domenica 19 dicembre 2021

LA FIDUCIA, GRANDE RISORSA

 


L’alchimia del trusting al tempo 

del Covid 19

 

- di Luigi Sanlorenzo (*)


Illustrazione di Gaver 

La fiducia è il collante che tiene unita, o in mancanza scompone tragicamente, la comunità umana sin dai primordi. Già nelle prime esperienze di convivenza sociale fu necessario vincere la diffidenza e la paura verso l’altro, spesso nemico nella disputa per le prede o per i territori di caccia, percependo la necessità di affrontare il rischio, in vista dei vantaggi che il passaggio da un’individualità selvaggia ad una dimensione aggregativa avrebbe potuto comportare.

A differenza della fede che trascende la realtà e confida in concetti astratti, non richiedendo riscontri   probanti degli assunti che proclama in quanto rivelati e non negoziabili, la fiducia è un processo molto complesso per quanti la ricercano e soggetta a tanti pericoli per coloro che devono concederla.

Esiste una fiducia biologica, basata in larga misura sulla dipendenza per il nutrimento, che fonda  il legame tra  la femmina di ogni specie animale e i propri piccoli,  sin dalla nascita. Il fenomeno a lungo studiato dall’etologo Konrad Lorenz ed esposto nell’opera nota come L’anello di Re Salomone, pubblicata nel 1949 è ricompreso nella più ampia definizione di imprinting ed è ormai scientificamente accertato e universalmente accettato. 

Come successivamente sperimentato ed approfondito dagli psicologi del comportamento e dagli antropologi, esso consiste nel seguire istintivamente e sino al raggiungimento dell’autonomia il soggetto che il nuovo nato vede per primo e che gli assicura il nutrimento, la protezione e l’interazione con l’ambiente. Non si tratta di un sentimento ma di un istinto necessario alla sopravvivenza.

Di tutt’altra natura sono la fiducia sociale e l’ancora più complessa fiducia politica in cui entrano in gioco anche elementi di piena consapevolezza. Diamo fiducia perché ci aspettiamo qualcosa di buono da qualcun altro, ma non ne siamo certi, tuttavia le cose che sappiamo, il carico cognitivo e quelle che sentiamo, il carico emotivo, sono qualcosa di più di una mera speranza; quindi, solo dopo aver fatto una sintetica ricognizione dei costi e dei benefici futuri e abbandonando le esitazioni, ci inoltriamo nel rapporto fiduciario.

Il clima di profonda insicurezza generato dalla pandemia e dagli effetti economici e sociali che esso sta comportando, è una condizione ideale per esaminare il tema, individuarne i rischi, contenerne gli effetti che, anche sul piano politico ed istituzionale, possono essere devastanti.

Oggi la fiducia è considerata la risorsa più preziosa in ogni campo a motivo del fatto che nelle società evolute la delega a qualcuno che operi a tutela degli interessi collettivi è in larga misura volontaria, discrezionale e soggetta a oscillazioni di ogni genere. Anche nelle organizzazioni più gerarchiche o autoritarie, il tasso di realizzazione dei risultati è funzione del livello di fiducia che intercorre tra il vertice e la base e viceversa, non potendo essere in alcun modo assoggettata al controllo l’intera gamma delle variabili del comportamento umano.

La sociologia suole distinguere all'interno di questo sentimento morale che permea l'ordine sociale almeno tre tipi di fiducia: la fiducia sistemica o istituzionale, ossia quella che gli attori sociali ripongono verso l'organizzazione naturale e sociale nel suo insieme,  la fiducia personale o interpersonale, quella che gli attori rivolgono agli altri attori sociali, l’ autoreferenza o fiducia in sé stessi.

 

La fiducia sistemica è stata analizzata dai fondatori della sociologia Max Weber ed Emile Durkheim anche se non in maniera nitida come dai successivi scienziati sociali.  Come nota Antonio Mutti nell’opera Capitale sociale e sviluppo - La fiducia come risorsa, Il Mulino, Bologna, 1997 «Si tratta (...) di una presenza confusa con quella di legittimità, consenso, cooperazione, solidarietà. 

Il concetto di fiducia interseca indubbiamente tutte queste dimensioni, ma non si confonde con esse; ha diritto, perciò, a uno statuto specifico, come ben traspare dalle brevi ma dense note di Georg Simmel, l'unico grande classico del pensiero sociale che ha trattato la fiducia come categoria specifica d'analisi».

E ancor prima dei padri fondatori della sociologia, l'idea che i soggetti stipulino un contratto sociale tra di loro era a fondamento delle teorie contrattualistiche del giusnauralismo.

