venerdì 21 novembre 2025

IL DIALOGO E L'ABUSO

 

Il dialogo antidoto all’abuso del digitale

La sfida del digitale coinvolge in primo luogo il destino dei giovani, ma deve essere affrontata dagli adulti.


- di Giuseppe Savagnone 

Il grido d’allarme dei pediatri

Ha trovato ben poco spazio sulle prime pagine dei nostri quotidiani l’allarme lanciato dalla Società Italiana di Pediatria (SIP), che ha presentato al Senato, il 19 novembre scorso, le nuove raccomandazioni sull’uso dei dispositivi digitali in età evolutiva, in piena sintonia con quelle dell’American Academy of Pediatrics e della Canadian Society of Pediatrics.

A conferma del fatto che si tratta di un problema attualissimo, che mette in questione, alla radice, l’identità antropologica degli uomini e delle donne del prossimo futuro, non solo in Italia, ma in tutto il mondo occidentale e che meriterebbe, perciò, una maggiore attenzione, a livello sia privato che pubblico, per trovare insieme soluzioni condivise.

Che la situazione attuale evidenzi un abuso è sotto i nostri occhi. Lo confermano le statistiche. Una recente indagine italiana, aggiornata all’aprile 2024, dimostra che circa il 70% delle famiglie con figli di età compresa tra 0 e 2 anni ammette di utilizzare dispositivi digitali durante i pasti dei propri bambini.

Che questo crei nei piccoli un’abitudine lo dimostra il fatto che, secondo i dati di Save the Children, aggiornati al dicembre 2024, in Italia il 44,6 % dei bambini tra i 6 e i 10 anni e il 78 % dei ragazzi tra gli 11 e i 13 anni usa Internet tutti i giorni. E il 41% della fascia 11/13 anni (il 47,1 % nel caso delle ragazze) frequenta i social.

Per quanto riguarda in particolare gli smartphone, 3 bambini su 10 usano il cellulare quotidianamente e la metà dei quattordicenni lo utilizza più di sei ore al giorno.

Decisiva è stata la pandemia. Rispetto ai livelli pre-pandemici il tempo medio giornaliero di esposizione agli schermi di TV, smartphone, tablet e computer risulta raddoppiato.

Di fronte a questo quadro, di cui tutti abbiamo conferma nell’esperienza di ogni giorno, le direttive dei pediatri – come si diceva, non solo italiani – suonano drastiche e ci mettono tutti in crisi.

Eccone alcune fondamentali:

a.      nessun dispositivo prima dei 2 anni; limitare a meno di un’ora al giorno tra i 2 e i 5 anni e a meno di due ore dopo i 5 anni, sempre sotto supervisione adulta;

b.     evitare accesso non supervisionato a internet prima dei 13 anni;

c.      ritardare l’uso dei social media, idealmente fino ai 18 anni;

d.     rinviare l’introduzione dello smartphone personale almeno fino ai 13 anni;

e.      evitare l’uso dei dispositivi durante i pasti e prima di dormire;

Le possibili conseguenze di un uso indiscriminato

Trasgredire queste regole non viola nessuna legge, ma significa danneggiare in modo spesso irreversibile i nostri figli. 

Ci sono già problemi fisici. Utilizzare eccessivamente il cellulare, ma anche la TV, il tablet, il pc e le console per i videogiochi, fa aumentare vertiginosamente la sedentarietà a discapito dell’attività fisica, favorendo l’obesità. La luce blu emanata dagli schermi dei dispositivi elettronici può essere la causa, a lungo termine, di seri problemi visivi, a volte irreparabili. E troppo spesso i più piccoli si lasciano distrarre dai social network o dai giochi che hanno sul cellulare fino ad ora tarda, a discapito del sonno.

Altrettanto serie sono le possibili conseguenze negative a livello psicologico. Una è l’incapacità di concentrarsi. Numerosi studi dimostrano che l’esposizione a una quantità sempre maggiore di messaggi e di stimoli rende difficile a molti giovani prestare attenzione per un lungo periodo a un discorso o a un impegno. Nei soggetti più giovani, i cui cervelli sono in via di sviluppo, ciò implica modifiche nelle aree cerebrali legate all’attenzione e alla comprensione, con conseguenti ritardi cognitivi, compreso quello dell’apprendimento.

