Pagine

sabato 25 febbraio 2017

LE VIE DELLA PROVVIDENZA


"Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia,
e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”
Il Vangelo di domenica 26 febbraio.

Con l’orecchio al cuore di Dio e la mano al ritmo del mondo, il brano evangelico odierno, dinanzi le ansietà della vita che invadono l’animo umano, rammenta all’uomo la necessità di compiere una scelta radicale per Dio, senza riserve o ripensamenti. «Nessuno può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire Dio e mammona». Dio esige un cuore indiviso, il dono totale di sé, l’adesione incondizionata alla sua volontà. Il discepolo che intende orientare la propria vita al servizio di Dio, non può nello stesso tempo attaccare il cuore alla ricchezza, ai beni terreni, al prestigio, al potere.
Così all’uomo disorientato, in preda alle preoccupazioni quotidiane, alla ricerca di un effimero appagamento dei bisogni primari, Gesù rivolge l’invito ad innalzare lo sguardo al cielo per cercare fiduciosamente il volto di quel Dio narrato da Gesù Cristo,  che come un Padre  «sa ciò  di cui abbiamo bisogno»  e che,  come si  prende  cura  degli uccelli del cielo e dei gigli del  campo, così  «fa molto di più per noi».
Con tale invito, Gesù non vuole, certo, favorire il disimpegno o l’apatia, ma piuttosto escludere l’affanno, l’eccessiva preoccupazione per le cose materiali, che impediscono la ricerca del regno e l’abbandono filiale e fiducioso nelle mani del Padre celeste. È come un invitare a vivere da dentro una relazione riuscita, quella per cui tutte le cose che cerchiamo trovano la loro destinazione di fondo.
Non cogliere questo invito significa vivere a partire dall’assillo della paura che attanaglia il cuore dell’uomo. Non è solo la paura di non avere quello che ci è necessario, ma la paura che altri prendano quello che è nostro, per cui la lotta contro la paura si risolve nella diffidenza verso tutti e nella insofferenza verso la vita. Il seguace di Gesù, invece, ha trovato nel regno il suo tesoro e sa schiudere il cuore alla gratitudine e alla condivisione.
È l’annuncio sorprendente e inaspettato del Cielo: l’Eterno si gioca nel tempo, il futuro si gioca nel presente, il domani si prepara nell’oggi: “Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. Cercare il Regno è mettere noi, le nostre cose, la storia stessa nella prospettiva della Promessa. Il tempo presente diviene kairos, momento favorevole, per scorgere l’eternità che si radica nel quotidiano. Matteo insiste su una ricerca attiva del Regno, che diventa impegno per la giustizia.
Quella giustizia che trova il suo fondamento nell’amore per Dio e per il prossimo, e non certo nell’egoismo e nella ricerca idolatrica delle ricchezze. Solo la pratica quotidiana di questa giustizia dà spessore alla vita. E non lascia spazio alla paura per il domani, ma riposa serenamente tra le mani del Dio giusto, misericordioso e provvido.


(tratto da www.tuttavia.eu)

SCOLARIZZAZIONE PRECOCE. UN RISCHIO DA EVITARE

Gli effetti negativi della prescolarizzazione

DI BRUNELLA GASPERINI, PSICOLOGA
26 maggio 2016
Alfabetizzare i bimbi già alla scuola materna non fa bene. Meglio lasciarli giocare finché possibile, perché i benefici registrati nei piccoli allievi “prescolarizzati” sono momentanei e nel tempo possono trasformarsi in svantaggi. O addirittura in danni, disagi in ambito sociale ed emotivo. Alcune ricerche lo confermano, discutiamone assieme.
        La prescolarizzazione, ovvero l’anticipo nell’acquisizione di competenze scolastiche, può avere effetti negativi sui bambini. La conferma arriva ormai da numerose ricerche. È tendenza comune pensare che “preparare”  i piccoli alla scuola elementare già con esercizi durante l'ultimo anno di materna, anticipare la data di inizio della scuola obbligatoria, scolarizzarli prima insoma, costituisca un vantaggio perché li prepara ad affrontare "il passo succesivo", e che faciliti il loro percorso accademico. 
Ma non è così. Anzi.
       Alcuni studi statunitensi hanno messo a confronto le scuole materne orientate alla preparazione accademica con quelle basate su gioco, esplorazione e socializzazione, scoprendo che i benefici registrati nei piccoli allievi “prescolarizzati” sono momentanei, e nel tempo possono trasformarsi in svantaggi
       In un articolo di Nancy Carlsson-Paige, Geralyn McLaughlin e Joan Almon, autorevoli esperte dell’infanzia, si legge che esperienze educative non adeguate al livello di sviluppo o in sintonia con i bisogni e le possibilità dei bambini possono causare gravi danni, tra cui sentimenti di inadeguatezza, ansia e confusione....

