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-di Piero
Stefani
Si
tratta del 25° capitolo del Levitico; una pagina – non sembri un paradosso –
dal carattere a un tempo utopico e giuridicamente molto dettagliato. Il periodo
delle 7 settimane di anni che scandisce il giubileo è definibile, in
particolare per chi si trova in condizioni disagiate, come una specie di
pellegrinaggio nel tempo. Nel 50° anno si ripristina la situazione precedente:
«Ognuno tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia» (Lv 25,10). Lo
schiavo ebreo nell’anno giubilare «se ne andrà da te insieme ai suoi figli,
tornerà nella sua famiglia e rientrerà nella proprietà dei suoi padri» (Lv
25,41).
C’è un ritorno, non già uno sviluppo.
A
rendere possibile la reintegrazione nella condizione precedente è soltanto il
trascorrere del tempo.
Il
giubileo non prevede spostamenti collettivi in qualche luogo particolare, né vi
è un riferimento al Tempio. Il 50° anno non ha nulla da spartire con i «canti
delle salite» (Sal 120-134) e, tanto meno, con le tre feste di pellegrinaggio
(Pasqua, Settimane, Capanne; cf. Dt 16,16s). Gerusalemme non è meta
giubilare.
Il
giubileo biblico ha un carattere stanziale. Un suo irrinunciabile fondamento
sta nel fatto che la terra d’Israele è del Signore; di conseguenza, il popolo
risiede su di essa come forestiero e ospite (cf. Lv 25,23). Non è necessario
spostarsi in altri luoghi per sentirsi stranieri, né si è possessori del paese
per il semplice fatto d’avere nelle proprie mani qualche appezzamento di
terreno.
Una
visione esplicitata dalla tradizione giudaica successiva proietta il giubileo
in un avvenire «messianico». Secondo Mosè Maimonide esso non vige che in terra
d’Israele, purché ogni singola tribù sia stanziata nel suo territorio (cf. Gs
13–19) e non vi siano contrasti tra loro. (1) Ci si misura con una situazione
storicamente mai avvenuta. Per Maimonide il tempo del ripristino messianico non
è scandito dal succedersi misurabile di 7 settimane di anni; il suo avvento
avrà luogo in un futuro imprecisato. Quando sopraggiungerà, la situazione sarà
contraddistinta da un’ordinata stanzialità territoriale. In definitiva, la
visione biblica e giudaica del giubileo è saldamente legata sia al tempo sia
allo spazio (la terra d’Israele), ma non prevede alcun pellegrinaggio.
«Pellegrini
di speranza» (motto giubilare) è il titolo anche della XXXVI Giornata
per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, il 17
gennaio 2025. In esergo del sussidio redatto dalla CEI ci sono le parole: «È un
giubileo, esso sarà per voi santo» (Lv 25,12).
Il
breve messaggio dei vescovi scritto per l’occasione si chiude con questa frase:
«Ci auguriamo che l’anno giubilare, alla luce dei tempi che stiamo vivendo,
sia la rinnovata occasione, per cristiani ed ebrei, di ritornare ai testi
biblici letti insieme fraternamente secondo le proprie tradizioni». Il più
ampio messaggio dei rabbini d’Italia chiosa alcune caratteristiche del giubileo
biblico, ponendo l’accento soprattutto sulla giustizia sociale e ignorando,
coerentemente, ogni riferimento al pellegrinaggio.
Il
giubileo cattolico non è quello biblico
Perché
allora in ambito cattolico, a partire dalla sua istituzione nel 1300, il
giubileo implica l’effettuazione di pellegrinaggi? La risposta è semplice;
nonostante l’omonimia, il giubileo cattolico non ha alcun legame con quello
biblico. La riproposizione dell’ideale della remissione dei debiti, intesi,
specie a livello internazionale, in senso economico-finanziario, è un tema
apparso solo in epoca contemporanea, per trasformarsi poi rapidamente in una
costante (è richiamata anche al n. 16 della bolla d’indizione del prossimo
giubileo, Spes non confundit, sostenuta da un’allusione a Lv 25,23; cf.
Regno-doc. 11,2024,326).
All’origine
non si aveva alcun sospetto di ciò. La breve bolla di Bonifacio VIII Antiquorum
habet che istituì il primo giubileo della storia cristiana è, non a caso, priva
d’ogni riferimento biblico. (2) Gli ascendenti del giubileo vanno ricercati
altrove ed è proprio questa origine a evidenziarne il carattere pellegrinante.
Il suo antefatto più stringente lo si trova infatti nel pellegrinaggio armato
delle crociate.
San
Bernardo di Chiaravalle, nella sua predicazione e nelle sue lettere, aveva
presentato la seconda crociata (1144-1149) come un giubileo cristiano proprio a
causa delle indulgenze da essa concesse. I debiti venivano ormai intesi in
senso spirituale. Dopo la caduta di San Giovanni d’Acri (1291), la mistica
della crociata avrebbe trovato il suo sostituto nel giubileo. L’indulgenza
plenaria venne collegata a luoghi più accessibili rispetto a quelli che
contraddistinguevano il pellegrinaggio armato a Gerusalemme.