Ma c’è anche il pericolo di una dipendenza morbosa da questi strumenti, con conseguenti fenomeni di smarrimento psicologico quando, per un qualche motivo, se ne viene privati. Se poi sono le scelte degli adulti a determinare questa privazione, non è raro che si scatenino moti incontrollati di rabbia e di disperazione.

Ma gli effetti più problematici sono quelli che riguardano la sfera relazionale dei giovani. A parte il risvolto patologico del cyberbullismo, in forte crescita, il rischio gravissimo a cui espone l’uso indiscriminato di TV, tablet, pc e smartphone è l’esonero dal rapporto con dei soggetti umani in carne ed ossa e la conseguente perdita del difficile ma necessario confronto quotidiano con quello che un filosofo contemporaneo, Emmanuel Levinas, chiama «il volto dell’Altro», indicando in esso la sorgente a cui dobbiamo sempre riferirci per capire noi stessi e il mondo.

Non è un caso che la diffusione dei media elettronici si accompagni, pur senza esserne la causa, alla crescita esponenziale del fenomeno – registrato la prima volta in Giappone negli anni Settanta e poi diffusosi nel nostro paese, come in tutti quelli più economicamente e tecnologicamente  evoluti – degli Hikikomori, quei giovani tra i 15 e i 30 anni che a un certo punto scelgono di ritirarsi dalla vita sociale, chiudendosi nella propria stanza ed evitando i rapporti con altre persone, inclusi i familiari, per limitarsi a comunicare solo virtualmente, mediante Internet e il cellulare.

Anche senza arrivare a queste forme estreme, la tendenza all’autoreferenzialità è sicuramente favorita dall’uso continuo degli strumenti elettronici. In un’epoca non lontana, se si entrava in una stanza dove dei giovani si trovavano insieme, li si trovava a parlare a scherzare, a ridere tra di loro. Oggi è frequente che, in una identica situazione, essi siano assorti ciascuno nello scorrere il proprio cellulare, alla ricerca di messaggi ricevuti e intenti a mandarne.

La perdita del senso della realtà

Ancora più alla radice, conseguenze profonde sta avendo sui giovani l’abitudine di accostarsi alla realtà attraverso lo schermo. Perché quest’ultimo è certamente un medium che consente di collegarsi al mondo intero, ma è anche – in un altro senso – una difesa, come quando si parla di “fasi schermo con le mani” alla troppa luce. Lo schermo è il luogo ove possiamo assistere in diretta a vicende liete o drammatiche che si svolgono a migliaia di chilometri da noi. Ma è grazie ad esso che noi siamo immunizzati dalle ripercussioni emotive di drammi – come quelli delle guerre a Gaza e in Ucraina – che, se li vivessimo “in presenza” ci sconvolgerebbero e che invece possiamo seguire tranquillamente seduti in poltrona o a tavola, mentre mangiamo. Lo schermo ci rende spettatori. Ci immunizza dalla realtà.

Senza dire del pericolo che i più giovani si imbattano in aspetti fondamentali di quest’ultima – come la sfera sessuale – attraverso un rappresentazione distorta e morbosa, ricevendo una iniziazione perversa che può segnarli per tutta la vita.

In particolare, il pericolo delle immagini virtuali riguarda i videogiochi, molto spesso imperniati sulla eliminazione violenta di nemici in battaglie immaginarie. Col pericolo di non distinguere più chiaramente la violenza che si impara ad usare per gioco, su uno schermo, da quella che, esercitata nella vita reale, può trasformare il gioco in tragedia.

Dai divieti alla ricoperta del dialogo tra le generazioni

Il problema è che non bastano i divieti a sventare questi pericoli. Le regole già oggi sembrano destinate ad essere sistematicamente travolte dalla realtà. E, per quanto mossi da validissime ragioni, i genitori che vogliono applicarle inflessibilmente nell’educazione dei loro figli rischiano di trovarsi davanti ad effetti peggiori del male. 

