venerdì 7 marzo 2025

REARM EUROPE


 La risposta dell’Europa 

alla nuova realtà internazionale

 



-di Giuseppe Savagnone*

 Quella che il Consiglio dell’UE doveva affrontare, e per cui era definito “straordinario”, era una situazione internazionale del tutto nuova: per la prima volta l’Europa si trova a dover gestire da sola, senza l’ombrello americano, la propria sicurezza e, al tempo stesso, garantire all’Ucraina la continuazione del suo appoggio, di fronte all’aggressione russa, ora che gli Stati Uniti hanno sospeso i loro aiuti militari.

Era in gioco una svolta epocale, dunque, da cui doveva emergere una nuova capacità del vecchio continente – ora riunificato, di fatto, dal riavvicinamento del Regno Unito, dopo il ripudio da parte di Trump della sua storica sintonia con gli USA – di riscoprire finalmente la propria dimensione politico-militare, divenendo a sua volta un soggetto in grado di far fronte allo strapotere di Stati Uniti e Russia e di sedere con loro, da pari a pari, al tavolo dove si decidono le sorti dell’Ucraina e non solo.

E a questo era finalizzato il piano ReArm Europe, proposto dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che il Consiglio ha approvato all’unanimità, anche se con la dissociazione dell’Ungheria per quanto riguarda l’appoggio all’Ucraina. 

Già quando era stato reso noto, il documento aveva suscitato reazioni molto positive, nel nostro paese, da parte di rappresentanti di entrambi gli schieramenti politici.

«Finalmente si fanno concreti passi in avanti per costruire una indispensabile difesa europea», ha scritto su X il segretario di Forza Italia, e ministro degli Esteri, Antonio Tajani. «Era il grande sogno di Alcide De Gasperi e Silvio Berlusconi». E secondo Carlo Fidanza, capo delegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo, il piano «ha il merito di passare finalmente dalla mera enunciazione di principio a strumenti concreti per rafforzare il quadro degli investimenti europei nella difesa».

Ma anche autorevoli esponenti del PD, come Gentiloni e Guerini, si sono detti favorevoli. Secondo il primo, quella proposta dalla von del Leyen «è la strada giusta». Quanto a Guerini, per lui «l’esigenza della crescita della Difesa europea è ineludibile (…). Altrimenti facciamo solo chiacchiere».

Ma, quando si va a vedere il documento, non si può non restare delusi. Non entriamo nel merito della sua struttura, per la quale una persona intellettualmente rigorosa come il ministro Giorgetti lo ha definito privo di «un senso» e «fatto in fretta e furia senza una logica».

Ma è il suo contenuto a lasciare molto perplessi. Esso, infatti, non fa altro che autorizzare gli Stati membri dell’UE a sforare, per spese militari, fino a 650 miliardi di euro, il tetto previsto dal patto di stabilità e ad avere prestati fino a 150 miliardi di euro.

Una festa per le industrie e i mercanti di armi, le cui azioni in borsa infatti sono salite alle stelle. E una conferma di quello che papa Francesco ha instancabilmente ripetuto da tre anni a questa parte sul fatto che sono loro i soli a trarre profitto dalla guerra, sulla pelle di centinaia di migliaia di giovani vite stroncate o mutilate.

Un prezzo da pagare è stato ribadito nel Consiglio straordinario, per riscattare l’Europa da una condizione di minorità e per sostenere i diritti del popolo ucraino, ora che gli Stati Uniti lo hanno clamorosamente abbandonato.

Ed è verissimo che l’alternativa ad un’assunzione di responsabilità da parte dei paesi europei oggi sembra essere quella di un umiliante vassallaggio nei confronti del Grande Fratello americano, di cui è una triste anticipazione la resa incondizionata del presidente ucraino, costretto a presentarsi col cappello in mano a chi lo aveva insultato e cacciato via dalla Casa Bianca, rimettendosi umilmente al suo volere.

Se si vuole evitare questo, all’Ucraina e a tutta l’Europa, bisogna pur ricorrere ad un rafforzamento militare. Il problema, però, è il modo in cui ci si propone di farlo.

Non mi capita spesso di essere d’accordo con Eddy Schlein, ma stavolta credo proprio che abbia avuto ragione di criticare fin dal suo apparire il piano ReArm Europe: «Quella presentata oggi da von Der Leyen non è la strada che serve all’Europa. All’Unione Europea serve la difesa comune, non il riarmo nazionale. Sono due cose molto diverse», ha detto, aggiungendo che «manca ancora la volontà politica dei governi di fare davvero una difesa comune». Il piano della presidente della Commissione UE «così rischia di diventare il mero riarmo nazionale di 27 Paesi e noi non ci stiamo».

Prospettive illusorie di pace

Quello che la segretaria del PD non ha detto è che questa non è altro che la continuazione di una logica che ha ispirato finora la Commissione dell’UE, rieletta recentemente proprio con i voti del suo partito, e di cui la von der Leyem coerentemente resta sostenitrice. 

Una logica che ha puntato sulla forza militare in vista di quella che Zelensky – allora con l’appoggio degli Stati Uniti – annunciava come la prossima «vittoria completa» e di una pace che ne sarebbe stata la ovvia conseguenza.

Disegno già allora illusorio e oggi più che mai privo di reali fondamenti, come ha ribadito, un’autorevole voce del mondo cattolico, Stefano Zamagni, che ha definito il piano ora approvato dal Consiglio UE «un errore tragico dal punto di vista politico».