Leggi: SCOLARIZZAZIONE PRECOCE

venerdì 24 febbraio 2017

L'ALTRO E' UN DONO. Il messaggio di papa Francesco per la Quaresima

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
PER LA QUARESIMA 2017

La Parola è un dono. L’altro è un dono

Cari fratelli e sorelle,
la Quaresima è un nuovo inizio, una strada che conduce verso una meta sicura: la Pasqua di Risurrezione, la vittoria di Cristo sulla morte. E sempre questo tempo ci rivolge un forte invito alla conversione: il cristiano è chiamato a tornare a Dio «con tutto il cuore» (Gl 2,12), per non accontentarsi di una vita mediocre, ma crescere nell’amicizia con il Signore. Gesù è l’amico fedele che non ci abbandona mai, perché, anche quando pecchiamo, attende con pazienza il nostro ritorno a Lui e, con questa attesa, manifesta la sua volontà di perdono (cfr Omelia nella S. Messa, 8 gennaio 2016).
La Quaresima è il momento favorevole per intensificare la vita dello spirito attraverso i santi mezzi che la Chiesa ci offre: il digiuno, la preghiera e l’elemosina. Alla base di tutto c’è la Parola di Dio, che in questo tempo siamo invitati ad ascoltare e meditare con maggiore assiduità. In particolare, qui vorrei soffermarmi sulla parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro (cfr Lc 16,19-31). Lasciamoci ispirare da questa pagina così significativa, che ci offre la chiave per comprendere come agire per raggiungere la vera felicità e la vita eterna, esortandoci ad una sincera conversione.
1. L’altro è un dono
La parabola comincia presentando i due personaggi principali, ma è il povero che viene descritto in maniera più dettagliata: egli si trova in una condizione disperata e non ha la forza di risollevarsi, giace alla porta del ricco e mangia le briciole che cadono dalla sua tavola, ha piaghe in tutto il corpo e i cani vengono a leccarle (cfr vv. 20-21). Il quadro dunque è cupo, e l’uomo degradato e umiliato.........


INSEGNARE L''ITALIANO. - RESPONSABILITA' COMUNE

PER UNA DIDATTICA ATTIVA DELL'ITALIANO

La lingua italiana non può ridursi alla sola grammatica e alla lingua letteraria ed essere insegnata  nella sola ora di italiano, poiché tutti gli insegnamenti e gli apprendimenti hanno la lingua come veicolo principale. Perciò ai fini dello sviluppo della competenza linguistica degli allievi, occorre coinvolgere "non una, ma tutte le materie; non uno, ma tutti gli insegnanti. (GISCEL 1975).
A tal proposito sottoponiamo alla vostra attenzione un interessante articolo pubblicato nel recente numero della rivista "Scuola Italiana Moderna"


giovedì 23 febbraio 2017

RIDI CHE TI PASSA ....

UNA RISATA CI SALVERÀ'

Ridere é una buona abitudine che fa bene al cuore e solleva lo spirito, libera da costrizioni e pensieri oscuri, fa addirittura crescere e diventare migliori.
Ecco perché una buona risata va sempre incoraggiata, a qualsiasi età.
Vi invitiamo a leggere il recente articolo di Ada Fonzi, professoressa emerita di Psicologia dello Sviluppo, recentemente pubblicato dalla rivista Messaggero di S. Antonio.




