"Posti letto occupati al 100% da tentativi di suicidio, non mi era mai successo.
Al pronto soccorso un ricovero al giorno per ‘attività autolesionistiche’"
Via l’immagine dei fannulloni sdraiati sul divano con il
cellulare. I giovani, che da quasi un anno vivono la pandemia, stanno
soffrendo. E anche molto. A dimostrarlo è un dato condiviso da Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria
dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale
Pediatrico Bambino Gesù di Roma: i tentativi di suicidio e autolesionismo
sono aumentati del 30%. “Dal mese di ottobre ad oggi, quindi con l’inizio della
seconda ondata, abbiamo notato un notevole rialzo degli accessi al pronto
soccorso con disturbo psichiatrico, nel 90% sono giovani tra i 12 e i 18 anni
che hanno cercato di togliersi la vita - ci spiega -. Se nel 2019 gli accessi al
pronto soccorso erano stati 274, nel 2020 abbiamo superato quota 300. Mai come
in questi mesi, da novembre a oggi, abbiamo avuto il reparto occupato al 100
per cento dei posti disponibili, mentre negli altri anni, di media, eravamo al
70 per cento. Ho avuto per settimane tutti i posti letto occupati da tentativi
di suicidio e non mi era mai successo. Al pronto soccorso si registra un
ricovero al giorno per ‘attività autolesionistiche’”.
Tutta colpa della pandemia?
“Stiamo assistendo a due fenomeni: da una parte,
abbiamo gli
adolescenti che per autoaffermarsi diventano aggressivi, fanno male agli
altri, fanno male ai genitori, si tagliano, diventano intrattabili. Dall’altra,
abbiamo i giovani che si chiudono a riccio, si rifugiano nel loro mondo e nella
loro stanza e non sappiamo se avranno voglia di uscire fuori da questo guscio,
una volta passata la tempesta. Il fatto è che la pandemia sta facendo aumentare
lo stress e lo stress facilita la comparsa di una serie di disturbi,
principalmente disturbi d’ansia, disturbi del sonno e depressione. Aumentano
per una serie di fattori: prima di tutto, c’è la paura di ammalarsi che i
bambini e i ragazzi ‘respirano’ dentro casa. Poi c’è l’assenza del gruppo dei
coetanei che fa da ammortizzatore. Un adolescente - lo siamo stati tutti e lo
sappiamo benissimo - parla poco con mamma e papà. Se deve raccontare un
problema preferisce confrontarsi con un amico, con il compagno di banco. Questa
interazione in presenza non c’è più e a distanza non è la stessa cosa”.
Perché si reagisce con l’autolesionismo?
“L’autolesionismo esiste da sempre: il 20% degli adolescenti
in Italia e il 25% in Europa si fa del male, si taglia, si infligge un danno
fisico intenzionalmente. Tra le attività di autolesionismo c’è anche il
tentativo di suicidio che è la seconda causa di morte per i giovani tra i 10 e
i 25 anni dopo gli incidenti stradali. Questo fenomeno è sempre esistito, ma da
ottobre si è acutizzato. Si tratta principalmente di tagli negli avambracci,
nelle braccia, nelle gambe. Molti ragazzini ci dicono che lo fanno perché si
sentono attanagliati da un malessere psicologico ed è come se il male fisico li
liberasse dal dolore interiore”.
Quanti sono i posti letto dedicati alla psichiatria dei
minori in Italia?
“Da questo punto di vista c’è un problema troppo spesso
sommerso: sebbene il 20% degli adolescenti soffra di un disturbo mentale, i
posti letto complessivi in Italia sono soltanto 92. Qui al Bambin Gesù ce ne
sono otto, ma ci sono regioni che non ne hanno neanche uno. Si tratta di una
vera e propria emergenza, calcolando che il numero di tentati suicidi e
autolesionismo si sta alzando. Dove non ci sono posti, i giovani vengono
ricoverati in pediatria - accanto magari al bimbo con la bronchite - o in
strutture dedicate agli adulti, dove la permanenza non è di certo facile. I
disturbi psichiatrici e la loro cura passano ancora in secondo piano. Basti
pensare che, sebbene i disturbi psichiatrici siano più frequenti in età
evolutiva, i pediatri non studiano psichiatria nel loro percorso di
formazione”.
La mancanza della scuola in presenza ha un ruolo nell’aumento
degli episodi di autolesionismo e tentati suicidi?
“Sono convinto che sia proprio l’assenza della scuola ad aver
‘pesato’ così tanto sugli adolescenti. Continuiamo a pensare che la scuola sia
solo didattica: questo è un errore gravissimo. La scuola non può essere vista
come luogo di preparazione al mondo del lavoro ma come luogo di formazione del
carattere e della conoscenza. All’interno della scuola si cresce culturalmente,
ma non solo. Ci si riscatta, ci si afferma. Anche chi appartiene a contesti
umili, tramite la scuola può studiare e riscattarsi. Se la scuola non c’è,
l’affermazione di sé passa attraverso valori negativi: le risse per strada,
l’autolesionismo, i litigi violenti, con compagni e genitori. I giovani hanno
necessità di ribellarsi, ma più riduciamo gli spazi di possibile
‘deragliamento’, gli spazi in cui possono infrangere le regole sotto lo stretto
controllo dell’adulto - come appunto, le scuole - più queste ribellioni
diventano violente”.
Cosa ne pensa di chi dice che i giovani non stiano soffrendo
in questa pandemia perché “non stanno mica combattendo la guerra”?
“Penso che si sbagli di grosso. Ai ragazzi è stato chiesto di
fare uno sforzo enorme in questi mesi: allontanarsi dai propri compagni, dalla
propria routine, da tutto quello che prima costituiva il loro mondo. Chi ha gli
strumenti giusti, ovvero risorse economiche, famiglie solide alle spalle, può
cavarsela. Ma chi vive in periferia, in contesti poveri con genitori con
rapporti conflittuali: ecco, per questi giovani la permanenza in casa non è così
facile. Sono costretti a cercare altre valvole di sfogo”.
Cosa si può fare per invertire la rotta?
“In questa emergenza i giovani sono stati dimenticati: devono
invece essere rimessi al centro dell’attenzione del mondo, politico e non, per
il semplice fatto che saranno loro gli adulti di domani. Dobbiamo supportarli e
dotare di strumenti per affrontare questo momento storico anche quei ragazzi
che risorse non ne hanno. Dovremmo poi lavorare su ciò che rinforza la salute
mentale, cioè famiglia e scuola, e potenziare le strutture psichiatriche sul
territorio, dato che le Asl hanno impoverito fortemente i servizi di
neuropsichiatria infantile. La buona notizia è che dalle malattie mentali si
guarisce. Il genitore di un figlio con malattia mentale fa fatica ad accettarla
perché in qualche modo se ne dà la colpa. Un papà con la figlia anoressica non
va dallo psichiatra perché crede di essere stato un cattivo padre. La malattia
mentale fa paura, ma solo affrontandola senza pregiudizi si può sconfiggere”.
The
young hope. "I giovani da soli
nel lockdown hanno trovato risorse impreviste" (di I. Betti)
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