alla nuova realtà internazionale
-di
Giuseppe Savagnone*
Era
in gioco una svolta epocale, dunque, da cui doveva emergere una nuova capacità
del vecchio continente – ora riunificato, di fatto, dal riavvicinamento del
Regno Unito, dopo il ripudio da parte di Trump della sua storica sintonia con
gli USA – di riscoprire finalmente la propria dimensione
politico-militare, divenendo a sua volta un soggetto in grado di far
fronte allo strapotere di Stati Uniti e Russia e di sedere con loro, da pari a
pari, al tavolo dove si decidono le sorti dell’Ucraina e non solo.
E
a questo era finalizzato il piano ReArm Europe, proposto dalla
presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che il Consiglio ha
approvato all’unanimità, anche se con la dissociazione dell’Ungheria per quanto
riguarda l’appoggio all’Ucraina.
Già
quando era stato reso noto, il documento aveva suscitato reazioni molto
positive, nel nostro paese, da parte di rappresentanti di entrambi gli
schieramenti politici.
«Finalmente
si fanno concreti passi in avanti per costruire una indispensabile difesa
europea», ha scritto su X il segretario di Forza Italia, e ministro degli
Esteri, Antonio Tajani. «Era il grande sogno di Alcide De Gasperi e Silvio
Berlusconi». E secondo Carlo Fidanza, capo delegazione di Fratelli
d’Italia al Parlamento europeo, il piano «ha il merito di passare finalmente
dalla mera enunciazione di principio a strumenti concreti per rafforzare il
quadro degli investimenti europei nella difesa».
Ma
anche autorevoli esponenti del PD, come Gentiloni e Guerini, si sono detti
favorevoli. Secondo il primo, quella proposta dalla von del Leyen «è la strada
giusta». Quanto a Guerini, per lui «l’esigenza della crescita della
Difesa europea è ineludibile (…). Altrimenti facciamo solo chiacchiere».
Ma,
quando si va a vedere il documento, non si può non restare delusi. Non entriamo
nel merito della sua struttura, per la quale una persona intellettualmente
rigorosa come il ministro Giorgetti lo ha definito privo di «un senso» e
«fatto in fretta e furia senza una logica».
Ma
è il suo contenuto a lasciare molto perplessi. Esso, infatti, non fa altro che
autorizzare gli Stati membri dell’UE a sforare, per spese militari, fino a 650
miliardi di euro, il tetto previsto dal patto di stabilità e ad avere prestati
fino a 150 miliardi di euro.
Una
festa per le industrie e i mercanti di armi, le cui azioni in borsa infatti
sono salite alle stelle. E una conferma di quello che papa Francesco ha
instancabilmente ripetuto da tre anni a questa parte sul fatto che sono loro i
soli a trarre profitto dalla guerra, sulla pelle di centinaia di migliaia di
giovani vite stroncate o mutilate.
Un
prezzo da pagare è stato ribadito nel Consiglio straordinario, per riscattare
l’Europa da una condizione di minorità e per sostenere i diritti del popolo
ucraino, ora che gli Stati Uniti lo hanno clamorosamente abbandonato.
Ed
è verissimo che l’alternativa ad un’assunzione di responsabilità da parte dei
paesi europei oggi sembra essere quella di un umiliante vassallaggio nei
confronti del Grande Fratello americano, di cui è una triste anticipazione la
resa incondizionata del presidente ucraino, costretto a presentarsi col
cappello in mano a chi lo aveva insultato e cacciato via dalla Casa
Bianca, rimettendosi umilmente al suo volere.
Se
si vuole evitare questo, all’Ucraina e a tutta l’Europa, bisogna pur ricorrere
ad un rafforzamento militare. Il problema, però, è il modo in cui ci si
propone di farlo.
Non
mi capita spesso di essere d’accordo con Eddy Schlein, ma stavolta credo
proprio che abbia avuto ragione di criticare fin dal suo apparire il
piano ReArm Europe: «Quella presentata oggi da von Der Leyen non è
la strada che serve all’Europa. All’Unione Europea serve la difesa comune, non
il riarmo nazionale. Sono due cose molto diverse», ha detto, aggiungendo che
«manca ancora la volontà politica dei governi di fare davvero una difesa
comune». Il piano della presidente della Commissione UE «così rischia di
diventare il mero riarmo nazionale di 27 Paesi e noi non ci stiamo».
Prospettive
illusorie di pace
Quello
che la segretaria del PD non ha detto è che questa non è altro che la
continuazione di una logica che ha ispirato finora la Commissione dell’UE,
rieletta recentemente proprio con i voti del suo partito, e di cui la von der
Leyem coerentemente resta sostenitrice.
Una
logica che ha puntato sulla forza militare in vista di quella che Zelensky –
allora con l’appoggio degli Stati Uniti – annunciava come la prossima «vittoria
completa» e di una pace che ne sarebbe stata la ovvia conseguenza.
Disegno
già allora illusorio e oggi più che mai privo di reali fondamenti, come ha
ribadito, un’autorevole voce del mondo cattolico, Stefano Zamagni, che ha
definito il piano ora approvato dal Consiglio UE «un errore tragico dal punto
di vista politico».
«Con
i fondi indicati da Von der Leyen», ha fatto notare Zamagni, «si raggiungerebbe
un target di armamenti convenzionali non adeguato», e ancora più insufficiente
se confrontato con l’arsenale atomico della Russia. «Invece di aumentare
la spesa militare» dunque, «dovremmo puntare su politiche di disarmo bilanciate
tra i vari Paesi».