mercoledì 22 febbraio 2017

EDUCARE: LA CURA e L'ATTESA

Educatori, 
compagni di cordata

di DANIELA POZZOLI

 Educare i giovani è «uno sport di squadra »: nel secondo giorno del XV Convegno nazionale di pastorale giovanile («La cura e l’attesa. Il buon educatore e la comunità cristiana»), in corso a Bologna fino a giovedì, la figura dell’educatore prende sempre più forma attraverso le parole dei relatori.
E il pubblico, formato da 700 incaricati di pastorale giovanile arrivati da tutta Italia, riempie i taccuni. Sono qui per ascoltare gli esperti, ma anche per scambiarsi esperienze e modi diversi di affrontare il proprio compito. Tra un piatto di pasta al forno alla bolognese e un dessert ipercalorico perché come ripete spesso l’«anima » di questo incontro, don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale di pastorale giovanile: «I convegni si fanno anche a tavola».
L’educatore è una persona che «impara a sua volta dai ragazzi», come sostiene il vescovo di Vigevano, Maurizio Gervasoni, che ha celebrato la Messa di apertura dei lavori di oggi, «è colui che oltre a portare la testimonianza della sua vita – ha spiegato – ascolta le persone e si prende cura degli altri, lasciandosi da questi anche istruire. Perché ogni testimone mi permette di allargare la mia esperienza di vita e di mettermi in gioco».
Questo adulto ha altre caratteristiche che lo contraddistinguono: sa parlare al plurale e non dice mai «i miei ragazzi», ma coinvolge anche altre figure; sa pronunciare dei «no» al momento giusto perché non teme di essere meno amato; è paziente e non pretende subito di vedere i risultati che purtroppo spesso non arrivano; è «regista», cioè accompagna i giovani, ne favorisce la crescita, li conduce dentro a una trama; è «medico» perché li ascolta, loro che sono come vasi d’argilla, e li tocca con un abbraccio o una pacca sulla spalla per far sentire la sua presenza; ma è anche la persona che li allena ad amare il sentiero.
Perché, come ha spiegato l’arcivescovo di Modena-Nonantola, Erio Castellucci, facendo riferimento al suo passato scout, solo facendosi compagni di vita è possibile essere adulti credibili. «Quando andavo in route di strada – ha ricordato – mi spendevo nel motivare il significato del sentiero. Davanti a un cammino, spesso ripido, dicevo ai ragazzi: 'Vedete quella meta? Non è la stessa cosa raggiungerla a piedi sudando e faticando o arrivarci in seggiovia belli riposati. Se ce la sudiamo la gusteremo di più, sarà nostra per sempre'. Non li ho mai convinti, questo è sicuro, ma sono certo che sia così». L’educatore insomma non è chi, stando seduto, indica il cammino, suggerisce come non finire fuori strada o come rialzarsi: «È piuttosto chi cammina a fianco dei ragazzi – riprende Castelucci –, tiene il loro passo, li incoraggia, raccontando la sua fatica perché è un atto educativo anche comunicare le proprie difficoltà, i propri fallimenti e dubbi. I ragazzi hanno bisogno di sentire che i loro educatori non sono dei supereroi, ma donne e uomini che credono nella meta, nel Vangelo di Gesù e, anche se facendo fatica, cercano di raggiungerla». (Su questo tema è intervenuta la pedagogista Chiara Scardicchio di cui diamo conto nell’intervista qui di fianco).
Chi educa si muove per conto dalla comunità cristiana e «la comunità che educa – riprende l’arcivescovo di Modena – è costituita da tutti i collaboratori pastorali: anche i volontari del Centro d’ascolto o gli animatori della liturgia. A questo livello occorre vincere una tentazione: l’apertura della caccia, dove la specie più ambita è quella dei giovani e dove tutti chiedono di arruolarli nelle loro fila. Ma la pastorale non può diventare una campagna di arruolamento, è piuttosto un gruppo di giovani che, attraverso un discernimento guidato, intreccerà la sua attività con i diversi ambiti della comunità.
L’Agesci, per fare un esempio, invita i ragazzi a fare servizio anche fuori dall’associazione per riportare poi nel gruppo scout la ricchezza delle esperienze vissute». Sarebbe molto facile adottare con i giovani, tira le somme Castellucci, «una pastorale degli scacchi: bianco o nero, giusto o sbagliato, regolare o irregolare. Ma è una pastorale statica che ha come unica preoccupazione collocare e classificare, mentre qui si tratta non di giudicare, ma di accompagnare nella vita».

La pedagogista.
«Porre domande e saper stimolare la ricerca»
Racconta di essere stata una «secchiona», ma di aver dovuto ripensare la propria esistenza per vivere nel migliore di modi una maternità difficile dopo la nascita della figlia Serena, affetta da autismo. Chiara Scardicchio, barese, pedagogista e ricercatrice all’università degli studi di Foggia, non si nasconde: «I libri e la cultura erano la mia coperta di linus, ma non servono a niente se non ci si interroga su chi siamo. E questo a volte avviene, come nel mio caso, all’interno di un percorso fatto di dolore, redenzione, bellezza che al momento ti spiazza ma poi ti fa risorgere». Scardicchio, mamma e pedagogista, non ha ricette da offrire alla platea di addetti ai lavori che la ascolta attenta nell’hotel bolognese che ospita il convegno nazionale di pastorale giovanile. Può solo testimoniare che il «buon educatore », tema dell’incontro, è una persona «in continua ricerca», onesta con se stessa e coraggiosa.
«L’educatore deve essere innanzitutto un adulto – spiega la ricercatrice che si occupa dal 1997 di progettazione e formazione negli ambienti dell’educazione e della cura –, mentre spesso, soprattutto in oratorio, si tratta di ragazzi troppo giovani. Deve avere competenze particolari, la prima è saper lavorare su se stesso con autenticità. Una persona che sappia guardare alla propria storia e alle proprie sofferenze e che nutra un desiderio appassionato di non smettere di cercare». In questo «mestiere» così difficile, per Scardicchio però il cuore non basta. «Cruciale per la crescita di un ragazzo – prosegue – è fargli domande senza però fornirgli risposte già pronte, perché significa sottovalutarlo. Invece un buon educatore-ricercatore è chi cammina al loro fianco, impara a osservare e soprattutto li sprona alla ricerca ».
Anche essere presi solo da obbiettivi pratici da realizzare è un errore. «Noi adulti – dice ancora – siamo credibili non quando siamo perfetti ma quando siamo in grado di vedere la nostra fragilità e di lavorare su di essa». Progettare dunque è il verbo. «Significa movimento, smottamento, innamoramento – conclude –. Innamorarsi della realtà coincide con il rischio e con la creazione. Col desiderio di ingravidare, col proprio slancio, il reale. È questo il senso della pedagogia fertile che fonda ogni progettazione».
Daniela Pozzoli

Da AVVENIRE, 22.02.2017


sabato 18 febbraio 2017

MARTIN LUTERO: ANGELO O DEMONIO?

