giovedì 20 luglio 2023

UMILTA' NEL TEMPO DEL SELFIE

È attuale l’umiltà 

nell’era del selfie?

Il vero pericolo è credere

 di essere umili senza esserlo

 Anche quando domina il narcisismo è sempre possibile una crisi che ci obbliga a guardare con lucidità alla nostra natura di esseri imperfetti e vulnerabili.

-         di GIOVANNI SCARAFILE

 Viviamo in un’epoca dominata da una cultura dell’ego in cui la vera essenza della persona si distorce in un’ostentazione di autosufficienza quasi cinica. Un tale fenomeno riecheggia come un ritmo persistente attraverso vari strati della nostra realtà. Nel mondo digitalmente connesso, la personalità autentica viene spesso ridotta all’immagine luccicante di un profilo social. Lo scenario professionale non fa eccezione, con la figura del leader che avanza solo, trascurando le voci di coloro che potrebbero offrire preziosi spunti di crescita. 

In parallelo, osserviamo come la frenetica corsa verso l’indipendenza venga imposta sui giovani e come l’ossessione per il successo personale e la perfezione fisica spesso eclissi l’importanza del lavoro di squadra e dell’accettazione di sé. All’interno di tale scenario, l’umiltà è più che altro uno stratagemma, un modo per manipolare gli altri, non farli sentire minacciati, carpendo in tal modo la loro fiducia. Si tratta di un espediente, nemmeno tanto originale, opportunamente segnalato in molta letteratura. Si pensi, ad esempio, al personaggio di Tartufo nella omonima commedia di Molière. Questo astuto ipocrita si maschera di falsa pietà e umiltà per infiltrarsi nel cuore e nella casa di Orgon, l’ingenuo protagonista, con l’unico obiettivo di ottenere ricchezze e potere. Un altro esempio si trova in Uriah Heep, uno dei protagonisti del romanzo David Copperfield di Dickens, che usa la sua apparente sottomissione come strumento di controllo degli altri. In entrambi i casi, l’umiltà viene distorta e sfruttata, diventando un mezzo per l’inganno piuttosto che un valore da coltivare e condividere.

 E allora, come possiamo ricatturare l’essenza autentica dell’umiltà in un mondo che appare distorto dalle sue stesse alterazioni? Una risposta può venire dal filosofo e teologo Francesc Torralba Roselló che nel suo recente libro, Umiltà (Qiqajon, pagine 172, 20,00), introduce il concetto di «frontiera ontica». Anche in situazioni dominate da un eccessivo narcisismo, il sempre possibile insorgere di una crisi o di una malattia ci obbliga a guardare con lucidità alla nostra vera natura di esseri finiti, imperfetti e vulnerabili. In queste momenti cruciali, siamo portati indietro all’humus, alla terra, alla nostra intima connessione con il suolo, una potente metafora del nostro legame con le nostre radici più profonde. Questo ritorno, tuttavia, non è privo di avvertimenti critici. La terra, infatti, può radicarci alla nostra autenticità, ma può anche diventare un ostacolo quando ci impedisce di andare oltre noi stessi e di apprezzare ciò che trascende il materiale. È questo il motivo per cui umiltà e consapevolezza di sé devono essere congiunti, dal momento che senza una vera conoscenza di noi stessi e dei nostri limiti qualsiasi tentativo di miglioramento cadrebbe nel vuoto.

 In questo contesto, l’umiltà assume un ruolo purificatore, messo bene in evidenza nel dipinto Gesù lava i piedi a Pietro di Ford Madox Brown, realizzato intorno alla metà dell’Ottocento. Nell’atto di rappresentare il soggetto religioso generalmente considerato icona per eccellenza dell’umiltà, l’artista inglese decise di far coincidere il fulcro visivo dell’opera, cioè il punto verso cui l’osservatore è naturalmente portato a guardare, con il catino dell’acqua. Non Gesù, né Pietro, ma l’acqua. Lavare i piedi diviene così il simbolo di purificazione perché ci libera dagli eccessi di protagonismo del soggetto, dando corpo al decentramento dell’io, al cambiamento di prospettiva che apre alla vita invece di ridurla entro i confini ristretti della identità.

 Questo era esattamente il percorso delineato dalle massime della tradizione cristiana antica. Nelle opere dei Padri della Chiesa, l’umiltà trovava realizzazione in quattro pratiche principali: la sottomissione, la resilienza nel dolore fisico, la paziente tolleranza delle ingiustizie, e l’auto-negazione. Come Kent Dunnington ha sottolineato nel suo libro Humi-lity, Pride, and Christian Virtue Theory, nelle prime comunità cristiane, «la giusta opposizione a se stessi è al servizio di un sé più integrato», raggiungibile attraverso risorse che provengono da una dimensione trascendente. Detto in altro modo, si può arrivare all’umiltà attraverso due percorsi, uno laico e l’altro religioso nel senso più ampio del termine.

 Nel suo volume, Torralba Roselló, coglie bene questi due aspetti, ma ci lascia nell’incertezza quando si tratta di specificare i criteri che permettono il passaggio dall’uno all’altro. Inoltre, nonostante il testo del filosofo spagnolo sia accessibile anche quando sviluppa argomenti complessi, ci sono momenti in cui egli sembra troppo generoso con le citazioni. Ci si può ritrovare a navigare tra i pensieri di diversi autori in rapida successione, prima ancora di aver avuto la possibilità di assimilare appieno i concetti espressi da ciascuno di essi. Questa abbondanza di voci ed idee, se da un lato amplia la prospettiva di interpretazione del tema, dall’altro può rischiare di generare un’eccessiva complessità. « L’umiltà – assicura Torralba Roselló – non consiste nel pensare meno se stessi, ma nel pensare meno a se stessi». Si tratta di una definizione efficace, in grado di mettere d’accordo le generazioni. Non a caso, con identica formulazione, essa è originariamente rinvenibile in The Purpose-Driven Life, scritto nel 1954 da Rick Warren, uno dei libri più venduti di tutti i tempi, elogiato per il suo approccio accessibile e pratico alla spiritualità. 

L’umiltà è più che mai attuale. È senz’altro vero che la tendenza moderna di mettere l’individuo al centro, valorizzando la sua autosufficienza e il suo protagonismo, ha messo in ombra questa virtù così fondamentale. Tuttavia, l’umiltà non è un segno di debolezza o di inferiorità, ma piuttosto una manifestazione di forza interiore e di saggezza. Come ci ricorda C.S. Lewis ne Il cristianesimo così com’è, il pericolo risiede nel credere di essere umili senza esserlo veramente, poiché «se pensi di non essere presuntuoso, vuol dire che lo sei moltissimo».

 

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