Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento.
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo
di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i
lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in
Spirito Santo». Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu
battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall'acqua, vide
squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E
venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio
compiacimento».
Ancora un piccolo sforzo per fare in modo che il Natale più
anomalo della nostra vita segni profondamente la nostra piccola vita.
Una vita inquieta, stanca, dopo nove mesi di pandemia,
potesse partorire qualcosa questa attesa infinita di normalità!
Con il Covid che non molla, la vaccinazione che non decolla,
i giochetti dei politici che, di questi tempi, mettono infinita tristezza, il
futuro incerto. E noi qui, tenaci, come un piolo conficcato nel terreno, ad
alzare lo sguardo, a custodire – tenacemente – la speranza, a vedere Dio che fa
nuove tutte le cose, a saperle vedere.
E in questo tempo liturgico breve, il più breve, intasato di
ricorrenze, arriviamo alla fine di questo breve tempo natalizio accogliendo
l’Epifania e approdando al Battesimo.
Cercando, ancora e ancora, di coltivare il desiderio.
Desiderio di vivere, di ricominciare, di andare
all’essenziale.
Di abbracci, di baci, di feste, di incontri, di volti senza
maschere, di sapori e odori.
Di Dio.
Se ce la fate ancora, preparatevi ancora ad un wow.
Sui magoi
Siamo talmente abituati ad immaginarli, questi stranieri
venuti da lontano montando dei cammelli, vestiti di seta e col turbante, da
averli relegati nell’ambito delle pie favolette per bambini.
Eppure, a leggere bene il racconto, fatta la dovuta tara alla
visione teologica e salvifica del buon Matteo, in questo racconto, nella logica
di quanto ci siamo detti a Natale, i magoi sono fra i pochi ad
avere accolto il Dio fatto uomo.
Anche se, in realtà, cercavano altro.
Il loro desiderio era quello di verificare l’ipotesi di un
collegamento fra un qualche evento astrale e la nascita di un re in Giudea. Me
li vedo, questi facoltosi e curiosi amici che scommettono su quale fra le loro
teorie sia quella corretta. Me li vedo mettersi in viaggio scrutando il cielo
(d’altronde la parola desiderio non proviene forse dal de-sidera,
guardare le stelle?).
Poi lo stupore per il parapiglia creato alla corte del
tiranno Erode e la notizia di un altro re da aspettare, di un’attesa legata
alla fede, di una promessa messianica. E lo sconcerto. Fino al riapparire di
quell’evento, di quella stella, che li ha condotti al cospetto di una madre e
di un neonato.
Non sono devoti, i magoi, né particolarmente
interessati alle cose dei preti.
Sono curiosi, sono scienziati, sono amici, sono disposti a
mettersi in strada per andare a vedere.
Il desiderio li spinge. La curiosità di dare una risposta
alle loro mille domande.
E trovano Dio.
Vorrei proprio capire chi sono quei geni che contrappongono
ricerca scientifica e fede.
Vorrei proprio imparare dai magoi ad alzare
lo sguardo e ad uscire dal palazzo.
Curiosi si diventa.
Su Giovanni
È un prete, suo padre Zaccaria lo è, ma non frequenta il
tempio.
È un profeta, ma non cerca discepoli e caccia la gente in
malo modo.
È preso per il Messia, ma non accetta che lo si consideri
tale.
Ha fatto della sua vita un’attesa. È l’immagine e l’emblema
del giusto che attende la salvezza di Israele. Non vuole clamore, non vuole
essere al centro dell’attenzione ma lo diventa, malgrado tutto. A Gerusalemme
hanno lo splendore del ricostruendo tempio e i riti e i sacerdoti. Scendono nel
deserto per udire una Parola sferzante ma vera in bocca ad un uomo scavato dal
sole e dal digiuno.
Ha un desiderio: preparare il popolo ad incontrare il Messia.
Ama Dio con passione amorosa. Ama il popolo e lo scuote.
Questo Dio che è venuto nella Storia e che ha stupito anche
lui. Dio non è mai come ce lo immaginiamo. Sempre oltre.
Vorrei proprio imparare dal Battista ad essere divorato dal
fuoco interiore dell’amore di Dio. E amare la gente anche scuotendola, se
necessario. E dare uno strumento di salvezza, come ha saputo fare lui con il
Battesimo. E diventare capace, almeno un poco, di farmi abitare dalla Parola
per diventarne voce.
Su Gesù
È un perfetto sconosciuto. Jeoshua di Nazareth di Galilea.
Si mette in fila con i penitenti, lui che non porta peccato
con sé. Chiede perdono, lui che non sa cosa sia la colpa.
Solidale fin dal primo gesto, in mezzo, assieme, con gli
altri.
Un gesto sconvolgente, che esprime il desiderio di Dio di
salvare ogni uomo, mischiandosi con noi. Non ci salva dall’alto. Non ci salva
con un molle gesto di condiscendenza.
Si sporca le mani di fango, questo Dio.
E ci rivela, attraverso la voce del Padre: siamo amati, sono
amato.
Da sempre. A prescindere. Senza condizioni.
Dio è contento di me, ai suoi occhi, come diceva papa
Francesco, sono una meraviglia.
Vorrei imparare dal Signore Gesù a mischiarmi fra i
peccatori, perché lo sono.
Senza giudicare, senza pretendere, senza deprimermi.
Vorrei imparare ad amarmi come Dio mi ama, a vedermi come
egli mi vede, già fiorito, compiuto, realizzato. Vorrei non porre ostacoli, non
lamentarmi, non cercare applausi o gratificazioni, perché sono figlio di Dio
nel Figlio.
E alzarmi ogni mattina e indirizzare il mio pensiero a questa
nuova, immensa, stordente verità: sono amato.
Non me lo merito, non ho fatto nulla perché ciò avvenisse. È
accaduto perché Dio ha deciso di rivelarsi, di rivelarmi a me stesso.
Voglio lasciar fare nuove in me tutte le cose.
Magari riscoprendo quel grande segno di appartenenza a Lui
che è stato il mio battesimo.
Quel giorno benedetto in cui sono stato immerso nella vita di
Dio.
Nessun commento:
Posta un commento