Acutis e Frassati:
primi della classe?
No, santi nella vita.
Consigli ai docenti di
oggi
Giovani,
belli, benestanti, sportivi, capaci di coinvolgere e aggregare, appassionati,
in ricerca, attenti agli ultimi. Piergiorgio e Carlo hanno tanti aspetti in
comune. Entrambi hanno frequentato le scuole dei gesuiti, rispettivamente a
Torino e Milano. Nel colloquio con i docenti, che li hanno conosciuti o ne
hanno approfondito la testimonianza, alcuni tratti comuni e appunti per far
nuova anche la scuola.
-di Laura Galimberti
“Altro da fare”
Non
erano proprio secchioni. I due giovani avevano tanto “altro da fare”. Lo
confermano documenti e docenti. Così capitava che Carlo, alunno “comunque
brillante”, non eseguisse a volte i compiti di matematica per impegni non ben
specificati. Istituto Leone XIII,
Milano, quarta ginnasio: “Non era particolarmente appassionato alla mia
materia” racconta la sua docente di matematica, Maria Capello. “A volte
arrivava in ritardo. L’anno è finito con una leggera insufficienza. Ho dato 5
ad un santo! Solo dopo ho scoperto quali erano gli impegni. Faceva il bene,
senza dirlo, senza mai vantarsene. A settembre aveva recuperato egregiamente,
ma non ho avuto neanche il tempo di dirglielo”. Lo conferma Antonio
Bertolotti, suo docente nel 2005 di italiano: “Un ragazzo normale, nella
media. Le materie umanistiche erano quelle in cui si muoveva meglio. Di quanto
faceva oltre la scuola non avevo percezione. La sua scomparsa è stato un evento
dirompente. Da lì abbiamo iniziato a riannodare i fili”.
Frassati:
bocciato e rimandato due volte in latino al Liceo classico Massimo d’Azeglio
passa all’Istituto Sociale. Accetta
l’insuccesso, va oltre. “Bellissima la lettera che Piergiorgio scrive al padre:
la sua voglia di riscattarsi, di andare avanti” racconta Antonello Famà,
storico docente di religione nella scuola. Sarà questo poi uno dei suoi motti:
“vivere non vivacchiare”.
In
ricerca profonda
“Domande,
domande e quel suo sorriso. Una curiosità sempre positiva” ricorda Fabrizio
Zaggia, docente di religione di Carlo in IV ginnasio. “Vai a posto!
Dobbiamo iniziare la lezione – gli dicevo ogni tanto, anche se poi spesso ero
io a cambiare la lezione a partire dalle sue domande”. Concorda anche
Bertolotti, ora preside della secondaria inferiore del Leone XIII. “Alla
quindicesima domanda lo mandavo al suo banco. Spaziava da temi trattati in
classe, all’attualità. Sembrava davvero interessato a quel che pensavo e voleva
comunicarmi anche i suoi interessi. Ricordo in particolare la sua grafia, piccolissima.
Era piuttosto produttivo nei temi: 5 o 6 pagine. Ogni tanto mi innervosivo nel
correggerli. Era una scrittura da grande, non aveva tratti infantili”. Al
cambio d’ora entrava l’insegnante di matematica. Le domande ora erano per lei:
“Era giovane per quegli interrogativi, pensavo. Spesso si fermava a pregare
nella cappella del liceo. Così faceva anche in parrocchia, abbiamo saputo
dopo”.
Frassati,
all’Istituto Sociale dal 1913, incontra diversi interlocutori che saranno
estremamente preziosi per il suo percorso: si avvicina agli Esercizi
Spirituali, che vivrà tante volte a Villa Santa Croce. Poi la preghiera,
l’eucarestia giornaliera. Una fede attiva, incarnata nella storia, nella
carità.
Ragazzi
per gli altri
“Tre,
due, uno: Menga mettiti nel gruppo!”. È la battuta iniziale del breve
cortrometraggio curato da Carlo e realizzato con la sua classe, su proposta del
prof di religione, per partecipare ad un concorso sulla promozione del
volontariato. “Hanno bocciato il video di un santo” sorride il prof. Non
abbiamo vinto ma in quel progetto Carlo è stato capace di coinvolgere tutti.
Ricordo la sua grande disponibilità: Non si preoccupi: giro, monto e
scelgo le musiche – mi diceva. Ha inserito anche qualche breve secondo
della colonna sonora di Mission di Morricone. Era attento che
nessuno venisse escluso, in particolare introversi e più deboli. Amico di
tutti. Deciso nelle sue idee, ma mai arrabbiato o prepotente”. “Sereno”
aggiunge Bertolotti “una persona di cui fidarsi. I compagni, e le compagne in
particolare, con lui parlavano e si confidavano volentieri”.
A
salire in montagna con Piergiorgio sono stati sempre tanti gli amici. Fonda con
alcuni di loro la “Compagnia dei Tipi Loschi”, che tra scherzi e goliardia
aspirava a rapporti profondi e autentici, fondati su preghiera e fede. “Gioia
di vivere e profondità nelle relazioni, sono tratti perfettamente conciliabili
in loro” sottolinea Famà, giovani aggregatori naturali di relazioni.
