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sabato 29 giugno 2019

CHI METTE MANO ALL'ARATRO ....

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (30/06/2019)

Vangelo: Lc 9,51-62 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )
 
Visualizza Lc 9,51-62

Commento di p. Ermes Ronchi
È la svolta decisiva del Vangelo di Luca. Il volto trasfigurato sul Tabor, il volto bello diventa il volto forte di Gesù, in cammino verso Gerusalemme. «E indurì il suo volto» è scritto letteralmente, lo rese forte, deciso, risoluto.
Con il volto bello del Tabor termina la catechesi dell'ascolto: “ascoltate Lui” aveva detto la voce dalla nube, con il volto in cammino inizia la catechesi della sequela: “tu, seguimi”.
E per dieci capitoli Luca racconterà il grande viaggio di Gesù verso la Croce. Il primo tratto del volto in cammino lo delinea dietro la storia di un villaggio di Samaria che rifiuta di accoglierlo. Allora Giacomo e Giovanni, i migliori, i più vicini, scelti a vedere il volto bello del Tabor: «Vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li bruci tutti?» C'è qui in gioco qualcosa di molto importante. Gesù spalanca le menti dei suoi amici: mostra che non ha nulla da spartire con chi invoca fuoco e fiamme sugli altri, fossero pure eretici o nemici, che Dio non si vendica mai.
È l'icona della libertà, difende perfino quella di chi non la pensa come lui. Difende quel villaggio per difenderci tutti. Per lui l'uomo viene prima della sua fede, l'uomo conta più delle sue idee. È l'uomo, e guai se ci fosse un aggettivo: samaritano o giudeo, giusto o ingiusto; il suo obiettivo è l'uomo, ogni uomo (Turoldo).
«Andiamo in un altro villaggio!». Ha il mondo davanti, Lui pellegrino senza frontiere, un mondo di incontri; alla svolta di ogni sentiero di Samaria c'è sempre una creatura da ascoltare, una casa cui augurare pace; ancora un cieco da guarire, un altro peccatore da perdonare, un cuore da fasciare, un povero cui annunciare che è il principe del Regno di Dio. Il volto in cammino fa trasparire la sua fiducia totale, indomabile nella creatura umana; se non qui, appena oltre, un cuore è pronto per il sogno di Dio.
Nella seconda parte del vangelo entrano in scena tre personaggi che ci rappresentano tutti. Le volpi hanno tane, gli uccelli nidi, ma io non ho dove posare il capo. Eppure non era esattamente così. Gesù aveva cento case di amici e amiche felici di accoglierlo a condividere pane e sogni. Con la metafora delle volpi e degli uccelli traccia il ritratto della sua esistenza minacciata dall'istituzione, esposta. Chi vuole vivere tranquillo e in pace nel suo nido non potrà essere suo discepolo.
Chi ha messo mano all'aratro... Un aratore è ciascun discepolo, chiamato a dissodare una minima porzione di terra, a non guardare sempre a se stesso ma ai grandi campi del mondo. Traccia un solco e nient'altro, forse perfino poco profondo, forse poco diritto, ma sa che poi passerà il Signore a seminare di vita i campi della vita.

PIETRO E PAOLO: UNA DIVERSITA' CHE SI FA DONO E RICCHEZZA PER CIASCUNO E PER LA COMUNITA'

Papa Francesco: " ...... La mia Chiesa. Non lo diciamo con un senso di appartenenza esclusivo, ma con un amore inclusivo. Non per differenziarci dagli altri, ma per imparare la bellezza di stare con gli altri, perché Gesù ci vuole uniti e aperti. La Chiesa, infatti, non è “mia” perché risponde al mio io, alle mie voglie, ma perché io vi riversi il mio affetto. 
È mia perché me ne prenda cura, perché, come gli Apostoli nell’icona, anch’io la sorregga. Come? Con l’amore fraterno. Col nostro amore fraterno possiamo dire: la mia Chiesa.