Presentiamo un interessante contributo, che ci proviene dalla realtà associativa di Besozzo (Va) a  firma di don Giovanni Giavini, biblista di fama nazionale e collaboratore di numerose riviste specializzate. Si tratta di tre articoli sulla figura di Martin Lutero che, il 31 ottobre 1517, rese pubbliche le sue 95 tesi contro le indulgenze. Il suo gesto diede inizio a un movimento mondiale: la Riforma luterana, di cui quest’anno si celebra il V centenario. 


MARTIN LUTERO: ANGELO O DEMONIO? 
Due date: 1517 – 2017 
Parlare di Lutero non è facile, per vari motivi, ma forse soprattutto per tanti pregiudizi su di lui, benevoli o meno. Proviamo a ignorarli per un momento e lasciamoci guidare dalla storia, benché sommaria.
Nel  2017  si  celebra il  V  centenario  dell’inizio  della  Riforma  luterana,  essendo  il  1517 l’anno della stesura e diffusione a e da Wittenberg (a sud di Berlino) delle famose 95 tesi dedicate da Lutero soprattutto alla critica della predicazione sulle indulgenze nella sua Germania: “Fate belle offerte – gridavano i predicatori a nome di Papi e vescovi a volte indegni e affaristi; v. Alessandro VI Borgia e Leone X de’Medici e l’arcivescovo di Magonza – e salverete l’anima vostra e dei defunti”.
 Le 95 tesi furono come il fiammifero in una polveriera.
La polveriera era la Germania e l’Europa del 1500, ancora abbastanza unite (pur zoppicante ma c’era ancora anche il Sacro Romano Impero di nazione germanica), benché ormai sull’orlo della frammentazione in tanti piccoli Stati e in diverse Chiese; intanto i Turchi premevano da oriente. 
Lutero,  all’inizio,  non  vuole  creare  un’altra  Chiesa,  ma  solo  riformare  .......

venerdì 17 febbraio 2017

UNA SCUOLA CHE NON OPPRIME

                   
Non opprimere i figli con l'idea della scuola
di Natalia Ginzburg


 Al rendimento scolastico dei nostri figli, siamo soliti dare un'importanza che è del tutto infondata. E anche questo non è se non rispetto per la piccola virtù del successo. Dovrebbe bastarci che non restassero troppo indietro agli altri, che non si facessero bocciare agli esami; ma noi non ci accontentiamo di questo; vogliamo, da loro, il successo, vogliamo che diano delle soddisfazioni al nostro orgoglio.
Se vanno male a scuola, o semplicemente non così bene come noi pretendiamo, subito innalziamo fra loro e noi la bandiera del malcontento costante; prendiamo con loro il tono di voce imbronciato e piagnucoloso di chi lamenta un'offesa. Allora i nostri figli, tediati, s'allontanano da noi. Oppure li assecondiamo nelle loro proteste contro i maestri che non li hanno capiti, ci atteggiamo, insieme con loro, a vittime d'una ingiustizia. E ogni giorno gli correggiamo i compiti, anzi ci sediamo accanto a loro quando fanno i compiti, studiamo con loro le lezioni.
In verità la scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo, la prima battaglia da affrontare da solo, senza di noi; fin dal principio dovrebbe esser chiaro che quello è un suo campo di battaglia, dove noi non possiamo dargli che un soccorso del tutto occasionale e illusorio. E se là subisce ingiustizie o viene incompreso, è necessario lasciargli intendere che non c'è nulla di strano, perché nella vita dobbiamo aspettarci d'esser continuamente incompresi e misconosciuti, e di essere vittime d'ingiustizia: e la sola cosa che importa è non commettere ingiustizia noi stessi.
I successi o insuccessi dei nostri figli, noi li dividiamo con loro perché gli vogliamo bene, ma allo stesso modo e in egual misura come essi dividono, a mano a mano che diventano grandi, i nostri successi o insuccessi, le nostre contentezze o preoccupazioni. È falso che essi abbiano il dovere, di fronte a noi, d'esser bravi a scuola e di dare allo studio il meglio del loro ingegno. Il loro dovere di fronte a noi è puramente quello, visto che li abbiamo avviati agli studi, di andare avanti.
Se il meglio del loro ingegno vogliono spenderlo non solo nella scuola, ma in altra cosa che li appassioni, raccolta di coleotteri o studio della lingua turca, sono fatti loro e non abbiamo nessun diritto di rimproverarli, di mostrarci offesi nell'orgoglio, frustrati d'una soddisfazione.
Se il meglio del loro ingegno non hanno l'aria di volerlo spendere per ora in nulla, e passano del tempo al tavolino masticando una penna, neppure in tal caso abbiamo il diritto di sgridarli molto: chissà, forse quello che a noi sembra ozio è in realtà fantasticheria e riflessione, che, domani, daranno frutti.
Se il meglio delle loro energie e del loro ingegno sembra che lo sprechino, buttati in fondo a un divano a leggere romanzi stupidi, o scatenati in un prato a giocare a football, ancora una volta non possiamo sapere se veramente si tratti di spreco dell'energia e dell'impegno, o se anche questo, domani, in qualche forma che ora ignoriamo, darà frutti. Perché infinite sono le possibilità dello spirito.
               Ma non dobbiamo lasciarci prendere, noi, i genitori, dal panico dell'insuccesso.
 I nostri rimproveri debbono essere come raffiche di vento o di temporale: violenti, ma subito dimenticati; nulla che possa oscurare la natura dei nostri rapporti coi nostri figli, intorbidarne la limpidità e la pace.
I nostri figli, noi siamo là per consolarli, se un insuccesso li ha addolorati; siamo là per fargli coraggio, se un insuccesso li ha mortificati.
Siamo anche là per fargli abbassare la cresta, se un successo li ha insuperbiti.
 Siamo per ridurre la scuola nei suoi umili ed angusti confini; nulla che possa ipotecare il futuro; una semplice offerta di strumenti, fra i quali forse è possibile sceglierne uno di cui giovarsi domani.