«Con i fondi indicati da Von der Leyen», ha fatto notare Zamagni, «si raggiungerebbe un target di armamenti convenzionali non adeguato», e ancora più insufficiente se confrontato con l’arsenale atomico della Russia. «Invece di aumentare la spesa militare» dunque, «dovremmo puntare su politiche di disarmo bilanciate tra i vari Paesi».

Ma anche da parte di ambienti laici la proposta di puntare univocamente sull’aumento delle spese militari è contestata decisamente. A detta di Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della «Rete italiana pace e disarmo» «la pace vera non è la mancanza di conflitto armato (…). La pace vera è (…) la crescita delle società, delle culture, delle opportunità per le persone, del rispetto dei diritti a partire da quello della vita.

La “forza” invocata da von der Leyen tutto questo non lo garantisce». La logica a cui si ispira il suo piano «porta al riarmo, e il riarmo porta a nuova conflittualità, porta cioè a una crescita di guerra e quindi a nuovo riarmo (…). Ripenso a chi in questi tre anni ha ripetuto che si sarebbe vinta la pace perché si sarebbe vinta la guerra contro Putin».

Una critica che a prima vista può apparire simile a quella della Lega, anch’essa molto critica nei confronti del piano: «Per Ursula von der Leyen gli Stati europei possono fare debito solo per armarsi», ha commentato ironicamente Salvini. «È questa la via maestra per sostenere e lasciare i nostri figli in un continente in pace?».

Una presa di posizione che però in realtà nasce da premesse molto diverse da quelle di Zamagni e Vignarca. Salvini è da sempre un entusiasta ammiratore di Putin e ora lo è di Trump, così come è da sempre ostile all’idea di un’Europa che diventi soggetto politico-militare sovranazionale. La pace che invoca è dunque la sottomissione a cui il nostro continente sarebbe ridotto rinunziando ad armarsi.

I problemi su cui si sono chiusi gli occhi

Il vero problema allora non è se sia giusto potenziare le forze militari europee, ma in che prospettiva farlo. Se puntare solo su questo potenziamento o, attraverso di esso, avviare un salto di qualità che permetta a un nuovo soggetto politico europeo di cercare una pace autentica al tavolo dei negoziati.

Quella scelta finora e confermata nel piano approvato dal Consiglio straordinario è la linea sostanzialmente nazionalista/sovranista che finora ha impedito il passaggio dall’unità economica dell’Europa a quella politica. Nessuno Stato vuole rinunziare al suo esercito.

Le conseguenze negative sono evidenti già a livello funzionale ed economico. A fronte di un solo modello di aereo di combattimento oggetto sviluppato negli USA (JSF-F35), in Europa ce ne sono tre (Tempest, Gripen, e Rafale), con una duplicazione dei costi. E in Europa si producono diciassette tipologie differenti di carro armato, rispetto agli Stati Uniti, muniti del solo M1 Abrams. Per non parlare delle inevitabili disfunzioni derivanti dalla mancanza di un comando unificato.

Ma c’è un aspetto più sostanziale. La creazione di una difesa comune sarebbe un passo significativo verso l’unità politica. Il piano della von der Leyen riproduce lo schema nazionalistico e non guarda al futuro, confermando la frammentazione che rende l’Europa irrilevante, sullo stesso piano militare, non perché spende poco, ma perché spende male. Certo, creare un esercito europeo non è compito che possa essere realizzato dall’oggi al domani. Ma qui non si vede neanche la volontà di muoversi in questa direzione.

Come non si vede un progetto che consenta di redistribuire i costi di questa operazione senza scaricarli, come sempre, sulle fasce più deboli, riducendo i finanziamenti ai servizi essenziali. Ancora una volta devo dare ragione a un esponente politico con cui spesso non mi trovo d’accordo, il leader dei 5stelle Giuseppe Conte, che ha parlato di «una furia bellicista», e di «30 miliardi per l’Italia sottratti a sanità, istruzione, scuola, sottratti agli aiuti, al sostegno per famiglie e imprese che sono vessati, al caro bollette, al carovita».

Perché è chiaro che le uscite aggiuntive, a cui si sta dando il via libera, saranno tutte a debito e, prima o poi, dovranno essere compensate nei bilanci nazionali aumentando le tasse o tagliando la spesa sociale.

Si tratta di sacrificare, insomma, settori vitali come la sanità o l’istruzione, tanto più in un paese come l’Italia dove si preferisce ridurre i servizi ai poveri che “mettere le mini” nelle tasche dei ricchi.

Soprattutto, però, quello che è assente – sia nel piano approvato dal Consiglio della UE, sia nelle critiche della Schlein e di Conte – è l’esigenza di trovare una piattaforma valoriale comune, indispensabile per arrivare a una vera integrazione politica, di cui la dimensione militare dovrebbe esser solo un aspetto.

Anche questo non si può certo improvvisare, anzi richiede ancora più sforzi e più tempo, perché si tratta di dare all’Europa un’anima che in questo momento essa sembra avere perduto. Ma si dovrebbe almeno porre il problema, senza illudersi che per ritrovarla basti aumentare le spese militari. O credere che quest’anima si possa recuperare, come sembra pensare Tajani, mettendo sullo stesso piano De Gasperi e Berlusconi, due modelli opposti di umanità e civiltà.

La svolta che la nuova realtà internazionale esigeva, dunque, non c’è stata veramente. Si sono chiusi gli occhi sull’urgenza di procedere verso una maggiore unità europea. Saranno i fatti a dimostrare inesorabilmente le conseguenze di questa cecità. Possiamo solo sperare che, quando ciò avverrà, non sia troppo tardi.

Il piano ReArm Europe sicuramente ha il merito di contrapporsi all’ambigua linea della Lega e in generale alla rassegnata accettazione della logica predatoria condivisa da Putin e Trump.

 

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