favore della vita che esso stesso porta come sete e chiede come pienezza

- di Rosanna Virgili

   

Il nostro organismo, il confronto con il tempo, il desiderio innato di eternità.

 Anche il corpo è un divenire, è stato creato per essere mutato, migliorato, trasformato a favore della vita che esso stesso porta come sete e chiede come pienezza Rosanna Virgili conclude oggi un percorso di riflessione in sei tappe su Corpo e Parola. A partire dai testi biblici la teologa e biblista ha offerto uno sguardo aperto ai mutamenti antropologici in corso, guardando alle ricadute sui Sacramenti della fede cattolica

 «Come sono belli i tuoi occhi dietro il velo» dice il Cantico dei Cantici alludendo a ciò che traspare del viso di lei coperto da un velo. Trame di seta che lo rendono ancor più affascinante e desiderabile. Ora le donne, da noi, non tengono più nulla dietro un velo, specialmente d’estate. Se ancora ai tempi di Totò mostrare il corpo con un bikini significava liberarsi da moralismi repressivi esercitati dai patriarcati familiari e sociali, che volevano soffocarne la pelle dentro degli “scafandri da palombari” (= costumi interi e castigati), oggi segnala, invece, più che voglia di esibire quasi un’indifferenza, un’estraneità tra sé e il proprio corpo e tra il proprio corpo e quello degli altri. Una nudità senza attesa, membra inermi esposte agli anonimi passanti e pure al vuoto di uno sguardo d’amore. Un corpo senza porte, senza un velo a vegliarne l’intimità. Il corpo si trasmette sempre più come immagine e il “velo” si trasforma nella prosaica calza da mettere sulla telecamera affinché si ottenga un effetto flou che spiani le rughe così da rendere impossibile l’emergere dei segni del tempo sulla fronte e sul collo. Ridotto ad immagine il corpo non sembra veicolare più il passato quindi la storia, le esperienze, le maternità, gli allattamenti, tutte le cicatrici che la vita vi ha scolpito. Qualcosa che molti condannano come fosse un peccato e qualcuno, con rara sapienza, non accettava, dicendo: “c’ho messo tanti anni a fare queste rughe perché dovrei cancellarle?” (Anna Magnani). Ma il desiderio di togliersi di dosso il peso degli anni è un’ansia indiscutibile del corpo. Di uomini e di donne. Il desiderio di rimuovere i difetti, le imperfezioni, le disarmonie, le malattie, tutte le forme più disparate della corruzione è viscerale e appartiene al corpo stesso. O meglio a quella che potremmo chiamare: l’anima del corpo.

 Un altro corpo

 Come è noto, i cristiani attendono e confidano nella resurrezione del corpo. Si tratta di un altro corpo quello che continuerà a vivere dopo la morte. Come sarà allora? Paolo è il primo ad argomentare su ciò: «Ma qualcuno dirà: “Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno?” (…) Quanto a ciò che semini, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano o di altro genere (...) Così anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; (…) è seminato corpo animale risorge corpo spirituale» (1Cor 15,35-44). La metafora è efficace ma resta l’interrogativo non solo su come sarà concretamente possibile trovarsi in un altro corpo, ma anche su come immaginarlo. Che ne sarà dei nostri difetti fisici che tanto ci disturbano nella vita mortale? Sorge inoltre un’ulteriore domanda: ma se saremo trasformati e perfetti, come faremo a riconoscerci? Non verremo mica tutti omologati secondo i canoni della chirurgia plastica?

 Com’è bella giovinezza

 Prima ancora che il cristianesimo proponesse la fede nella resurrezione della carne e quindi nella speranza di trovarsi in un corpo tessuto di spirito e libero dalla corruzione del tempo, alcuni sono stati più attenti e si son detti: a quale età si vorrebbe intercettare il per sempre? Ed ecco i miti dell’eterna giovinezza. Uno dei più antichi si trova nell’epopea di Gilgamesh un testo in accadico risalente alla fine del secondo millennio avanti Cristo. Trovandosi di fronte al cadavere del suo amico Enkidu, Gilgamesh prende la decisione di andare alla ricerca di una pianta il cui nome è: “Vecchio ringiovanisci”. Nonostante fosse stato avvertito da una locandiera saggia – Siduri – che non l’avrebbe mai trovata, Gilgamesh insistette e riuscì ad averla. Ma lungo il viaggio di ritorno, distrattamente, la appoggiò su una pietra e un serpente, fulmineo, la ingoiò! Mentre quest’ultimo cambiò la pelle e ringiovanì, Gilgamesh dovette rientrare ad Uruk nelle spoglie mortali. Le delusioni che seguono a questo tipo di miti non fanno dimenticare, tuttavia, la bellezza della giovinezza e il desiderio di goderne per sempre. C’è chi – come Lorenzo il Magnifico – suggerisce di approfittarne più possibile almeno finché dura: « Com’è bella giovinezza che si fugge tuttavia, chi vuol esser lieto sia del doman non c’è certezza ». Quasi un eco a un testo sublime del Qoèlet: « Godi, o giovane, nella tua giovinezza, e si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù. Segui pure le vie del tuo cuore e i desideri dei tuoi occhi » (11,9).