La fiducia interpersonale, sempre secondo Antonio Mutti, viene, allora, prioritariamente definita come «l'aspettativa che Alter non manipolerà la comunicazione o, più specificamente, che fornirà una rappresentazione autentica, non parziale né mendace, del proprio comportamento di ruolo e della propria identità. L'aspettativa di Ego concerne cioè la sincerità e credibilità di Alter, intese come trasparenza e astensione dalla menzogna, dalla frode e dall'inganno».

L’ autostima o fiducia in  se stessi, infine, deriva da elementi cognitivi ovvero dal bagaglio di conoscenze di una persona, la conoscenza di sé e di situazioni che vengono vissute dal soggetto; elementi affettivi che vanno ad influenzare la nostra sensibilità nel provare e ricevere sentimenti, che possono essere stabili, chiari e liberanti; elementi sociali che condizionano l'appartenenza a qualche gruppo e la possibilità di avere un'influenza sul medesimo e di ricevere approvazione o meno dai componenti.

Si tratta di concetti abbastanza noti, se non addirittura basici nella formazione universitaria e manageriale, rispetto ai quali tuttavia, lo sviluppo degli studi compiuti dalle neuroscienze sta aprendo nuovi e più interessanti orizzonti che il mondo della comunicazione segue con grande attenzione, pur nell’eterogenesi dei fini che sconfina nella disinformazione attraverso i social e nell’ormai dilagante fenomeno della produzione di fake news.

Nel saggio Not so different after all: across-discipline view of trust, pubblicato in Academy of management Review, Vol. 23, 1998, gli accademici  Denise M. Rousseau (Carnegie Mellon) Sim Sitkin (Duke) Ronald S. Burt (Chicago)  e Colin Farrell Camerer (Pasadena)  descrivono  le differenti forme di fiducia secondo quattro tipologie.

La fiducia basata sul deterrente (Deterrence-based trust): un agente crede che l’altro si comporterà in maniera affidabile perché le sanzioni che riceverebbe nel caso in cui tradisse la fiducia sono più costose di eventuali benefici opportunistici. La questione che rimane aperta riguardo a questo tipo di fiducia è il rapporto con il controllo:alcuni sostengono infatti che la fiducia basata sul deterrente non possa chiamarsi propriamente fiducia, anche se favorisce la cooperazione. Altri fattori, ad esempio, la coercizione, possono infatti incentivare un comportamento cooperativo, ma spesso più che forme di fiducia sono forme di controllo. In realtà, il rapporto tra fiducia e controllo è molto complesso.

La fiducia basata sul calcolo (calculus-based trust): si fonda su una scelta razionale, tipica degli scambi economici. Il trustor ha la percezione che il trustee intenda compiere un’azione vantaggiosa per lui.

 Questa percezione deriva sia dalla fiducia basata sul deterrente, ma anche e soprattutto dalle informazioni sulle intenzioni e sulla competenza dell’altro, ottenute tramite reputazione, ossia fidandosi dei racconti di altri sul trustee o tramite certificazione. Pare che all’interno di questo tipo di fiducia, gli autori non contemplino l’esperienza diretta, tipica invece della terza forma. 

Le parti si fidano, ma dietro verifica. Il concetto di verifica non è purtroppo approfondito: da un lato, è sicuramente precedente alla decisione di fidarsi, nel senso che per fidarsi sono necessarie alcune condizioni:informazioni sull’affidabilità del trustee dall’altro, potrebbe anche essere con verifica “postdecisione” ossia controllo dell’operato del trustee una volta che il compito gli sia già stato affidato.

La fiducia relazionale (relational trust): deriva dalle interazioni ripetute. La reputazione è costruita dall’esperienza diretta. Non solo, secondo gli autori in questo caso interviene anche l’emozione, poiché le interazioni frequenti e a lungo termine formano un attaccamento basato sulla preoccupazione e la cura interpersonale. Essa può anche superare eventuali violazioni, a differenza della fiducia basata sul calcolo, che ne sarebbe invece penalizzata fino all’interruzione di ogni relazione. La forma più elevata di questa fiducia, che loro chiamano “affettiva”, è la fiducia basata sull’identità, definizione mutuata dal prestigioso studio di consulenza manageriale statunitense Cameron MacAllister Group, di Orinda, California.

La fiducia basata sull’istituzione (institution-based trust) è la fiducia basata sull’esistenza di sistemi legali per proteggere dall’assunzione di rischio insita nella decisione fiduciaria. Così come per la deterrence-based trust, il problema sollevato è: si tratta di una forma di fiducia o di una forma di controllo? Per tutti coloro che hanno studiato il tema,  resta comunque impregiudicato il concetto che la fiducia poggi su tre dimensioni declinabili e integrabili con pari intensità: il comportamento (behaviour ) la competenza (competence)  la  benevolenza in senso lato  (goodwill) testimoniate concretamente  dal profilo di  coloro che aspirano ad ottenerla. Un’ utile e sintetica metodologia ad excludendum, secondo l'espressione coniata negli anni settanta dal giurista e politico Leopoldo Elia,   da tenere a mente quando sarà il momento di scegliere da chi e come si vuole essere governati, ma valida frattanto per valutare chi già oggi esercita il potere, sia esso legislativo, esecutivo o giudiziario.