In un’icona i Santi Pietro e Paolo sono ritratti mentre si stringono a vicenda in un abbraccio. Fra loro erano molto diversi: un pescatore e un fariseo con esperienze di vita, caratteri, modi di fare e sensibilità alquanto differenti. Non mancarono tra loro opinioni contrastanti e dibattiti franchi (cfr Gal 2,11 ss.). 
Ma quello che li univa era infinitamente più grande: Gesù era il Signore di entrambi, insieme dicevano “mio Signore” a Colui che dice “mia Chiesa”. Fratelli nella fede, ci invitano a riscoprire la gioia di essere fratelli e sorelle nella Chiesa. In questa festa, che unisce due Apostoli tanto diversi, sarebbe bello che anche ognuno di noi dica: “Grazie, Signore, per quella persona diversa da me: è un dono per la mia Chiesa”. 
Siamo diversi ma questo ci arricchisce, è la fratellanza. Fa bene apprezzare le qualità altrui, riconoscere i doni degli altri senza malignità e senza invidie. 
L’invidia! L’invidia provoca amarezza dentro, è aceto sul cuore. Gli invidiosi hanno uno sguardo amaro. Tante volte, quando uno trova un invidioso, viene voglia di domandare: ma con che ha fatto colazione oggi, col caffelatte o con l’aceto? Perché l’invidia è amara. Rende amara la vita. 
Quant’è bello invece sapere che ci apparteniamo a vicenda, perché condividiamo la stessa fede, lo stesso amore, la stessa speranza, lo stesso Signore. 
Ci apparteniamo gli uni gli altri e questo è splendido, dire: la nostra Chiesa! Fratellanza..... "



UN SORRISO PER SALVARE IL MONDO ... e se stessi !

«Essere felici è una scelta, ma nessuno può esserlo da solo, se non puo dire grazie a qualcuno o se non può donarsi gratuitamente a qualcuno 
La vita felice è svegliarsi con una missione da compiere. 
È vivere ogni giorno non come se fosse l’ultimo ma come se fosse il primo di una vita spalancata sull’eternità»

