Gli «esempi»
che hanno dato frutto
SULLA «MAFIA BUONA» UNA VITTORIA CULTURALE
di Giuseppe Pignatone*
La storia della vita e
della morte di padre Puglisi rende un’idea della violenza incombente e
senza limiti di quella condizione di offesa continua alla dignità umana
in cui si viveva a Palermo, e che a padre Puglisi fece dire: «Chi usa
la violenza non è un uomo, si degrada da solo al rango di animale». E di
questa minaccia imminente, di questo rischio della vita tanti erano
consapevoli: persone comuni e persone più esposte per il lavoro che
facevano o il ruolo che ricoprivano. Lo erano Falcone e Borsellino, lo
erano Piersanti Mattarella e Pio La Torre, lo era Padre Puglisi, che si
preoccupò di non esporre a pericolo i suoi amici, quelli che gli erano
stati affidati dal Padre (Gv. 17,8). E di quei rischi erano consapevoli tanti altri che, per un caso o
per un disegno della Provvidenza, non sono stati colpiti dalla violenza
mafiosa.
Riandando con
il pensiero a quegli anni, penso che tanti, tantissimi, hanno cercato di
portare avanti, a Palermo e in Sicilia, una 'normalità impossibile'.
Proprio perché la situazione era questa io credo che sia giusto ripetere
in ogni occasione che noi, cioè lo Stato italiano, abbiamo sconfitto
quella mafia, la Cosa nostra corleonese, la mafia delle stragi, la mafia
che aveva sfidato lo Stato pretendendo di trattare da una posizione di
superiorità. Una sfida che è durata troppo a lungo, costata troppe
vittime e troppi sacrifici, ma che è stata vinta senza leggi
eccezionali, nel rispetto della Costituzione e dei codici. Il delitto di
Brancaccio, insieme alle bombe piazzate proprio dai mafiosi agli ordini
dei Graviano a San Giovanni («cuore della Roma cristiana», secondo la
definizione del cardinale Ruini) e a San Giorgio al Velabro il 27 luglio
1993, rappresentano una intimidazione a tutta la Chiesa e una risposta
alle parole pronunziate da Giovanni Paolo II ad Agrigento poche
settimane prima, il 9 maggio. Queste parole colpirono profondamente i
mafiosi perché denunziavano direttamente una delle ipocrisie chiave
nella falsa rappresentazione che le mafie danno di sé: quella di essere
una vera religione, coerente e compatibile con quella cattolica, ancora
così importante nelle nostre regioni.
Naturalmente la vittoria processuale, se così si può dire, sulla mafia
corleonese è frutto anche di una battaglia culturale che è e che sarà
decisiva per la vittoria su tutte le mafie. E su questo punto cruciale
l’esempio di padre Puglisi rimane di assoluta attualità. Diceva: «Non
dobbiamo tacere, bisogna andare avanti. Ciò che è un diritto non si
deve chiedere come fosse un favore». Parole ancora attuali, e non solo a
Palermo. Mi tornano in mente le parole di Paolo Borsellino che invitava
a parlare comunque, in ogni occasione, della mafia, perché la mafia
cerca il silenzio, il nascondimento, la disinformazione, come si vede in
ogni parte d’Italia.
Quelle di padre Puglisi non erano solo parole vane, ma parole che
generavano effetti inaccettabili per i mafiosi. Naturalmente non era un
illuso. E la sua frase più famosa, «se ognuno fa qualcosa, allora si può
fare molto», segue l’affermazione piena di realismo con cui mette in
guardia i suoi amici: «Le nostre iniziative devono essere un segno. Non è
qualcosa che può trasformare Brancaccio. Questa è un’illusione che non
possiamo permetterci».
A
queste parole di Padre Puglisi io vorrei affiancare quelle di due altri
grandi siciliani. Giovanni Falcone: «Si può sempre fare qualcosa»
dovrebbe essere scritto sullo scranno di ogni magistrato e di ogni
poliziotto. Piersanti Mattarella, in un discorso ai giovani, disse: «Non
vi lamentate se il personale politico della Dc siciliana è mediocre e
impresentabile, perché la responsabilità più grande e più grave è quella
degli onesti e dei capaci che se ne lavano le mani e non si impegnano
per cambiare le cose». Lo storico Andrea Riccardi si chiede se alla fine
per Mattarella, come per Puglisi, non si possa parlare di vite sprecate
per realizzare sogni impossibili. Al di là della risposta della fede –
che riguarda la coscienza di ognuno e che si basa sulla parabola, cara a
padre Puglisi, del chicco di grano che se non cade e marcisce non dà
frutto – anche in una logica laica gli esempi di Mattarella e di padre
Puglisi, uniti a quelli di tanti altri, hanno portato frutto.
Non solo per quella che ho definito la sconfitta processuale della
mafia corleonese, ma anche sul piano – decisivo – della crescita
culturale. Fino a non molto tempo fa 'mafia' non coincideva affatto con
'criminalità'; si poteva essere mafiosi senza sentirsi né essere
considerati delinquenti. Oggi non è più così. Nessuno più oserebbe
parlare di una 'mafia buona' o definire la mafia 'un normale modo di
comportarsi'.
Ecco, io –
che ho vissuto quei tempi in cui tutto questo avveniva – credo che si
tratti di un cambiamento di fondamentale importanza, determinato certo
dalle stragi e dalle migliaia di vittime, ma anche dall’esempio positivo
di tanti, a cominciare naturalmente da quello, eroico fino al martirio,
di padre Pino Puglisi.
*Magistrato, procuratore della Repubblica di Roma
Nessun commento:
Posta un commento