La
derivazione del giubileo dalle crociate fu a lungo evocata senza alcun disagio.
Ancora a metà del XVIII secolo Benedetto XIV richiamava alla memoria il fatto
che Urbano II, nel 1096, aveva concesso che «quel viaggio» (la prima crociata)
fosse compiuto per chi vi partecipava «come penitenza totale». (3)
Si
tratta di una genealogia che suscita un forte disagio in epoca contemporanea;
essa perciò, nelle bolle di indizioni più recenti, viene semplicemente
ignorata. In Spes non confundit (n. 5; Regno-doc. 11,2024,322s) si indicano,
per esempio, come precedenti la «grande “perdonanza”» indetta da san Celestino
V nel 1294; si ricorda inoltre che quasi 80 anni prima, nel 1216, Onorio III
aveva accolto la supplica di san Francesco di concedere l’indulgenza a chi
avesse visitato la Porziuncola nei primi due giorni di agosto; lo stesso si può
affermare per il pellegrinaggio a Santiago di Compostela in relazione a un
decreto di Callisto II (1122).
Pellegrinaggio
o turismo?
È
una tendenza tipica della Chiesa cattolica postconciliare auspicare ritorni a
visioni più bibliche della fede; tuttavia l’operazione è, a volte, condotta in
modo poco sorvegliato. L’anno santo cattolico conosce, fin dalle sue origini,
una pratica di corposi spostamenti collettivi che nulla ha da spartire con il
giubileo biblico.
La
presenza della folla è già ricordata da Dante in un paragone, a prescindere
dalle intenzioni dell’autore, oggettivamente imbarazzante a causa della sua
ambientazione infernale: la mobilità dei dannati è accostata a quella dei
pellegrini che sul ponte di Castel Sant’Angelo formavano un «essercito molto»
(cf. Inferno XVIII, 25-33). La Commedia coglie, in germe, un aspetto dell’anno
santo destinato a moltiplicarsi a dismisura nel corso del tempo: la presenza di
folle che giungono a Roma.
Nel
1300 il giubileo e le sue pratiche devozionali segnarono, per più aspetti, il
passaggio da una religione intesa come grande fattore di mobilitazione storica
a una spiritualità sempre più individuale. La meta ultima del cristiano
consisteva nella salvezza della propria anima.
A
oltre 700 anni di distanza, in società largamente secolarizzate e nelle quali
le convinzioni sulla sorte umana dopo la morte sono le più varie (anche fra i
cristiani), il pendolo sembra spostarsi di nuovo verso forme di «viaggi
religiosi», peraltro assai diversi da quelli antichi. Ormai le indulgenze si
possono lucrare, anche nel corso degli anni giubilari, in altri luoghi
stabiliti senza compiere grandi spostamenti. I viaggi giubilari sono perciò
sempre più slegati da una dimensione propriamente spirituale.
Il
turismo nacque, tra il XVII e il XIX secolo, come una forma secolarizzata
dell’antico (e antiquato) pellegrinaggio penitenziale. Per ammirare i
capolavori dell’arte, la bellezza della natura e le antichità classiche non c’è
bisogno d’avvertire alcun senso di peccato. Al fine di raggiungere la pace
interiore, gli antichi pellegrini si sentivano peccatori e si spostavano nello
spazio. I turisti, invece, si pensano sempre innocenti, anzi si ritengono, non
a torto, benefattori dei luoghi che li ospitano.
Oggi
le linee di confine tra pellegrinaggio e turismo sono diventate sempre più
indistinguibili; entrambi sono ormai fenomeni di massa e tra essi sono
tutt’altro che infrequenti ibridazioni reciproche. Il senso del peccato
(ammesso e non concesso che ci sia ancora) non è più una causa che sollecita a
spostarsi nello spazio.
Un
discorso almeno in parte diverso va fatto per la sofferenza. La malattia è
tuttora un fattore che induce a pellegrinare. Determinati luoghi, basti pensare
a Lourdes, sono mete di moltitudini di infermi; fermo restando che oggi, a
differenza di un tempo, sofferenza e peccato vengono colti come fattori tra
loro del tutto disgiunti.
Ciò
vale tanto sul versante negativo della causa («soffri perché hai peccato»),
quanto su quello positivo dell’espiazione («offro la mia sofferenza al Signore
in espiazione dei miei peccati e di quelli altrui»).
1
M. Maimonide, Il libro dei precetti, Carucci-DAC, Roma 1980, 169.
2
Cf. E. Lora (a cura di), Bollario dell’anno santo. Documenti di indizioni dal
giubileo del 1300, EDB, Bologna 1998.
3
Cf. Benedetto XIV, enc. Apostolica constitutio, 26.6.1749, in Bollario
dell’anno santo, § 325.
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