 di ANTONIO GIULIANO

il cruccio dell’uomo da sempre: la ricerca della felicità. Non a caso si sono arrovellati tutti i grandi pensatori dell’antichità, da Aristotele a Seneca, da Agostino a Tommaso d’Aquino. Ma è una questione che tiene banco anche oggi. Basta guardare solo ai tanti (decisamente troppi) volumi che invadono le librerie promettendo un benessere fai da te, vago ed effimero, in cui spesso la felicità fa rima con banalità. Di taglio nettamente diverso sono due saggi, Ti penso positivo. #lafelicità è una scelta (Paoline, pagine 320, euro 16) e l’ultimo, Un sorriso prima di tutto. 101 idee per illuminare la nostra vita (San Paolo, pagine 144, euro 14) scritti da Mimmo Armiento, appassionato psicologo e psicoterapeuta. Sono testi che, pur dietro un’apparente leggerezza, nascondono un lavoro di recupero della grande tradizione della Chiesa in merito all’introspezione dell’animo umano. Esponente della psicologia positiva in Italia, Armiento è anche tra i promotori del Laboratorio di psicologia cristiana che si tiene ogni anno ad Assisi.
Eppure lei si rivolge soprattutto a chi non crede.
Avere Dio come riferimento è necessario per la nostra felicità. Ed è una felicità a cui anche il non credente può aspirare, riconoscendo che Dio è in ogni cosa che reputa vera e buona. La nostra ragione se non viene offuscata da pregiudizi porta al Creatore. Già restare incantati davanti a ciò che esiste significa affermare Dio. È un’esperienza che facciamo sin da bambini.
In che senso?
A cinque-sei anni capisci che non sei al mondo come un pezzo del corpo di tua madre o di tuo padre. Quando dici “io” ti accorgi che questo io precede quello dei tuoi genitori. E puoi avere l’intuizione che se esisti è perché qualcuno ti ha voluto, percepisci la tua esistenza come dono e non come casualità.
È un orizzonte negato anche dalla sua disciplina, tant’è che lei sostiene come sia sempre più necessario passare da una psicologia positivista a una positiva.
La psicologia positivista ha ridotto l’uomo a organismo animale, evolutosi per caso e necessità. Mentre la psicologia positiva, fondata venti anni fa negli Stati Uniti da Martin Seligman, non esclude in modo aprioristico la dimensione morale e spirituale. Prevale una visione della felicità così come era definita dai Greci: eudaimonia, cioè seguire il proprio “angelo” buono, la propria voce buona dentro la coscienza. E quando parliamo di coscienza non intendiamo solo la coscienza che abbiamo degli altri, ma anche la coscienza di un Altro da cui proveniamo.
Che cosa rende felici le persone secondo la psicologia positiva?
Il giudizio di felicità sulla propria vita non viene solo da fattori edonistici come per esempio quanto è stata piacevole la giornata, ma anche se ha avuto senso, se ho fatto qualcosa di buono o se ho fatto il mio dovere. L’eudaimonia è una bene-dizione che sento dentro. Se io sono gentile con qualcuno e quella persona mi ringrazia io interiorizzo la sua bene-dizione, mi sento contento. Se ho fatto il mio dovere, ho lavorato tanto e torno a casa, mi sento dentro una benedizione perché è come se avessi rispettato quell’indicazione di bene che avvertivo nella coscienza.
È un discorso che tira in ballo le virtù.
Certo, la virtù rende felici. Non a caso Socrate diceva che è più felice chi subisce un’ingiustizia rispetto a chi la fa, perché chi la subisce non perde una benedizio-È ne interiore mentre chi la fa ha la disapprovazione della propria coscienza. E questo è coerente con la preghiera perché quando entri in contatto con l’assoluto ti senti benedetto dentro. La preghiera ci rende felici proprio perché interiorizziamo una benedizione.
Sembra tutto facile. Eppure non basta un clic per essere felici.
Infatti la felicità è qualcosa di semplice ma non facile. È una scelta, spesso coraggiosa. A volte eroica, come la felicità di chi fa il proprio dovere magari entrando nelle fiamme per salvare qualcuno. O semplicemente scegliendo, non sempre di cambiare lavoro, ma sicuramente di cambiare il modo in cui lo si vive. Accorgendoti del bene che fai intorno a te facendo col cuore il tuo lavoro.
Dal time-out per evitare che una discussione degeneri alla serata cinema in famiglia: il suo libro è una dispensa di semplici suggerimenti per essere felici. Ma si intuisce che uno dei segreti per vivere con gioia è essere grati per ciò che siamo.
Le ricerche di Robert Emmons confermano che le persone con un atteggiamento di gratitudine sono anche quelle che si dichiarano più felici. Gratitudine non solo verso gli altri o verso sé stessi, ma anche nei confronti degli eventi della vita. Ma essere grati presuppone Qualcuno verso cui essere riconoscente.
All’origine di tutto per lei c’è un sorriso.
Nasciamo tutti da un sorriso. Quello con cui mamma e papà si sono incontrati. Se siamo qui ora è perché un uomo e una donna, si sono sorrisi e ci hanno sorriso! E quanto più è stato autentico il loro sorriso, tanto più è luminoso il sorriso che ci portiamo dentro. Felice è l’uomo che intuisce di non essere più solo figlio del sorriso dei suoi genitori, ma anche del sorriso più bello, quello di Dio.
Nei suoi libri felicità è sinonimo di nuzialità. Con sua moglie ha fondato un’associazione, Ingannevole come l’amore, con cui gira l’Italia per testimoniare la bellezza del matrimonio.
Nessuno è felice se non può dire grazie a qualcuno o se non può donarsi gratuitamente a qualcuno. Nessuno può essere felice da solo. Anche se vinco al Superenalotto non sarei davvero contento se non avessi qualcuno con cui condividere questa gioia. La felicità poi è sempre un incontro nuziale. Con mia moglie e altre coppie di sposi da otto anni portiamo avanti degli incontri formazione per single o sposati. Un’iniziativa che solo grazie al passaparola ci ha permesso di incontrare migliaia di persone. Vogliamo solo condividere una bellezza che spesso non si vede: la felicità in famiglia. Oggi “amore” è la parola più ingannevole. In questa cultura relativista presumiamo già di sapere cosa sia. Ma l’amore ha le sue leggi. Se le rispetti diventa gioia, altrimenti hai chiamato amore qualche altra cosa, una trasgressione o una dipendenza. Nell’amore di un uomo e una donna c’è il senso vero dell’amore: passione, appartenenza, scelta dell’altro nella sua insostituibilità, rispetto della sua unicità.
Uno dei cardini della sua psicologia è «vivere la vita come una missione».
Nessuno cammina perché ha le gambe e nessuno mangia semplicemente perché ha fame, ma se ha una ragione per camminare e per mangiare. La psicologia positiva ci conferma che è felice chi trascende se stesso verso qualcosa più grande di lui, chi riconosce nella propria vita un senso, una mission da compiere, un donarsi a un bene più grande anche nel realizzare i propri talenti.
Perché la felicità di cui parla è qualcosa che non finirà?
Perfino Nietzsche ha ammesso che un piacere per essere gustato ha bisogno d’eternità. Come possiamo godere davvero di un bene se abbiamo paura che ci sfugga tra le mani come il tempo? Per gustare davvero un attimo di bene abbiamo bisogno di sapere che il Bene è eterno. La vita felice è sentirsi svegliati da una mission da compiere. È vivere questo giorno, il mio giorno, non come se fosse l’ultimo ma come se fosse il primo di una vita spalancata sull’eternità.
«Essere felici è una scelta, ma nessuno può esserlo da solo, se non puo dire grazie a qualcuno o se non può donarsi gratuitamente a qualcuno La vita felice è svegliarsi con una missione da compiere. È vivere ogni giorno non come se fosse l’ultimo ma come se fosse il primo di una vita spalancata sull’eternità»