Ma
anche da parte di ambienti laici la proposta di puntare univocamente
sull’aumento delle spese militari è contestata decisamente. A detta di
Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della «Rete italiana pace e
disarmo» «la pace vera non è la mancanza di conflitto armato (…). La pace vera
è (…) la crescita delle società, delle culture, delle opportunità per le
persone, del rispetto dei diritti a partire da quello della vita.
La
“forza” invocata da von der Leyen tutto questo non lo garantisce». La logica a
cui si ispira il suo piano «porta al riarmo, e il riarmo porta a nuova
conflittualità, porta cioè a una crescita di guerra e quindi a nuovo riarmo (…).
Ripenso a chi in questi tre anni ha ripetuto che si sarebbe vinta la pace
perché si sarebbe vinta la guerra contro Putin».
Una
critica che a prima vista può apparire simile a quella della Lega, anch’essa
molto critica nei confronti del piano: «Per Ursula von der Leyen gli Stati
europei possono fare debito solo per armarsi», ha commentato ironicamente
Salvini. «È questa la via maestra per sostenere e lasciare i nostri figli in un
continente in pace?».
Una
presa di posizione che però in realtà nasce da premesse molto diverse da quelle
di Zamagni e Vignarca. Salvini è da sempre un entusiasta ammiratore di Putin e
ora lo è di Trump, così come è da sempre ostile all’idea di un’Europa che
diventi soggetto politico-militare sovranazionale. La pace che invoca è dunque
la sottomissione a cui il nostro continente sarebbe ridotto rinunziando ad
armarsi.
I
problemi su cui si sono chiusi gli occhi
Il
vero problema allora non è se sia giusto potenziare le forze militari
europee, ma in che prospettiva farlo. Se puntare solo su questo potenziamento
o, attraverso di esso, avviare un salto di qualità che permetta a un nuovo
soggetto politico europeo di cercare una pace autentica al tavolo dei
negoziati.
Quella
scelta finora e confermata nel piano approvato dal Consiglio straordinario è la
linea sostanzialmente nazionalista/sovranista che finora ha impedito il
passaggio dall’unità economica dell’Europa a quella politica. Nessuno Stato
vuole rinunziare al suo esercito.
Le
conseguenze negative sono evidenti già a livello funzionale ed economico. A
fronte di un solo modello di aereo di combattimento oggetto sviluppato negli
USA (JSF-F35), in Europa ce ne sono tre (Tempest, Gripen, e Rafale), con una
duplicazione dei costi. E in Europa si producono diciassette tipologie
differenti di carro armato, rispetto agli Stati Uniti, muniti del solo M1
Abrams. Per non parlare delle inevitabili disfunzioni derivanti dalla mancanza
di un comando unificato.
Ma
c’è un aspetto più sostanziale. La creazione di una difesa comune sarebbe un
passo significativo verso l’unità politica. Il piano della von der Leyen
riproduce lo schema nazionalistico e non guarda al futuro, confermando la
frammentazione che rende l’Europa irrilevante, sullo stesso piano militare, non
perché spende poco, ma perché spende male. Certo, creare un esercito
europeo non è compito che possa essere realizzato dall’oggi al domani. Ma
qui non si vede neanche la volontà di muoversi in questa direzione.
Come
non si vede un progetto che consenta di redistribuire i costi di questa
operazione senza scaricarli, come sempre, sulle fasce più deboli, riducendo i
finanziamenti ai servizi essenziali. Ancora una volta devo dare ragione a un
esponente politico con cui spesso non mi trovo d’accordo, il leader dei
5stelle Giuseppe Conte, che ha parlato di «una furia bellicista», e di «30
miliardi per l’Italia sottratti a sanità, istruzione, scuola, sottratti agli
aiuti, al sostegno per famiglie e imprese che sono vessati, al caro bollette,
al carovita».
Perché
è chiaro che le uscite aggiuntive, a cui si sta dando il via
libera, saranno tutte a debito e, prima o poi, dovranno essere compensate
nei bilanci nazionali aumentando le tasse o tagliando la spesa sociale.
Si
tratta di sacrificare, insomma, settori vitali come la sanità o
l’istruzione, tanto più in un paese come l’Italia dove si preferisce ridurre i
servizi ai poveri che “mettere le mini” nelle tasche dei ricchi.
Soprattutto,
però, quello che è assente – sia nel piano approvato dal Consiglio della
UE, sia nelle critiche della Schlein e di Conte – è l’esigenza di trovare una
piattaforma valoriale comune, indispensabile per arrivare a una vera
integrazione politica, di cui la dimensione militare dovrebbe esser
solo un aspetto.
Anche
questo non si può certo improvvisare, anzi richiede ancora più sforzi e più
tempo, perché si tratta di dare all’Europa un’anima che in questo momento
essa sembra avere perduto. Ma si dovrebbe almeno porre il problema, senza
illudersi che per ritrovarla basti aumentare le spese militari. O credere
che quest’anima si possa recuperare, come sembra pensare Tajani, mettendo sullo
stesso piano De Gasperi e Berlusconi, due modelli opposti di umanità e civiltà.
La
svolta che la nuova realtà internazionale esigeva, dunque, non c’è stata
veramente. Si sono chiusi gli occhi sull’urgenza di procedere verso una
maggiore unità europea. Saranno i fatti a dimostrare inesorabilmente le
conseguenze di questa cecità. Possiamo solo sperare che, quando ciò
avverrà, non sia troppo tardi.
Il
piano ReArm Europe sicuramente ha il merito
di contrapporsi all’ambigua linea della Lega e in generale alla rassegnata
accettazione della logica predatoria condivisa da Putin e Trump.
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