 Può forse un uomo rinascere quando è vecchio?

 «Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei. Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse (…) “Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?”. Rispose Gesù: “In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito” » (Gv 3,1-6). Non è facile comprendere di cosa parlasse concretamente Gesù in risposta alla domanda di Nicodemo. Ma è certo che questa domanda rimane più attuale che mai. Parliamo, infatti, oggi, di post-mortali, di eterna giovinezza e di appiattimento del tempo su di un’unica età. Yubal Noah Harari, nel suo Homo Deus, dice che saranno le scienze a darci quello che le religioni ci hanno promesso. Che dire? Importante è che l’anima non vaghi astratta dal corpo come pure che il corpo non si riduca a una carcassa senz’anima.

 Generato, non creato.

 Il verbo generare contiene una polisemia: la perdita, la rinascita, lo sviluppo da un seme a un corpo. “Generato e non creato”, la definizione che il Credo cattolico dà del Figlio di Dio incarnato è questa: egli è frutto e fonte di un processo. Venendo da un dinamismo, da un mutamento, da una trasformazione, continuerà a trasformarsi ed a trasformare: dal corpo animale a quello spirituale. Il corpo resta, ma non le sue strutture. Se, infatti, il primo è fatto di carne (basar) e di anima (nefeš) il secondo è fatto di spirito (pneuma). Una prospettiva del genere sul corpo dovrebbe liberare da qualsiasi attaccamento al dato “creato”. Difendere il dato naturale non costituisce il primo interesse del cristiano. Del resto nella Bibbia non si legge di una “legge naturale”, ma di diversi atti di creazione compiuti da Dio. Da essi si avvia un processo segnato dal tempo e dalla sapienza dell’uomo, il quale accetta il suo limite, sempre in rapporto con la Trascendenza. Abbiamo osservato come non si nasca né figli, né fratelli, ma si diventi tali. Abbiamo visto come anche la paternità e la maternità siano dei processi e non dei canoni assoluti e fissi. Dobbiamo concludere che anche il corpo è un divenire, è stato creato per essere mutato, migliorato, trasformato a favore della vita che esso stesso porta come sete e chiede come pienezza. L’anima del cristianesimo, presente in tutti i libri del canone biblico, consiste di una tensione del corpo alla vita, al superamento del limite posto dalla morte; è quanto abbiamo potuto dimostrare attraverso la lettura di molti testi. Il corpo sessuato è fatto per superare l’individualità e per vincere la solitudine; per continuare nell’apertura alla discendenza e nel fine primario dei figli, per mezzo dei quali ci si vuole procurare un plusvalore di vita dopo la morte.

 La storia del corpo che la Bibbia racconta è quella di un continuo divenire, della libertà e dell’audacia che spesso ha portato a spostare le caratteristiche dell’identità di genere, pur di garantire un futuro alla famiglia, alla società e alla civiltà. Ma ha anche continuamente cambiato gli schemi storici delle sue incarnazioni, seguendo le ragioni della Sapienza e dello Spirito: la comunione, l’amore, il patto tra due o più. Ed è questa la vera distanza tra il pensiero biblico sul corpo e quello della cultura contemporanea: quest’ultima è curiosa di vedere se sia possibile mutare i corpi delle persone allo scopo di una loro sempre maggiore autonomia, al servizio dell’individuo, affinché possa emanciparsi da qualsiasi bisogno o legame con il corpo dell’altro. Ciò porta non solo alla morte di Dio, che è l’Altro per eccellenza, ed alla morte del prossimo, ma anche alla morte dell’“umano”, così come la Bibbia lo concepisce. Essa, infatti, segue una direzione opposta, apre tutte le sue pagine ai mutamenti del corpo in vista della vita comune, dell’amore vicendevole, del riscatto dei poveri, della comunione tra le creature: « Per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo” ». ( Ef 2,16). La sua “umanità” è quella che tende all’inclusività, all’abbattimento dei muri, alla riconciliazione materiale e morale, alla resurrezione, alla costruzione di un “corpo” universale di pace. In questa tensione il corpo si trasforma, poiché nella Parola dell’abbraccio esso trova la Vita.

 www.avvenire.it

 

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