giovedì 27 giugno 2019

PRENDERSI CURA DI SE' PER FARE FIORIRE LA VITA

I saggi di Luigina Mortari e degli autori giapponesi Kishimi e Koga aprono lo sguardo sulla necessità di alimentare l’interiorità

 di LISA GINZBURG

«La condizione umana è dedicarsi a qualcosa di essenziale che sempre manca: la cura di sé», scrive Luigina Mortari (Aver cura di sé; Cortina, pagine 192, euro 17). Prendersi cura di quel che “fa fiorire” la vita, medicare così «le ferite che accadono nel tempo», perché è prestando cura a noi stessi che più omaggiamo il nostro stare al mondo, gli diamo un senso. Infonde benessere la lettura del saggio di Mortari: una ricognizione, la sua, che di per se stessa cura.
Sul filo di percorsi filosofici diversi ma tutti incentrati sul tema della cura di sé, è libro fruibile anche per chi di filosofia sia digiuno, e in virtù di questa capacità divulgativa, benefico. Merito di Foucault avere riacceso interesse per il prendersi cura, ma c’è il socratismo, alla base. Quei dialoghi di Platone ( Apologia di Socrate, Cratilo, Fedone, Alcibiade) nei quali Socrate offre una definizione di cura di sé molto vicina non solo a quella di amor proprio, anche di amore altruista. Maieutica e pedagogia socratica convergono: educare è orientare l’altro conducendolo a miglior cura di se stesso. Per farsi del bene, occorre liberarsi dell’inessenziale. Individuare quel che non è necessario all’anima, avere il coraggio di lasciarlo andare. Sgombrare, fare spazio. In caccia e in cerca di nozioni e stimoli vitali non mediocri: cose che animano e fanno sentire vivi. Lì dove si avverte consistenza, spessore, vero stimolo, lì e non altrove sostare con il pensiero. Perfar questo, conoscersi a fondo.
Prendere le misure della propria persona e personalità. Scavalcando secoli e sterzando in direzione di tutt’altre prospettive teoretiche, il socratismo si interseca con la fenomenologia.
Quel che più alimenta la vita dell’anima, e la cura e la guarisce, è «una conoscenza riflessiva della nostra interiorità»: così Heidegger in Essere e tempo. Procedere interi, centrati, «con un’anima completamente impiantata su se stessa», nelle parole di Edith Stein.
Affinare la vita interiore sino a renderla bussola, antenna per orientarsi, agire.
Evitare così ogni distruttività. L’intuito si fa conoscenza, e forte delle verità comprese realizza quell’«uso pragmatico dell’introspezione» predicato da Pierre Hadot nei suoi studi sugli esercizi spirituali. Cura di sé come massima attenzione. Vigilanza ininterrotta: pensare i pensieri, pensare il proprio sentire. Evitare il maleficio delle illusioni,
quegli scompensi che provoca «il lavoro sradicante dell’immaginazione».
Togliere, scartare il dannoso. Prender tempo, per riconquistarlo. Cessata la stanchezza della dispersione, tornare alle acque sorgive della propria intima, individuale energia. Nella fretta, rallentare. Re-incontrare il silenzio.
Avere la forza di abitare il vuoto. Sopportare mancanza di conferme del mondo, acquietare ogni ansia di venire riconosciuti e legittimati dagli sguardi altrui. Nel frattempo, fare del proprio uscire di scena una “politica del quotidiano”. Questo è cura. Quanto ai rapporti umani, la buona qualità del tessuto delle nostre relazioni che Socrate nell’Apologia raccomanda, forma anche quella di cura, talvolta operare un taglio con le aspettative del mondo è la migliore medicina. In Giappone ha venduto quattro milioni di copie un libro scritto a due mani da Ichiro Kishimi e Fumitake Koga, filosofo divulgatore di pensiero psicoanalitico il primo, autore di manuali di business il secondo. Si intitola Il coraggio di non piacere (De Agostini, pagine 284, euro 16,90): costruito in forma di dialogo tra un maestro e un giovane discepolo, propone una visione a-storica del trauma, sposando le istanze del pensiero di Adolf Adler in opposizione alla teoria della nevrosi di Freud, “eziologica” perché tutta vincolata al tempo. Nell’universo giapponese dominato dal trauma di Hiroshima, non sorprende il successo di un pensiero che nega le tracce mnestiche ancorandosi a un’idea di cura di sé tutta imperniata sul momento presente.
Liberarsi dei ricordi e non solo: anche del peso di nodi gordiani dati da relazioni complesse.
Farlo rispettando se stessi, i propri limiti.
Delegare, saper dirsi: «Ho fatto quanto dovevo, da qui in poi non è più compito mio». Per poter camminare sulle proprie gambe, tale divisione di compiti è esiziale, il maestro dice allo sconcertato discepolo. Fluidificare l’osmosi con il mondo esterno lasciando ad esso spazio di agire, non solo reagire ai nostri gesti. Smettere di ossessionarsi con le pretese che la realtà avanza su di noi, di cercare approvazione. Semplicemente essere, quel che davvero si sente di volere. Questo anche è autonomia. Libertà. Cura di se stessi.