Natalia Ginzburg, LE PICCOLE VIRTU' , ed. EtScrittori

martedì 14 febbraio 2017

LA VOCE DELL'AIMC VARESINA

L'AIMC della Provincia di Varese pubblica ogni anno un suo Notiziario che illustra le numerose iniziative svolte nel corso dell'anno.
Nel complimentarci con i dirigenti e i soci dell'AIMC varesina, riteniamo opportuno pubblicare il Notiziario 2016. E', infatti, bello conoscere e condividere quanto realizzato.


lunedì 13 febbraio 2017

I SEICENTO E LA LINGUA ITALIANA

A PROPOSITO DELLA  LINGUA ITALIANA

Il principale obiettivo dell’apprendimento linguistico, a partire da quello della lingua madre, dal cui saldo possesso dipendono gli altri apprendimenti, dovrebbe essere quello di privilegiare la significatività e l’efficacia della comunicazione, non la sua correttezza formale, che comunque va curata anche perché spesso la sciatteria della forma è un indicatore della scarsa qualità del contenuto comunicato.
La lingua tuttavia evolve nel tempo e nello spazio: basti pensare – per restare nella contemporaneità – ai diversi modi di parlare e scrivere in inglese, dall’american english allo spanglish alla neolingua collegata all’evoluzione tecnologica e alle abitudini comunicative dei giovani. In questo inglese compaiono molte novità che un sopracciglioso custode dell’inglese classico considererebbe errori più o meno gravi, ma che sono spesso il frutto dei cambiamenti in corso.
E che dire del passaggio dal latino alle lingue neolatine? O delle novità intervenute nella lingua italiana, di cui pure è testimone la stessa Accademia della Crusca?
La questione di fondo della quale ci si dovrebbe preoccupare non è tanto quella del rispetto formale della lingua canonica (che è comunque un prodotto delle dinamiche storico-culturali) quanto quella della chiarezza, completezza e coerenza logica della comunicazione, sia scritta che orale.
A questo risultato, d’altra parte, puntano prioritariamente (senza peraltro ignorare le verifiche sulla grammatica e sull’ortografia) anche le Indicazioni nazionali nell’ultima versione del 2012, che ovviamente non possono essere considerate responsabili degli errori ortografici degli attuali studenti universitari, nati nell’ultimo decennio dello scorso secolo. Lo ricorda in un esaustivo articolo  (Gruppo dei 600 e ragazzi di Barbiana) che si può leggere sul portale di Tuttoscuola il professore Italo Fiorin, già coordinatore della Commissione che tali Indicazioni ha redatto.
I firmatari dell’appello, osserva Fiorin, “sembrano nostalgici di una età dell’oro, che, se mai c’è stata, oggi non luccica più. Un’età nella quale la famiglia normativa insegnava ai bambini le regole che oggi la famiglia affettiva non insegna più; un’età nella quale era considerato normale che ci fosse una selezione precoce, e che questa avvenisse, auspicabilmente, fin dai primi anni di scolarizzazione. Un’età nella quale alla scuola media arrivavano alunni già selezionati, per non parlare dei licei o dell’università. Classi senza alunni con i rilevanti svantaggi sociali o culturali, senza alunni stranieri, senza alunni con disabilità”. Ma dei quali la scuola di oggi, e ancor più quella di domani, deve preoccuparsi.




LE OPERE DI MISERICORDIA NELL'EDUCAZIONE

MISERICORDIOSI EDUCANDO

Sussidio per la riflessione e l'azione

Gli autori (il biblista Cesare Bissoli e il pedagogista Carlo Nanni, docenti alla Pontifica Università Salesiana), propongono una riflessione molto approfondita, ma ne contempo di agile e di facile lettura, delle opere di misericordia nell’educazione sia da una prospettiva teologico-pastorale sia da un punto di vista didattico-pedagogico.
L’opera, recentemente pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana, è strutturata in due parti. Nella prima vengono sviluppate – in chiave moderna – le opere di misericordia corporale e spirituale con una serie di riferimenti alla parola di Dio, ai Padri della Chiesa e al Magistero.
Nella seconda parte, invece, si presentano dieci intersezioni tra misericordia ed educazione, in cui si affrontano – attraverso esempi pratici e modelli teorici e modelli teorici – i tempi della testimonianza cristiana nella docenza, nello studio, nell'incontro e nelle tante forme di educazione informale.
E’ un utile sussidio per chi è impegnato ogni giorno nell'educazione, sia in famiglia, sia nella scuola e nelle  varie istituzioni, sia nell'associazionismo  e in ogni luogo ove si espleta l'impegno educativo.


