Dal Vangelo secondo
Marco -
Mc 6, 30-34
30Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e
gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. 31Ed
egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e
riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non
avevano neanche il tempo di mangiare. 32Allora andarono
con la barca verso un luogo deserto, in disparte. 33Molti
però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e
li precedettero. 34Sceso dalla barca, egli vide una grande
folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro
molte cose.
Commento di Enzo
Bianchi
Tornano dunque da Gesù, colui che
li aveva inviati e abilitati alla missione, tornano alla fonte, tornano a colui
che li aveva chiamati “perché stessero con lui”, oltre che “per mandarli a
predicare” (Mc 3,14). Essi “raccontano a Gesù tutto quello che avevano fatto e
insegnato”: azioni e parole che erano state comandate da Gesù, ma che
soprattutto gli apostoli avevano imparato ad assumere stando con lui, coinvolti
nella sua vita, vivendo con lui, il loro rabbi, maestro e profeta. Sappiamo di
che cosa era fatto questo loro servizio: l’annuncio del Regno di Dio veniente,
della necessaria conversione, e una prassi di umanità autentica che si
manifestava nell’incontrare le persone, nell’accoglierle, nel dare loro fiducia
risvegliando la loro fede, nello sperare insieme a loro, nel liberarle, per
quanto possibile, da oppressioni diverse dovute alla presenza del Male operante
nel mondo. Marco non dice che gli inviati hanno fatto cose straordinarie,
miracoli, perché ciò che era sufficiente l’hanno eseguito in obbedienza al
mandato di Gesù.
Ecco dunque i discepoli-apostoli
riuniti intorno a Gesù, che da autentico pastore della sua comunità ascolta ciò
che essi hanno vissuto e sperimentato nella missione. Vi è un vero dialogo tra
Gesù e gli inviati (descritto più diffusamente in Lc 10,17-20), nel quale
vengono evidenziate fatiche e gioie, risultati e fallimenti di quella missione
in Galilea anticipatrice della missione a tutte le genti da parte di coloro che
Gesù risorto invierà.
Gli apostoli sono stanchi, e
Gesù, che è stato raggiunto dalla notizia della decapitazione di Giovanni, il
suo rabbi, nella sua tristezza decide di prendere le distanze dalla
predicazione che lo impegnava e lo affaticava. Dice dunque ai Dodici: “Venite
in disparte, voi soli, in un luogo deserto (kat’ idian eis éremon tópon), e
riposatevi un po’”. Gesù li chiama ancora una volta a seguirlo, a “stare con
lui”, per condividere con lui la preghiera al Padre, per approfondire la
vocazione e la missione, per riposarsi. È un invito pieno di tenerezza, di
sollecitudine per i discepoli, ma anche per Gesù è una necessità: egli deve
fare discernimento sulla sua missione, soprattutto ora che Giovanni il
Battista, con la morte violenta subita, diventa precursore anche del suo
futuro.
Marco annota anche che quanti
cercavano Gesù e venivano da lui erano talmente numerosi che i discepoli,
impegnati nell’organizzare questi incontri personali con Gesù, non avevano
neppure il tempo di preparare da mangiare e di mangiare. Sì, anche per Gesù,
come per ciascuno di noi, occorre a volte avere il coraggio e la forza di
prendere le distanze da ciò che si fa, occorre uscire dall’agitazione delle
moltitudini, dal rumore delle folle, da quel turbinio di occupazioni che
rischiano di travolgerci. Lavorare, impegnarsi seriamente con tutta la propria
persona è necessario ed è umano, ma lo è altrettanto la dimensione della
solitudine, del silenzio, della quiete. Se noi sentissimo nel nostro cuore
questa chiamata: “Fuggi, fa’ silenzio, cerca quiete” (Detti dei padri del
deserto, Serie alfabetica, Arsenio 2), saremmo certamente più disponibili a
trovare un “luogo deserto”, uno spazio solitario in cui pensare, meditare,
ascoltando il silenzio, il nostro cuore, la voce di Dio che cerca di parlarci
nel nostro intimo più profondo. Senza ottemperare a questa esigenza, si cade
nella superficialità, ci si disperde, si finisce per vivere senza sapere dove
si va.
Ma questo tentativo di sfuggire
alla folla e di trovare solitudine e riposo fallisce: la folla che da giorni
segue Gesù prevede le sue mosse e a piedi raggiunge prima di lui quella riva
deserta del lago. Gesù allora, sbarcando, la vede e la osserva con attenzione:
non è preso dalla soddisfazione del successo, del fatto che tanta gente lo
cerca e lo trova, ma è mosso a viscerale compassione (verbo splanchnízo). Le
sue viscere si commuovono come quelle di Dio nei confronti del suo popolo
oppresso (cf. Os 11,8); egli si commuove e soffre con un fremito causato solo
dall’amore verso quella gente. Sì, è gente incredula, che cerca Gesù con
ambiguità e interessi non trasparenti, ma per Gesù merita compassione. Sono
“pecore senza pastore”, non hanno nessuno che dia loro da mangiare cibo,
nessuno che si prenda cura di loro, nessuno che rivolga loro la parola per
sostenerli nel duro mestiere di vivere e nessuno che li sostenga nei loro dubbi
e contraddizioni. Gesù si intenerisce e rivive la compassione di Mosè quando vede
il suo popolo senza pastore (cf. Nm 27,17) e la compassione dei profeti che
soffrono al vedere il popolo di Dio disperso e oppresso dai cattivi pastori
(cf. 1Re 22,17; Ez 34,5; Zc 10,3-12).
Questo è un grande insegnamento
per noi: su ogni nostra decisione, su ogni nostra scelta necessaria e buona,
ciò che deve avere il primato è la misericordia. Se ogni nostra scelta e ogni
nostra azione non obbediscono innanzitutto alla misericordia, non sono conformi
ai “sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5): sentimenti umani ma in
profondità sentimenti di Dio, colui che è Santo e mostra la sua santità in
mezzo al suo popolo con la compassione, scegliendo che nel suo cuore la
misericordia regni sulla giustizia (cf. Os 11,7-9). Soprattutto i pastori di
comunità dovrebbero molto interrogarsi su questa disponibilità a dare la
precedenza alle domande della comunità rispetto alle loro scelte e alle loro
pur buone iniziative. Dovrebbero chiedersi se in loro la misericordia, cioè
l’amore viscerale di compassione, è sempre immanente al “compiere ogni
giustizia” (cf. Mt 3,15). Non lo si dimentichi: nel cristianesimo non si danno
compimento della giustizia e misericordia, ma solo misericordia nel compimento
della giustizia o compimento della giustizia nella misericordia.
Prima di dare il pane Gesù dà la
Parola, per saziare gli uomini e le donne che lo seguono. Ma presto darà anche
il pane, perché la sua tenerezza non riguarda solo la loro sete di Parola ma
anche la loro fame di pane.
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