giovedì 12 settembre 2013

ELOGIO DEL RIPETENTE


SCUOLA, IN DIFESA DEI RAGAZZI « DIFFICILI »

                                                                                                                            ROBERTO CARNERO

Mentre è imminente l’apertura delle scuole, si moltiplicano le riflessioni sull’istruzione e sulla professione docente, quasi a fornirci un viatico per cominciare al meglio il nuovo anno scolastico. Oltre al libro di Adolfo Scotto di Luzio, «La scuola che vorrei», pubblicato da Bruno Mondadori (l’autore è stato intervistato su 'Agorà' del 3 settembre da Roberto I. Zanini), esce per Mondadori un «Elogio del ripetente» di Eraldo Affinati. Il titolo – che ricorda il celebre «Elogio di Franti» scritto, ormai molti anni fa, da Umberto Eco a difesa dell’alunno 'cattivo' della scolaresca del libro «Cuore» – dice subito l’ottica molto particolare di Affinati, che oltre a essere uno scrittore è anche, in prima persona, un insegnante.
Quando parliamo di scuola in genere facciamo riferimento al punto di vista degli adulti (insegnanti, presidi, pedagogisti, sociologi ecc.). Affinati ha provato invece, forte della sua esperienza, a mettersi dalla parte degli studenti, di quelli meno bravi, meno motivati, meno 'performanti' (come si dice con una parola orribile), insomma dei ripetenti, di quei ragazzi che vanno ad ingrossare le cifre della dispersione scolastica.
Questo proposto da Affinati può essere un esercizio molto utile per tutti i maestri e i professori che si accingono a iniziare un nuovo anno di lavoro. In una situazione tutt’altro che rosea: oltre ai ben noti problemi congiunturali che riguardano il capitolo Istruzione, siamo in presenza di una generale perdita di autorevolezza, di riconoscimento e di significato dei processi formativi agli occhi della società, e dunque anche agli occhi dei ragazzi e delle loro famiglie.
Insegnare in certi contesti richiede che i docenti siano non soltanto solidi professionisti, ma missionari e a volte persino eroi. Eppure l’insegnamento è un lavoro dannatamente importante. In quello spazio tra la cattedra e il banco si gioca il rapporto tra le generazioni e si forma, nelle giovani menti dei discenti, il senso di un’identità collettiva, sul piano morale e civile. È un rapporto delicatissimo quello tra i ragazzi e i loro maestri, che spesso sono gli unici adulti con i quali essi entrano in contatto, se si escludono i genitori e i familiari. Ma spesso i maestri sono lasciati soli, abbandonati a se stessi, privi di strumenti adeguati a un compito così difficile in sé e in più complicato da molti fattori esterni. Chissà come veniamo visti noi professori dai nostri studenti.
Sappiamo che certi nostri modi di comportarci, certe modalità espressive, persino certi tic rimarranno impressi per sempre nella loro memoria. Ma anche gli alunni rimangono nella memoria di noi professori, quando facciamo bene il nostro lavoro. Alcuni di noi puntano sulla severità e sul distacco, altri su un rapporto amichevole e quasi 'alla pari', altri ancora oscillano pericolosamente tra questi due estremi.
 La verità – che emerge anche dallo sguardo degli alunni 'difficili' di Affinati, le cui voci sono chiamate a raccolta nel suo libro – è che molto spesso gli insegnanti riversano nel rapporto educativo i problemi non risolti delle loro esistenze. E i giovani hanno un sesto senso per captare queste debolezze e magari per approfittarsene. Ma non si può proprio dire che la colpa di quanto a scuola non funziona sia sempre dei 'Franti-ripetenti'.


www.avvenire.it – 12 settembre 2013

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