Bissoli, Nanni, MISERICORDIOSI EDUCANDO, Libreria Editrice Vaticana, 2016, pagg. 250, € 16
IBSN 978-88-209-9850-9 

sabato 11 febbraio 2017

EDUCAZIONE MOTORIA NELLA SCUOLA DELL'INFANZIA E PRIMARIA

Il libro del collega Emanuele Verdura  e' frutto di annose  ricerche e di concrete  sperimentazioni nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria. Ha rappresentato un valido strumento  per l'evoluzione armonica di molti bambini e si propone come necessario nell'attuale panorama pedagogico, funzionale alla crescita dei bisogni dei bambini e della scuola d'oggi. 
Non dovrebbe mancare nel corredo di ogni insegnante, poiché é una guida esperta  che lo aiuta a raggiungere traguardi didattici di eccellenza nel campo motorio e intellettivo. 
La base scientifica del testo  consente un utilizzo ad ampio spettro da parte di tutti gli insegnanti, compresi quelli di sostegno. 
L'innovativa educazione motoria, proposta nella guida  per i docenti, non é una panacea pedagogica, ma  risveglia talenti - che non sempre riescono a manifestarsi compiutamente - potenziando  le capacità di ogni  singolo bambino e aiutandolo a risolvere problemi di dislessia e di letto scrittura. Sono indicati  collegamenti a youtube per canzoni inerenti i concetti trattati.
Prefazione di P. Moliterni professore di Didattica e Pedagogia Speciale, dipartimento Scienze Motorie dellUniversità degli Studi di Roma Foro Italico
 Emanuele Verdura, Educazione motoria nella scuola dell'infanzia e primaria, Ed. Ecogeses, Roma, 2016

Per eventuali acquisti bisogna rivolgersi a Ufficio stampa AIMC  (stampa@aimc.it  o tel. 06634651.  Prezzo promozione euro 11,50 (invece di 16 euro).

PAPA FRANCESCO: UMANIZZARE L'EDUCAZIONE, PROMUOVERE LA CULTURA DEL DIALOGO, SEMINARE SPERANZA

EDUCARE: TRASMETTERE UNA VITA 
CAPACE DI FUTURO

" ....... Anzitutto, di fronte ad un invadente individualismo, che rende umanamente poveri e culturalmente sterili, è necessario umanizzare l’educazione. La scuola e l’università hanno senso pieno solo in relazione alla formazione della persona. A questo processo di crescita umana tutti gli educatori sono chiamati a collaborare con la loro professionalità e con la ricchezza di umanità di cui sono portatori, per aiutare i giovani ad essere costruttori di un mondo più solidale e pacifico. Ancor di più le istituzioni educative cattoliche hanno la missione di offrire orizzonti aperti alla trascendenza. Gravissimum educationis ricorda che l’educazione è al servizio di un umanesimo integrale e che la Chiesa, quale madre educatrice, guarda sempre alle nuove generazioni nella prospettiva della «formazione della persona umana sia in vista del suo fine ultimo sia per il bene delle varie società, di cui l’uomo è membro ed in cui, divenuto adulto, avrà mansioni da svolgere» (n. 1).
     Un’altra attesa è quella che cresca la cultura del dialogo. Il nostro mondo è diventato un villaggio globale con molteplici processi di interazione, dove ogni persona appartiene all’umanità e condivide la speranza di un futuro migliore con l’intera famiglia dei popoli. Nello stesso tempo, purtroppo, ci sono tante forme di violenza, povertà, sfruttamento, discriminazione, emarginazione, approcci restrittivi alle libertà fondamentali che creano una cultura dello scarto. In tale contesto gli istituti educativi cattolici sono chiamati in prima linea a praticare la grammatica del dialogo che forma all’incontro e alla valorizzazione delle diversità culturali e religiose. Il dialogo, infatti, educa quando la persona si relaziona con rispetto, stima, sincerità d’ascolto e si esprime con autenticità, senza offuscare o mitigare la propria identità nutrita dall’ispirazione evangelica. Ci incoraggia la convinzione che le nuove generazioni, educate cristianamente al dialogo, usciranno dalle aule scolastiche e universitarie motivate a costruire ponti e, quindi, a trovare nuove risposte alle molte sfide del nostro tempo. In senso più specifico, le scuole e le università sono chiamate ad insegnare un metodo di dialogo intellettuale finalizzato alla ricerca della verità. San Tommaso è stato ed è tuttora maestro in questo metodo, che consiste nel prendere sul serio l’altro, l’interlocutore, cercando di cogliere fino in fondo le sue ragioni, le sue obiezioni, per poter rispondere in modo non superficiale ma adeguato. Solo così si può veramente avanzare insieme nella conoscenza della verità.
       C’è un’ultima attesa che vorrei condividere con voi: il contributo dell’educazione al seminare speranza. L’uomo non può vivere senza speranza e l’educazione è generatrice di speranza. Infatti l’educazione è un far nascere, è un far crescere, si colloca nella dinamica del dare la vita. E la vita che nasce è la sorgente più zampillante di speranza; una vita tesa alla ricerca del bello, del buono, del vero e della comunione con gli altri per una crescita comune. Sono convinto che i giovani di oggi hanno soprattutto necessità di questa vita che costruisce futuro. Perciò, il vero educatore è come un padre e una madre che trasmette una vita capace di futuro. Per avere questa tempra occorre mettersi in ascolto dei giovani: il “lavoro dell’orecchio”. Mettersi in ascolto dei giovani! E lo faremo in particolare con il prossimo Sinodo dei Vescovi dedicato a loro. L’educazione, poi, ha in comune con la speranza la stessa “stoffa” del rischio. La speranza non è un superficiale ottimismo, nemmeno la capacità di guardare alle cose benevolmente, ma anzitutto è un saper rischiare nel modo giusto, proprio come l’educazione..... "

