Da un lato il Belpaese celebra (anche a sproposito) l’unicità del suo patrimonio, dall’altro nelle aule la storia dell’arte è ridotta a cenerentola.
Un saggio di Irene Baldriga rilancia il “diritto alla bellezza”
di ALESSANDRO BELTRAMI
Per uno di quegli strabismi
tipici del nostro Paese, da una parte si celebra l’unicità e
“l’eccellenza” (termine su cui servirebbe una moratoria) del patrimonio
artistico, architettonico e archeologico italiano – tanto sulla spinta
di una sincera volontà di valorizzazione, tanto cavalcando la cattiva
retorica del “petrolio”, che trasforma il bene culturale in bene di
consumo, e quindi soggetto a un costante logorio fisico e di senso –
dall’altra la storia dell’arte, ossia la disciplina che elabora gli
strumenti per leggere quel patrimonio, è la cenerentola della scuola.
Dopo lo scempio della riforma Gelmini (che aveva virato i piani di
studio verso l’area tecnico-scientifica), la Buona Scuola avrebbe dovuto
far rientrare la storia dell’arte nel biennio di tutti gli indirizzi
degli istituti secondari di secondo grado, compresi quelli tecnici e
professionali dai quali era stata cancellata, sia nel biennio del liceo
classico, dove era stata rimossa insieme alla sperimentazione. Promessa
poi disattesa nell’iter legislativo: e dunque la materia oggi è presente
solo nei trienni dei licei (salvo nell’artistico e quindi nel liceo
scientifico, dove però è in condominio con disegno), assente negli
istituti tecnici – è infatti ridotta persino nell’indirizzo turistico ed
è inspiegabilmente assente nell’indirizzo Grafica e Comunicazione (non
dimentichiamo che nel vecchio diploma di geometra e nel nuovo CAT manca
storia dell’architettura).
Almeno il 45% degli studenti italiani non ha la possibilità di studiare
la storia dell’arte nella scuola. Eppure c’è fame di conoscere e capire
l’arte. Al di là di come si vogliano analizzare i numeri, la crescita
costante dei visitatori dei musei italiani è un dato di fatto, mentre le
mostre (anche qui restando ai dati lordi, senza entrare nel problema
della qualità dell’offerta) staccano biglietti su biglietti.
Fioriscono con riscontro di pubblico le conferenze dedicate alla storia
dell’arte, i documentari su mostre e artisti approdano al cinema, vanno
esaurite le proposte didattiche e i laboratori per bambini, famiglie e
ormai anche adulti. C’è un desiderio di arte, spinto da numerosi
fattori, pulsioni e mode, che va assecondato e educato. La scuola non
può dunque perdere l’occasione né abdicare al suo ruolo: perché nella
storia dell’arte si condensa molto più di una questione di stili e di
autori.
Lo ricorda a ogni pagina Irene Baldriga in Diritto alla Bellezza (Le Monnier, pagine 174, euro 16,0.
«L’idea portante di questo
volume – scrive Baldriga, storica dell’arte, dirigente scolastico a Roma
e presidente di Anisa, Associazione nazionale insegnanti di Storia
dell’arte – consiste nell’evidenziare la storia dell’arte come risorsa
per la crescita e il miglioramento del nostro Paese (…) Con la sua
vocazione alla laboratorialità, al rapporto con il territorio e a una
didattica interdisciplinare che naturalmente si proietta nell’esercizio
di competenze trasversali, la storia dell’arte è la carta vincente per
promuovere nuova consapevolezza, pensiero critico, valorizzazione
sostenibile delle risorse, senso identitario e cittadinanza». No, non
pare esagerato. Nell’opera d’arte, in virtù della sua natura spesso
pubblica, originaria o acquisita, convergono vettori molteplici –
estetici, storici, religiosi, politici, sociali… – in un rimando
continuo tra passato (stratificato: non solo il tempo della sua genesi
ma ogni momento attraversato deposita la sua patina) e presente (il suo
essere nell’oggi che rende contemporanea ogni opera d’arte), micro e
macrostoria, esperienza personale e dimensione comunitaria, e si
offrono all’esperienza con una disponibilità unica grazie alla
doppia consistenza fisica e simbolica. La chiave della complessità è
in grado di aprire molte porte: «L’allenamento alla decifrazione
della complessità costituisce un tratto peculiare della storia
dell’arte, nella quale oltretutto si combinano aspetti teorici e
culturali a particolarità del “fare” (la tecnica, la materia): un
approccio mentale che nutre il senso identitario dei cittadini, fornendo
loro elementi di ricostruzione delle proprie radici e dei propri
modelli di riferimento, ma che veicola al tempo stesso una nuova
consapevolezza della globalizzazione che connota il nostro presente».
C’è spazio per ragionare su sviluppo sostenibile, il tema sempre più
attuale della cittadinanza e dell’inclusione (c’è un legame tra il
“diritto alla bellezza” e ius culturae),
ma anche dell’affetto e dell’arma a doppio taglio dell’abitudine verso
il patrimonio. Accanto al valore intrinseco della conoscenza della
storia dell’arte, sostiene Baldriga, «la comprensione dei riferimenti
culturali e identitari di cui l’opera d’arte è documento e veicolo,
consente al tempo stesso l’assimilazione di codici di lettura e la
maturazione di un’attrezzatura epistemologica idonea a superare gli
ostacoli della complessità dell’era postmoderna».
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