 

Nella prima fase dell’epidemia da Sars Covid 19 in Italia la fiducia è stata massiccia perché richiesta nella forma più semplice e meno discrezionale: il divieto totale della circolazione sociale, corredato da un impianto sanzionatorio fortemente centralizzato e da controlli severi. Un ruolo determinante è stato giocato dai media che hanno veicolato le immagini drammatiche relative ai decessi ed al livello di massima abnegazione del personale sanitario.  

Tutto sommato, quel livello di fiducia, pur se costantemente insidiato,  permane ancora nella società italiana, nonostante la residua presenza di irriducibili apostoli del negazionismo del virus e dell’efficacia dei vaccini. Una protesta sterile che, dietro il falso schermo del rifiuto del vaccino e del green pass con motivazioni “lunari” coinvolge un buon 5% dell’elettorato italiano che fa gola a tutti i partiti in competizione per i prossimi, fatali, appuntamenti elettorali.

Alcuni di essi hanno finora cavalcato questa “tigre” ponendosi cinicamente a metà strada tra la responsabilità sociale e l’interesse di parte che tornerà a scatenarsi dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Un ruolo ambiguo che non può più essere tollerato.  

La situazione attuale vede, intanto,  una parte significativa del corpo sociale, sovente proprio la più debole,  non aver più fiducia nella Scienza, nella Cultura  e nelle Istituzioni anche a motivo, forse,  dell’eccessivo protagonismo televisivo di esponenti, talvolta anche qualificati,  dell’una e delle altre. Se tale sfiducia dovesse prevalere andando in soccorso delle forze sovraniste, non sarebbero a rischio la razionalità collettiva e l’irrinunciabile capacità di giudizio ma, anche, l’inevitabile ricaduta del Paese nei momenti più bui della propria storia, dando un colpo mortale e quella nuova immagine che l’Italia sta costruendo nell’Europa del dopo Merkel e che si proietterà nei prossimi venti anni.

Non va dimenticato, infatti, che i Paesi “frugali” (si veda il mio articolo https://www.linkiesta.it/2020/07/conte-recovery-fund-olanda-stati-frugali/ ) che con crescente diffidenza hanno guardato negli anni l’Italia spendacciona e inaffidabile, la “aspettano al varco” e dispongono ancora di un consistente, seppur meno diretto,  potere di interdizione sulla concessione di quegli aiuti che, attraverso gli scostamenti di bilancio, in realtà l’Italia sta già spendendo, pur non avendo ancora realizzato le riforme strutturali e durature poste a condizione dell’erogazione delle diverse tranche del Recovery Plan.

L’ombra del “cigno nero” vaticinato e forse auspicato da economisti come Claudio Bagnai, Alberto Borghi e l’ineffabile Antonio Maria Rinaldi, sotto l’egida del ben più illustre professor Paolo Savona e la sotterranea, ma non troppo, permanenza della Dottrina antieuropea di Grillo che, nonostante gli ammiccamenti ambigui a Strasburgo,  non  è mai mutata,  diventerebbe sempre più incombente.  

Detto in parole inequivocabili, prenderebbe consistenza il disegno non di abbandonare l’Unione, cui larga parte degli italiani crede ancora e che non accetterebbe, ma di farsene cacciare per inadempienza, recitando poi - in una tragica riedizione del coro giallo/ verde/ nero nuovamente riunito a cantare una messa da requiem -  il ruolo di vittime incolpevoli.

In acque tanto agitate, certa Sinistra estrema di vecchio e nuovo conio, nostalgica, stancamente ideologica o distopica - anch’essa populista a suo modo - anziché utilizzare il proprio ruolo determinante per la tenuta del Governo e l’accelerazione del processo di transizione, preferisce recitare il ruolo del Naucrates Ductor, pesce più noto come remora, che accompagna in modo simbiotico ogni cetaceo che si rispetti.  Esso nuota nella bocca dell’animale vivo per nutrirsi dei residui di cibo rimasti tra i denti, dei parassiti che lo infestano e anche degli escrementi, sentendosi per ciò stesso utile ed indispensabile, ma, se dovesse ostacolarne i movimenti vitali, ne decreterebbe invece la morte, diventandone così il saprofita.

Si vigili, dunque, su coloro che si pensa di controllare istituzionalizzandoli, ricordando ciò che Woody Allen, con irraggiungibile ironia ebraica, ha affermato: “Il leone e il vitello giaceranno insieme. Ma il vitello non dormirà molto.”

(*) Giornalista e saggista. Presidente Associazione PRUA

http://www.luigisanlorenzo.it/

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