Leggi: DISCORSO DI PAPA FRANCESCO - 9.2.2017

giovedì 9 febbraio 2017

VALUTAZIONE DEL DIRIGENTE SCOLASTICO: IL PORTFOLIO

 “Il Portfolio del Dirigente scolastico e gli strumenti di valutazione”

La valutazione dei dirigenti scolastici è ormai entrata nel vivo, con i dirigenti impegnati a realizzare gli obiettivi assegnati loro dall’USR di competenza (oltre a quelli afferenti alle priorità nazionali), sulla base delle esigenze del territorio e della scuola diretta, desunti quindi dal Piano di  Miglioramento seguito al Rapporto di Autovalutazione.

Il processo di valutazione dei dirigenti, come descritto nelle Linee Guida, pubblicate dal Miur il 28 settembre u.s. per l’attuazione della Direttiva  n. 36 del 18 agosto 2016, si articola per il corrente anno scolastico nelle seguenti fasi (alcune delle quali naturalmente già svolte):

     entro settembre 2016 – Definizione degli obiettivi da parte del Direttore dell’USR. Gli obiettivi vengono inseriti nell’incarico del Dirigente e permangono per il triennio di vigenza; possono entro settembre essere aggiornati annualmente, ma solo per situazioni particolari e previo accordo 2016 con l’interessato;
      entro dicembre 2016 – Formulazione della proposta di “Piano regionale di valutazione” da parte del  Coordinatore regionale del servizio ispettivo e adozione da parte del Direttore.
gennaio – maggio 2017 – Autovalutazione annuale da parte del Dirigente attraverso un format comune sulle azioni realizzate e i risultati ottenuti con riferimento a dati ed evidenze a sistema ed eventuali richieste di integrazioni da parte del Nucleo (strumento fondamentale e punto di riferimento per l’autovalutazione e la documentazione delle azioni del 2017 Dirigente è il Portfolio, compilabile in progress fino a maggio).
     entro agosto 2017 – Valutazione di prima istanza da parte del Nucleo ed eventuale visita presso l’Istituzione scolastica sede di servizio del Dirigente (ogni Dirigente sarà comunque oggetto di una visita ali’interno del triennio di incarico). Valutazione finale da parte del Direttore, con riferimento alla valutazione di 2017 prima istanza del Nucleo. Il Direttore può discostarsi dalla valutazione del Nucleo previa motivazione scritta.

     entro dicembre 2017  – Restituzione dei riscontri della valutazione da parte del Direttore, obbligatoria in caso di “mancato raggiungimento degli obiettivi”, a richiesta dell’interessato in caso entro dicembre di valutazione positiva. Il Direttore comunicherà comunque i dati generali sui risvolti 2017 della valutazione annuale a tutti i Dirigenti in una dimensione di orientamento e sviluppo della professionalità.

     Con la recente  "Nota esplicativa n. 2"  sono state pubblicate  le Linee guida per l’attuazione della Direttiva 36/2016 sulla valutazione dei dirigenti scolastici .


mercoledì 8 febbraio 2017

AIMC FIRENZE - Incontro con don Paolo Arzani


AIMC - sezione di Firenze

RITROVIAMOCI IN A.I.M.C.
SABATO 25 febbraio 2017 ORE 09,30 – 11,30

 PER SCAMBIARSI
RIFLESSIONI,  PENSIERI, EMOZIONI,
  UN LIBRO, UN CAFFE'......

SEDE AIMC FIRENZE
CHIESA DI SANTA LUCIA SUL PRATO
(via Santa Lucia sul Prato,10-zona Stazione SMN)

  

Vuoi guarire?