martedì 25 giugno 2019

LE TELECAMERE PER I BAMBINI DEL NIDO E DELLA SCUOLA DELL’INFANZIA

                                                                                                                                   di Rino La Placa

E’ stata approvata nei giorni scorsi la legge di conversione del decreto “sbloccacantieri”.
In essa è contenuta una norma che si riferisce ai “sistemi di videosorveglianza a tutela dei minori e degli anziani”; tale norma prevede l’istituzione di un fondo, nella rubrica del Ministero dell’Interno, con una dotazione di 5 milioni di euro per l’anno 2019 e 15 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2024 “al fine di assicurare la più ampia tutela a favore dei minori nei servizi educativi per l’infanzia e nelle scuole dell’infanzia statali e paritarie”.
Dunque, telecamere negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia.
La notizia mi genera dubbi e mi turba. Non sono contrario, ma non ho la forza di una condivisione sincera e professionalmente convinta.
Anch’io sono stato colpito dai tanti casi venuti in evidenza in quest’ultimo periodo e raccontati nella loro ripugnante essenzialità, dai quali si apprende della pratica di metodi educativi coercitivi e di azioni violente e irresponsabili verso alunni anche di tenera età. Sono gesti, atteggiamenti, azioni e metodi che non hanno nulla di educativo e che devono essere censurati e condannati.
Questa triste realtà, che spero sia assai minoritaria e marginale nella complessa vita del sistema scolastico nazionale, può spingere governo e parlamento a ritenere che un rimedio  ̶  per difendere i piccoli alunni da una presunta generalità di docenti con scarsa professionalità, senza cuore e senza passione educativa – possa essere l’istallazione di telecamere in ogni asilo-nido e in ogni scuola dell’infanzia?
Continuo a riflettere su questa norma. Forse non è il rimedio migliore alla variegata negativa casistica cui si può fare riferimento. La scuola è e dovrebbe sempre più essere luogo di fiducia reciproca fra famiglie e docenti, deve essere sede in cui si realizza una positiva complicità fra i due fondamentali agenti educativi. La crisi della famiglia moderna, con riguardo ai doveri genitoriali, è già un problema in sé ed anche per la scuola giacché, per la famiglia, spesso parlano diversi soggetti in competizione e in contrasto tra loro.
Tutelare i minori a scuola dall’azione dei docenti per i danni e i soprusi  che da questi possono subire è un’affermazione che rivela pericolosi pregiudizi, che non possono stare alla base di una concezione scolastica, che mira allo sviluppo della persona.
I romantici direbbero che le telecamere a scuola offendono l’intimità dell’azione educativa. Non sono un romantico, ma gli eccessi educativi da condannare (l’uso delle mani, le punizioni corporee, le grida che intimoriscono e creano disturbi della personalità, etc.) vanno evitati e ridotti con una migliore formazione professionale dei docenti, con un aggiornamento serio e partecipato, con l’ausilio di altre figure professionali ( psicologi, sociologi, terapisti per riabilitazioni, docenti di sostegno etc.).
I docenti che hanno una immatura concezione custodialistica e con facilità determinano situazioni di particolare gravità e offese nei confronti dei piccoli loro affidati non possono essere giustificati, ma le telecamere contro di loro e contro simili docenti non sono un omaggio né un complimento alla stragrande maggioranza di docenti seri e preparati.
Resto perplesso e ho difficoltà a gioire per la legge ‘sbloccacantieri’ che metterà le telecamere negli asili nido e nella scuola dell’infanzia (0-5 anni) affinchè i docenti …. non facciano del male ai piccoli frequentanti.

