venerdì 10 luglio 2020

LA "GENERAZIONE Z" IN CERCA DI UNO SGUARDO DI VERA FIDUCIA


La nuova fotografia del Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo sulle relazioni dei ragazzi nati tra il 1997 e il 2012
Gli adolescenti oggi testimoniano una buona qualità dei rapporti familiari ma patiscono le stesse ambivalenze del mondo adulto, sentendosi fragili.
Occorre guardare al fenomeno adolescenza attuale non limitandosi a concentrarsi su ciò che manca ma cercando di valorizzare il bene che c’è perché possa esprimersi al meglio 
Chi ha la responsabilità di guidare i ragazzi deve aprirgli uno spiraglio di speranza per farli uscire dalla «liquidità»


PAOLA BIGNARDI*
ELENA MARTA

Quale sguardo siamo soliti posare sui giovani nati tra il 1997 e il 2012, i membri della cosiddetta Generazione Z, i fratelli minori dei Millennials, i primi veri nativi digitali? Una generazione nata e cresciuta in un mondo fortemente connotato dalla guerra al terrorismo seguita all’11 settembre, che ha vissuto gli esiti di una forte crisi economica e che ora, nel pieno della sua adolescenza e transizione all’età adulta, sta vivendo un’emergenza pandemica inedita e inattesa. Cosa vediamo quando li guardiamo? La loro condizione di rischio, in parte fisiologica data la fase che stanno vivendo e in parte legata alle letture mass-mediatiche dei 'rischiologi'? La loro visione concreta e realista, che sembra porre in secondo piano sogni e ideali? La loro capacità di appassionarsi per le condizioni ambientali del nostro pianeta, di scendere in piazza, di delineare scenari futuri di sviluppo, con competenza e caparbietà, alternando momenti di serietà con momenti di gioiosa confusione?
Non è indifferente lo sguardo che posiamo su di loro perché da esso discende il modo con cui li sappiamo valorizzare o squalificare, accompagnare e sostenere o dominare e mortificare e da cui, certo in maniera non deterministica ma possibile, a sua volta deriva il modo con cui si penseranno cittadini nelle loro comunità di vita. C onsapevole di questo, nel 2016 l’Istituto Toniolo, attraverso il suo Osservatorio Giovani, ha dato avvio alla ricerca nazionale longitudinale denominata «Generazione Z», giunta alla sua quarta rilevazione, che ha coinvolto mediamente 6mila adolescenti all’anno, studenti di diversi tipi di scuole secondarie superiori (licei, istituti tecnici e istituti professionali). In questa ricerca abbiamo deciso di guardare gli adolescenti con uno sguardo né malevolente né benevolente a priori, quanto piuttosto curioso, empatico, non giudicante ma nemmeno de-responsabilizzante, accogliente ma connotato dalla fermezza che dovrebbe caratterizzare l’adulto che si assume, in maniera generativa, la responsabilità di far crescere la generazione successiva alla propria. Abbiamo deciso di metterci in ascolto della loro voce, dei loro desideri, dei loro sogni. Ma anche di considerarli come soggetti-in-relazione con pari e adulti e soggetti-nei- contesti di vita che con essi condividono.
Dal punto di vista scientifico abbiamo assunto come frameworkteorico il «Positive Youth Development», un approccio nato all’interno della psicologia degli interventi di comunità che, pur non dimenticando i rischi e le difficoltà dell’ado- lescenza, focalizza l’attenzione contemporaneamente sia sui talenti delle persone sia sui contesti relazionali in cui essi possono svilupparsi e venir valorizzati.
Q uesto framework ci ha consentito di considerare gli adolescenti come persone nella loro pienezza senza ridurre i loro talenti a profili di competenze standard, ma valorizzandoli in termini di qualità personali che hanno un valore in sé e danno valore al Sé di ciascuno. Inoltre, focalizzare l’attenzione sui contesti relazionali ha significato per noi trattare il tema di ciò che fonda il legame interpersonale e sociale, ovvero la fiducia. Costrutto relazionale per eccellenza, essa si compone di tre aspetti: cognitivo, ovvero le informazioni che si possiedono sull’altro e le strategie co- gnitive che si possono utilizzare per prevedere il suo comportamento; emotivo, ovvero la paura di fidarsi dell’altro o, al suo opposto, un coinvolgimento 'cieco' e acritico nelle relazioni; pro-sociale o morale, ovvero l’interesse non tanto e non solo per sé, non tanto e non solo per l’altro, quanto soprattutto per la relazione. Non una relazione purchessia, ma una relazione generativa, attraversata dalla dinamica del dono, che sempre porta con sé gratuità e obbligo, riconoscimento dell’altro e gratitudine. Ecco perché lo sguardo che poniamo sui giovani è importante: se la fiducia è un prerequisito affinché la relazione si generi, è lo sguardo che noi poniamo sull’altro – e viceversa – che di fatto genera il legame o lo rigenera nel caso si sia incrinato o rotto.