Perché, in una società dove la socializzazione passa anche e soprattutto attraverso questi dispositivi, i bambini che non partecipano alle conversazioni digitali tra pari rischiano di sentirsi isolati o esclusi.

Il nodo della questione è, piuttosto, la capacità degli adulti di riscoprire e  di esercitare, anche sotto questo profilo, la loro funzione educativa. In primo luogo con la testimonianza. Un padre, una madre, che a tavola, invece di parlare tra loro e con i loro figli delle esperienze della giornata, usano o controllano continuamente il cellulare, non possono certo pretendere dai più giovani che non facciano lo stesso. E, se si tratta di bambini, posteggiarli davanti a un tablet per farli stare tranquilli, invece di parlare e giocare con loro, è una strategia che prepara gli eccessi futuri.

Più in generale, è un costante dialogo tra i genitori e dei genitori con i figli il migliore antidoto all’uso sbagliato dei dispositivi elettronici.  È questo stile  comunicativo che oggi difetta nelle nostre famiglie. E ciò dipende da un modo sbagliato, da parte degli adulti, di voler bene ai più piccoli.

Lo notava Matteo Lancini, docente universitario di psicologia nelle università milanesi di Bicocca e Cattolica e presidente della Fondazione Minotauro: «In verità a mancare è l’ascolto dei figli. I giovani sono molto soli davanti agli adulti. Oggi vanno su internet per ridurre la sensazione di solitudine che sperimentano ogni giorno con gli adulti, che invece di chiedersi perché accade tutto ciò si limitano a impedire l’utilizzo dei social», senza rendersi conto che non bastano le regole restrittive a colmare il vuoto di cui loro stessi sono la causa.

Si provvede a soddisfare tutti i bisogni consumistici dei figli, li si colma di regali,  ma non si trova il tempo di fermarsi per “stare” con loro e lasciarsi coinvolgere nel loro mondo, divenendone partecipi. In realtà, solo così sarà possibile da un lato accompagnarli con rispetto nelle loro esperienze, dall’altro iniziarli, anche attraverso il gioco creativo, ad attività all’aperto, sport, lettura, che, fin da piccoli, possono insegnare a ridimensionare il tempo passato davanti allo schermo e a cercare relazioni reali, piuttosto che solo virtuali, anche con i coetanei.

Sulla base di questo rapporto dialogico tra le generazioni non suonerà come una forzatura e tanto meno come una imposizione anche quella supervisione che, soprattutto nel caso dei più giovani, gli adulti devono  con discrezione esercitare sull’uso di Intenet e dei cellulari, educando ad un uso corretto sia nei tempi e nelle modalità, sia nella selezione dei contenuti. Perché , anche in questo, come in tanti altri casi, non si tratta di difendersi dalla tecnica, ma di valorizzarne le enormi potenzialità positive neutralizzando, con un opportuno discernimento,  quelle negative.

A questo sforzo educativo può molto contribuire la scuola. Le recenti polemiche sulla decisione del ministro Valditara di escludere i cellulari dalle aule hanno il limite di restare all’alternativa secca tra l’ammissione e l’esclusione di questi dispositivi, senza cerare insieme quali modalità possano garantire una educazione al loro corretto uso, sia a scuola che fuori. Anche qui la sola via praticabile può essere quella di un rapporto autentico tra gli insegnanti e gli alunni, che vada oltre la logica  angusta dei divieti  e dei permessi, in vista di un impegno comune.

La sfida del digitale coinvolge in primo luogo il destino dei giovani, ma deve essere affrontata dagli adulti. Al di là delle regole, si tratta di educare a uno stile comunicativo che, a sua volta, implica una profonda revisione dei modelli di vita oggi vigenti.

È un impegno arduo. Ma i nostri figli non ci perdonerebbero mai se cercassimo di eluderlo.

 www.tuttavia.eu 





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