                                                                                                                                        Rino La Placa




sabato 22 giugno 2019

GESU', ENERGIA DELLA VITA











Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C) (23/06/2019)


 Visualizza Lc 9,11-17

Commento di don Domenico Bruno  


Gesù parla e chi lo ascolta non avverte altro bisogno che stare con Lui.
Nel Vangelo è Gesù ad avere premura che i suoi ascoltatori si rifocillino. Gesù non vuole che si viva in modo disincarnato e non ci si curi del proprio corpo, del cibo per la sussistenza.
Molta gente invece crede di fare cosa buona e gradita a Dio mortificando il cibo per pregare soltanto. Ma Dio lo sa: “a stomaco pieno si prega meglio” (potremmo dire!).
Il Signore ci insegna anche che la sua Parola deve incontrare l'umanità: senza pane terreno, non possiamo arrivare al Pane del cielo. Senza sperimentare la nostra umanità, non possiamo conoscere a quale santità siamo chiamati.
Gesù si è fatto pane, si è incarnato, e sperimentando la carne umana ha potuto aiutare e consigliare opportunamente chi lo seguiva.
E come Gesù si è donato attraverso il suo corpo, chiede anche a noi di donarci: nel Vangelo quando i discepoli non sanno come sfamare la folla, Gesù dice “voi stessi date loro da mangiare”.
È una frase in Voi stessi è sia soggetto che oggetto: Gesù vuole che noi ci doniamo affinché altri possano nutrirsi di noi (uomini di Parola), ma dice anche che dobbiamo essere noi stessi a impegnarci perché altri possano mangiare.
Ultimo aspetto: Gesù dice: “Fateli sedere a gruppi di cinquanta”. Sta invitando all'ordine, perché senza ordine esteriore non ci potrà essere un ordine del cuore e viceversa.
Quanta gente sola e povera vive abbandonata a se stessa: la nostra missione è aiutare gli altri a trovare il senso della propria vita.
Quante persone vivono disordini personali e di ogni tipo: il nostro compito è aiutarle a rimettere ordine e dare priorità alle cose che contano davvero!
Gesù è l'energia della nostra vita, senza eucarestia, senza pane del Signore, la vita muore.
- Di quale pane sto nutrendo la mia vita in questo tempo?
- In che cosa devo mettere ordine nella mia vita?
- Questa settimana farò visita a qualcuno che è solo o demotivato...
- ……






venerdì 21 giugno 2019

PAPA FRANCESCO: NO AL BULLISMO - SEGUI LA CONFERENZA INTERNAZIONALE VIA STREAMING


Dichiarate guerra al bullismo.Giocate per il dialogo.Giocate per camminare insieme.Giocate la pazienza di ascoltare l'altro.E poi sarà una pace forte e quella stessa pace forte li farà scoprire la propria dignità.
Papa Francesco

MEDIA ALERT


#StopCyberbullyingDay | 24h Scholas Talks: Maratona online su bullismo e cyberbullismo
Il Papa ha appena convocato i giovani per dichiarare guerra al bullismo    
Pochi minuti dopo aver iniziato la prima maratona online contro bullismo e cyberbullismo, organizzata da Wezum, l’osservatorio giovani internazionale di Scholas, Papa Francesco ha chiesto ai giovani di "dichiarare guerra al bullismo". Nel corso di queste 24 ore, ci saranno nuove riflessioni su questo problema che causa molte vittime.
Per partecipare a questa maratona online e mettere da parte l'indifferenza, vai su: www.scholasoccurrentes.org/wezum
    

CAPACI DI AUTOREGOLARCI PER MANTENERE UN ADEGUATO EQUILIBRIO EMOZIONALE

Meno auto-centrati per emozioni regolate

Un po’ di sana autocritica è dunque davvero necessaria; possiamo ancora imparare che la cifra della vita umana non può mai essere il numero uno: abbiamo tutti bisogno, per essere felici, del due della relazione e del tre dell’apertura alla vita e al mondo.