L o sguardo degli adulti sui giovani dunque non è privo di conseguenze. Ecco perché è così importante guardare alla Generazione Z con fiducia e studiare la qualità delle relazioni che essa vive nei diversi contesti della sua quotidianità: per dare avvio a questo circolo relazionale virtuoso che offre senso al vivere e fonda il convivere con gli altri e con le altre generazioni.
Ecco perché abbiamo dedicato al tema della fiducia e delle relazioni significative degli adolescenti un capitolo del Rapporto Giovani 2020 (edito dal Mulino) e più diffusamente ne tratteremo nella pubblicazione di prossima uscita a fine luglio per i tipi di Vita e Pensiero.
Le relazioni indagate sono quelle con i familiari, padre, madre e fratelli/sorelle; con il partner e con i pari; con compagni di squadra e allenatori. Alle relazioni con gli insegnanti era stato dedicato il volume precedente. In generale i dati della ricerca ci mostrano che la qualità delle relazioni familiari è buona e che la mamma continua a rimanere la figura cardine delle relazioni degli adolescenti. Vale la pena notare, però, che anche con il padre vi sono relazioni positive: in particolare i dati pongono in luce un interessante asse padre-figlio maschio. È questo un dato che conferma come si sia chiusa l’epoca dei cosiddetti 'padri pallidi': il padre non ha più una posizione marginale ma è difficile definire i contorni della sua presenza all’interno del nucleo familiare.
Un altro elemento interessante è l’intensità con cui sembra che questa generazione viva le relazioni al Sud: sia gli aspetti più positivi sia quelli più critici, in questa parte del nostro Paese sono vissute 'al massimo', e restituiscono l’immagine di relazioni ricche e vive. Lo stesso profilo sembrano avere le relazioni per le sorelle rispetto ai fratelli.
Chi sono, dunque, i giovani e le giovani della Generazione Z? Sono persone/ cittadini in formazione che sperimentano più degli adulti le ambivalenze del vivere: sono figli delle libertà autoespressive e sono vittime di uno scenario sociale che li rende fragili ed esclusi. In questo non sono diversi dalla generazione adulta, con la quale oggi purtroppo troppo spesso condividono la difficoltà di dare una direzione e un senso coerente al proprio vivere. Come gli adolescenti delle generazioni precedenti hanno sogni e desideri, ancorati al loro tempo. E come ci siamo spesso trovate a dire, riconfermiamo che spetta a ogni generazione assumersi le proprie responsabilità. Agli adulti viene chiesto costantemente di assumersi le proprie responsabilità, termine molto usato soprattutto in questi tempi, che nella pratica però si traduce in stretti e impervi sentieri poco frequentati. È nostra la responsabilità di iniziare a guardare al 'fenomeno adolescenza' con occhi diversi: non solo puntare il dito su ciò che non funziona, che manca, che crea disagio o problemi, ma anche e soprattutto valorizzare ciò che già c’è e che ha bisogno di essere sostenuto per potersi esprimere al meglio. È responsabilità della generazione adulta aprire lo spiraglio alla speranza d’uscita dalla liquidità baumaniana, che significa rendere pensabile e possibile la speranza in un mondo veramente a misura di persona, capace di valorizzare i talenti di ciascuno/a e rinforzi costantemente quei circoli virtuosi di fiducia che rendono la vita degna di essere vissuta.

*Paola Bignardi è coordinatrice dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo Elena Marta è componente dell’Osservatorio Giovani docente di Psicologia sociale e di comunità all’Università Cattolica




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