·      Quando siamo come paralizzati
·      Voler guarire, per guarire
·      La paura della guarigione

Discussione

Con Don Paolo Arzani. Parroco in S.Lucia sul Prato in Firenze e assistente spirituale dell'A.I.M.C. Firenze. 
Don Paolo ha pubblicato Parabole di trasformazione 2002, Quando la preghiera ti sorprende 2013,Ritrovare la vita (2013) Il sogno del cantico (2014) ,Se mi prendi nelle tue mani (2015) La brezza leggera( 2015), Cose nuove e cose antiche (2016)


Le iscrizioni si raccolgono entro tre giorni prima da ogni incontro, agli indirizzi di posta appresso indicati: stefanopagnifedi@alice.it; catiamax.dg@libero.it; info@aimcfirenze.it . Per informazioni tel. a Stefano Pagni Fedi 3474162620 o Catia Rossi 3491049114



domenica 5 febbraio 2017

PARLARE E SCRIVERE IN BUON ITALIANO. Un problema per molti. Che cosa fare?

“Gli studenti non sanno l’italiano”.
 La denuncia di 600 prof universitari
Appello accorato dei docenti che chiedono un intervento urgente al governo e al Parlamento. «Nelle tesi di laurea, errori da terza elementare. Bisogna ripartire dai fondamentali: grammatica, ortografia, comprensione del testo»

di Orsola Riva

Possibile ritrovarsi a correggere una tesi di laurea dovendo usare la matita rossa e blu come in un temino della scuola elementare? Purtroppo sì. Basta leggere alcune delle testimonianze drammatiche dei 600 professori universitari che in pochi giorni hanno sottoscritto un accorato appello al governo e al Parlamento per mettere in campo un piano di emergenza che rilanci lo studio della lingua italiana nelle scuole elementari e medie. Ripartendo dai fondamentali: «dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura corsiva a mano». Può sembrare un ritorno indietro ma, come spiega Giorgio Ragazzini, uno dei quattro docenti di scuola media e superiore del Gruppo di Firenze che hanno promosso la lettera, «forse stiamo risentendo anche di una svalutazione della grammatica e dell’ortografia che risale agli anni 70». E invece, come già si diceva in un film diventato di culto dopo gli anni del riflusso, «chi parla male pensa male». O, come preferisce ricordare il professor Ragazzini citando Sciascia, «l’italiano non è l’italiano, è il ragionare».

«E’ chiaro ormai da molti anni che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente - si legge nella lettera -. Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcune facoltà hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana». La notizia non è nuova, ma non per questo è meno drammatica. Anche dall’ultimo rapporto Ocse-Pisa che misura le competenze dei quindicenni di mezzo mondo i nostri ragazzi sono usciti con le ossa rotte. E a sorpresa è soprattutto in italiano che andiamo male. Con buona pace della stanca retorica anti-crociana. Dal 2000 a oggi non abbiamo recuperato mezza posizione, mentre in matematica, dove pure eravamo molto più indietro, abbiamo fatto enormi passi avanti.

In  “Corriere della Sera”




sabato 4 febbraio 2017

Domenica 5 febbraio: SALE DELLA TERRA e LUCE DEL MONDO

Nel Vangelo di questa domenica Cristo dice ai suoi discepoli di sempre: “Voi siete il sale della terra…Voi siete la luce del mondo” (Mt 5, 13 e 14). Con queste parole Gesù non ci invita a sforzarci di diventare sale e luce, ci rivela quello che siamo. Non ci dice che cosa dobbiamo fare, ci ricorda quello che siamo già: sale e luce. Certo all’essere segue l’agire e, quindi, prendendo coscienza che siamo come il sale, che conserva e dà sapore, e come la luce illumina, che dà sicurezza, riscalda, noi abbiamo il compito di donare nuovo “sapore” al mondo, e di preservarlo dalla corruzione, con la sapienza di Dio, che risplende pienamente sul volto del Figlio, perché Egli è la “luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1,9).

Dicendo: “siete il sale della terra”, Gesù ci spiega che tutta la natura umana corrotta dal peccato è diventata insipida, ma per mezzo del nostro ministero di testimonianza, la grazia dello Spirito Santo rigenererà e conserverà il mondo. Per questo il Redentore ci insegna le virtù delle Beatitudini, quelle che sono le più necessarie, le più efficaci per noi che vogliamo assomigliare a Lui. Chi è mite, umile, misericordioso, giusto, non rinchiude in se stesso le buone opere che ha compiute, ma  ha cura  che queste  sorgenti zampillino anche per il bene degli altri. Chi ha il cuore puro, chi è operatore di pace, chi soffre la persecuzione per la verità, ecco la persona che consacra la vita al bene di tutti. Se ci sciogliamo come il sale diamo sapore alla vita del mondo, costruiamo una cultura della vita ed una civiltà dell’amore.

Dicendo:siete luce del mondo”, Cristo ci insegna che, uniti a Lui, noi possiamo diffondere in mezzo alle tenebre dell’indifferenza e dell’egoismo la luce dell’amore di Dio, vera sapienza che dona significato all’esistenza e all’agire degli uomini, A questo insegnamento sul fatto che siamo luce Gesù aggiunge subito queste parole: “Non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 15 – 16).....