di Mariolina Cerotti Migliarese

Nella persona adulta esiste (o almeno dovrebbe esistere) un meccanismo molto prezioso e del quale non abbiamo sufficiente consapevolezza; parlo della capacità di auto-regolazione: quella competenza umana preziosa che ci permette di mantenere un adeguato equilibrio emozionale, di non reagire agli stimoli in maniera sproporzionata e di ritrovare uno stato di calma dopo ogni stato di alterazione o di disequilibrio. È una risorsa che ci permette anche di metterci in relazione con gli altri in modo equilibrato, ad esempio regolando i nostri inevitabili momenti di malumore in modo da risparmiare loro le sue sgradevoli conseguenze. Non si tratta una competenza innata: dalla nascita e per tutta l’infanzia le emozioni infatti vengono prevalentemente 'vissute', senza che ci sia nel bambino la vera capacità di dar loro un nome, di motivarle e di governarle; il bambino prova sentimenti forti e agisce di conseguenza, spesso mutuando il suo stile da quello dell’ambiente in cui vive. Oggi non è infrequente vedere bambini rabbiosi e in balia della propria rabbia, con genitori che si sentono impotenti, spaventati e incerti sul da farsi. Si tratta spesso di bambini intelligenti e molto amati, abituati a contrattare tutto con gli adulti, con i quali si pongono su un livello di parità; sono abituati a pensare che il loro punto di vista e il loro parere abbiano lo stesso valore di quello di mamma e papà, perché in ogni decisione viene chiesto il loro accordo e i genitori accettano estenuanti discussioni pur di evitare ciò che non gradiscono o può scontentarli.
Ma il bambino rabbioso e fuori controllo è soprattutto un bambino spaventato: l’intensità delle sue emozioni lo travolge e non riesce a controllarsi; proprio per questo avrebbe bisogno di sentire che gli adulti sono in grado di contenerlo senza avere paura di lui, che si sentono autorizzati a intervenire, e che sono in grado di impedirgli con fermezza di distruggere o danneggiare persone e cose. Distruggere, vincere sull’adulto o mancargli di rispetto sono cose che fanno sentire i bambini insieme onnipotenti e soli, in balia di se stessi e cattivi, e contrasta il loro naturale senso di giustizia.
Il bambino ha dunque bisogno dell’accompagnamento paziente e intelligente dell’adulto, capace di prendersi la responsabilità di fissare i confini di ciò che è permesso, di reggere i no necessari, e di non spaventarsi per l’intensità delle sue emozioni; spesso sarà sufficiente un intervento fermo e deciso, che evita lunghe e inutili esortazioni e irritanti richiami alla ragionevolezza. Il ripetersi costante dell’esperienza di 'venire regolati' con fermezza e affetto è ciò che permette di conquistare poco alla volta un’auto-regolazione equilibrata e flessibile, che sfugga da un lato all’impulsività e dall’altro ad un autocontrollo rigido, che soffoca le emozioni impedendo loro di esprimersi.
Ma educare a qualcosa richiede pazienza e convinzione, e il valore dato alla capacità di autoregolazione dipende dal valore che siamo disposti a riconoscere agli altri: la centratura eccessiva su di sé rende infatti prioritarie le proprie emozioni e molto meno importante imparare a gestirle per salvaguardare quelle altrui. Sarebbe dunque necessario aiutare i nostri figli a capire che nessuno è il centro del mondo; ma sarebbe ancora più importante che ciascuno di noi, in prima persona, ridimensionasse l’idea che si è fatto di sé e abbandonasse quel 'tutto intorno a te' che è diventato la gabbia dorata che ci impedisce di fare comunità.
La tendenza a fare di noi stessi il centro del mondo ci rende vulnerabili e reattivi, e ci spinge ad un’attenzione esasperata e un po’ persecutoria nei confronti di ciò che gli altri dicono o fanno a nostro riguardo e che ci rende irritati e di malumore. Un po’ di sana autocritica è dunque davvero necessaria; possiamo ancora imparare che la cifra della vita umana non può mai essere il numero uno: abbiamo tutti bisogno, per essere felici, del due della relazione e del tre dell’apertura alla vita e al mondo.

Tratto da AVVENIREwww.avvenire.it



giovedì 20 giugno 2019

LA VOLGARITÀ COME STILE DI VITA ?!

Andrea Camilleri, recentemente, ha lanciato l’allarme contro l’odio che dilaga e che rischiamo di trasmettere ai ragazzi. Queste le sue parole:
“Stiamo perdendo la misura, il peso, il valore della parola. Le parole sono pietre, possono essere pallottole. Bisogna saper pesare il peso delle parole e soprattutto far cessare il vento dell’odio che è veramente atroce. Lo si sente palpabile attorno a noi. Ma perché l’altro è diverso da me? L’altro non è altro che me allo specchio. È di oggi la notizia di quel pazzo che entra in una sinagoga e uccide 11 persone urlando: “Gli ebrei tutti a morte!”. Ma ci si rende conto a che livelli ci abbassiamo quando non solo lo diciamo, ma siamo capaci di pensare questo. Peggio degli animali che hanno la fortuna di non parlare. Le parole della senatrice Liliana Segre dovrebbero essere dette e scritte all’ingresso di ogni scuola perché il terribile è che stiamo educando una gioventù all’odio. Il motivo? Perché abbiamo perso il senso dei valori. I veri valori della vita li abbiamo persi”.