Attenti
agli ultimi
Entrambi
escono dalle zone di comfort in cui sono nati. I privilegi? Servono per aiutare
gli ultimi. Piergiorgio al Sociale conosce la Società di San Vincenzo. “Entra
nelle case dei poveri di Torino degli anni ‘20. Ne sente la puzza. Non si tappa
il naso ma abbraccia quelle situazioni. Non l’estetica della carità, ma la
condivisione, l’attenzione concreta alle periferie di cui ha parlato Papa
Francesco” spiega Famà. “Lo studio si accende dopo, al Politecnico. Sceglie
ingegneria mineraria. Vuole lavorare accanto ai minatori per migliorarne le
condizioni di vita”.
“Chi
incontrava aiutava” racconta la prof. Capello di Carlo. “Si faceva prossimo,
senza mai voltarsi indietro. Dava quello che poteva: un sacco a pelo, una
coperta ai poveri. A chi non aveva bisogno, offriva il suo sorriso. Una vita
spesa per gli altri”. “Il processo di canonizzazione? Non accolto positivamente
dai suoi compagni” confida Bertolotti “in particolare dai più brillanti. La
santità mette addosso un po’ di inquietudine, soprattutto se è quella del
compagno del banco accanto”.
Consigli ai docenti di oggi
Testimonianze
che mettono in discussione genitori, docenti, educatori, davanti ai tanti
giovani che si incontrano, unici, speciali, tutti possibili santi.
Osservare,
ascoltare
“Ci
sono cose importanti per i ragazzi, più dei compiti e dello studio. Dobbiamo
imparare ad ascoltare. Hanno messaggi preziosi che nell’immediato non capiamo”
spiega la Capello. A partire da quelli possiamo poi trovare strade per
stimolare interessi e ricerca per favorire la maturazione di ciascuno”. “Dietro
ogni ragazzo c’è un mistero. Il Signore è al lavoro, anche se noi non vediamo”
aggiunge Zaggia.
L’alunno
al centro, per promuovere il suo magis
“I
giovani di oggi vivono spesso l’apprendimento in forma passiva, sono sdraiati.
L’approccio che hanno rispetto all’informatica è quello dell’uomo
raccoglitore” sottolinea Bertolotti. “Non serve sforzo. La filosofia
del copia e incolla è analoga a quella dell’uomo di
Neaderthal. Non sono curiosi, perché non sono e non si sentono al centro del
processo di apprendimento ma in mezzo al mare magnum, in cui sono convinti che
basta allungare la mano per prendere quel che serve.
Altro
regresso è quello comunicativo: non sanno formulare il pensiero né comunicarlo.
Non c’è sequenzialità logica anche nei loro messaggi WhatsApp. Tanto
l’intelligenza artificiale risolve il problema! Carlo non era uno sdraiato.
Faceva tanto altro. Toglieva il coperchio al mondo che gli stava davanti. Ai
ragazzi dico non buttate via il tempo, anche quello
scolastico!”.
“Dobbiamo
aiutare i ragazzi a recuperare questo desiderio di conoscere, scoprire”
aggiunge Famà. “ritrovando il giovane come soggetto dell’azione educativa,
della riflessione anche di noi professori, da aiutare e supportare nei momenti
di difficoltà, cogliendone e e promuovendone l’unicità. Il magis,
della pedagogia
ignaziana, non è concetto teorico ma relativo” sottolinea Famà. “Ciascuno
ha il suo magis. L’eccellenza di oggi invece è una proposta
escludente. Dio ha su ognuno di noi un progetto individuale, particolare,
diverso che non taglia fuori nessuno”.
Una
didattica esperienziale
“È
importante favorire iniziative in contesti diversi. Far vivere ai ragazzi
esperienze vere li aiuta a capire meglio se stessi, gli altri e aiuta anche noi
a crescere con loro” spiega la Capello. “Sono tanti i progetti attivi nelle
scuole della Compagnia: volontariato e cammini vogliono valorizzare relazioni e
imparare a guardare il mondo con occhi nuovi”.
A
servizio del prossimo
“Dalla scatola
gentile, alla catena alimentare, alle raccolte per diverse
iniziative solidali. Sono tanti gli strumenti che mettiamo in atto fin dai più
piccoli” spiega il prof. Zaggia. “Poi i ragazzi crescono e così le proposte,
che nella rete delle scuole dei gesuiti sono strutturali. Esperienze a Scampia,
in Africa, per calarsi nelle realtà, mettersi in gioco, donare gratuitamente il
proprio tempo, cambiare sguardo. All’estero sono oramai esperienze
curricolari”.
Attenzione
alle fragilità
“Ancora
dobbiamo imparare a riconoscere e abbracciare le fragilità, come hanno fatto
Piergiorgio e Carlo. Non solo dal punto di vista caritativo ma anche
dell’azione politica” aggiunge Famà. “Creare opportunità, dialogare e
promuovere giustizia sociale”.
Dalle
cattedre al sagrato di San Pietro, i docenti domenica saranno lì accanto
all’altare, pronti a reimparare da due studenti “brillanti” l’arte della vita
piena.
Fonte: Gesuiti
https://share.google/Yg3yFRv3Px0Wra7Xr