Il parlar comune, il parlare di taluni politici, il parlare di rappresentanti di istituzioni e degli stessi educatori, il parlare usato in tanti spettacoli televisivi o tramite web,  è sovente infarcito di parolacce, di espressioni arrogranti e volgari. E' un parlare terreno fecondo per violenza e volgarità, un parlare che infanga anzitutto chi usa tale linguaggio, nonchè coloro che (anche casualmente) sono costretti ad ascoltare. E' un parlare che puzza e offende!

Evitare parolacce, insulti, volgarità é questione di stile (personale e comunitario), oltre che di buona educazione e di rispetto per se stessi e gli altri!
La lotta all’odio e alla volgarità non è cosa semplice: il web, in questo senso, è una polveriera impossibile da controllare e censire.
L’unico rimedio, ancora una volta, è l’educazione: dobbiamo trasmettere l’idea che odio e violenza non sono strumenti, dobbiamo aiutare i ragazzi a distinguere la determinazione dall’aggressione, ad essere "persone di stile" ovunque e in qualsiasi situazione si trovino, a dominare pulsioni ed arrabbiature.

Gli adulti dobbiamo dare l'esempio!  Occorre sapere scegliere tra volgarità e "signorilità", tra disprezzo dell'altro e positiva interazione con l'altro, tra governo delle proprie pulsioni ed emozioni e l'andare a "a briglia sciolta" ........ !

Abbiamo bisogno di un programma massiccio di educazione emotiva, a cui va aggiunto l’impegno civico di ciascuno di noi. Questa pericolosa cultura si può combattere solo contrapponendole un’altra cultura, quella della ragione e della gentilezza, cioè dello stile!
Dobbiamo anche educare all’uso delle parole, alla consapevolezza del linguaggio: oggi - purtroppo-  regna l’idea che le parole non siano importanti, che siano un fatto trascurabile.
Non è così: le parole hanno il potere di cambiare il mondo, ma con la stessa facilità possono distruggerlo.

Perchè non provarci? Un sorriso accogliente e dialogante è sempre meglio di un "grugnito" repellente.




mercoledì 19 giugno 2019

STOP CYBERBULLISM DAY - Partecipa alla prima conferenza internazionale on line

STOP CYBERBULLISM DAY - Conferenza mondiale sul cyberbullismo


Giugno
21
12H (UTC+2)
Venerdì
#StopCyberbullyingDay | 24h Scholas Talks : 
Conferenza online sul bullismo e il cyberbullismo
Mancano due giorni alla prima conferenza online contro bullismo e cyberbullismo: #StopCyberbullyingDay | 24h Scholas Talks, organizzata da Wezum, l'Osservatorio giovanile internazionale di Scholas, con il supporto di Time4Child Cooperativa Sociale ONLUS.

Questa maratona online conterà con un ospite speciale: Papa Francesco che si rivolgerà ai giovani di Scholas e alle persone di tutto il mondo che si uniranno per 24 ore a questa grande conversazione globale, con un messaggio di incoraggiamento per questa iniziativa

COS’È?#WezumStopBullying è la prima conferenza online contro il bullismo, organizzata da Wezum, osservatorio internazionale della gioventù di Scholas. 
QUANDO?: Venerdì 21 di giugno 2019 nel contesto del #StopCyberbullyingDay. La giornata inizierà alle 10:00, UTC+2.
DOVE?: #WezumStopBullying è globale! Per partecipare dovrai solamente entrare sul sito scholasoccurrentes.org/wezum
CHI?:     Giovani di tutto il mondo e specialisti sul cyberbullismo. E te! Partecipa!
Scholas Occurrentes: Scholas Occurrentes è un'organizzazione internazionale di diritto pontificio presente in 190 paesi dei cinque continenti e attraverso la sua rete integra 500 mila scuole e reti educative. La sua missione è quella di raggiungere l'integrazione di tutti gli studenti del mondo attraverso proposte tecnologiche, sportive e artistiche che promuovano l'educazione dalla cultura dell'incontro.

Wezum: Dopo aver ascoltato oltre 30 mila giovani provenienti da tutto il mondo, i loro dolori, preoccupazioni, desideri e sogni, la Fondazione Scholas Occurrentes crea Wezum, un osservatorio internazionale della gioventù con lo scopo di indagare le cause alla base del principali problemi che colpiscono oggi gli adolescenti.

Time4Child: Time4Child Cooperativa Sociale Onlus, progetta attività innovative per la promozione dei diritti sociali, economici e ambientali di bambini e ragazzi. Sviluppa i suoi progetti mettendo a sistema le risorse e i diversi stakeholders a livello territoriale, nazionale e internazionale. Vuole così contribuire al raggiungimento degli impegni dell’Italia con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.