Meno auto-centrati per
emozioni regolate
Un po’ di sana autocritica è dunque davvero necessaria; possiamo ancora imparare che la cifra della vita umana non può mai essere il numero uno: abbiamo tutti bisogno, per essere felici, del due della relazione e del tre dell’apertura alla vita e al mondo.
di Mariolina Cerotti Migliarese
Nella persona adulta
esiste (o almeno dovrebbe esistere) un meccanismo molto prezioso e del quale
non abbiamo sufficiente consapevolezza; parlo della capacità di
auto-regolazione: quella competenza umana preziosa che ci permette di mantenere
un adeguato equilibrio emozionale, di non reagire agli stimoli in maniera
sproporzionata e di ritrovare uno stato di calma dopo ogni stato di alterazione
o di disequilibrio. È una risorsa che ci permette anche di metterci in
relazione con gli altri in modo equilibrato, ad esempio regolando i nostri
inevitabili momenti di malumore in modo da risparmiare loro le sue sgradevoli
conseguenze. Non si tratta una competenza innata: dalla nascita e per tutta
l’infanzia le emozioni infatti vengono prevalentemente 'vissute', senza che ci
sia nel bambino la vera capacità di dar loro un nome, di motivarle e di
governarle; il bambino prova sentimenti forti e agisce di conseguenza, spesso
mutuando il suo stile da quello dell’ambiente in cui vive. Oggi non è
infrequente vedere bambini rabbiosi e in balia della propria rabbia, con
genitori che si sentono impotenti, spaventati e incerti sul da farsi. Si tratta
spesso di bambini intelligenti e molto amati, abituati a contrattare tutto con
gli adulti, con i quali si pongono su un livello di parità; sono abituati a
pensare che il loro punto di vista e il loro parere abbiano lo stesso valore di
quello di mamma e papà, perché in ogni decisione viene chiesto il loro accordo
e i genitori accettano estenuanti discussioni pur di evitare ciò che non gradiscono
o può scontentarli.
Ma il bambino rabbioso e
fuori controllo è soprattutto un bambino spaventato: l’intensità delle sue
emozioni lo travolge e non riesce a controllarsi; proprio per questo avrebbe
bisogno di sentire che gli adulti sono in grado di contenerlo senza avere paura
di lui, che si sentono autorizzati a intervenire, e che sono in grado di
impedirgli con fermezza di distruggere o danneggiare persone e cose.
Distruggere, vincere sull’adulto o mancargli di rispetto sono cose che fanno
sentire i bambini insieme onnipotenti e soli, in balia di se stessi e cattivi,
e contrasta il loro naturale senso di giustizia.
Il bambino ha dunque
bisogno dell’accompagnamento paziente e intelligente dell’adulto, capace di
prendersi la responsabilità di fissare i confini di ciò che è permesso, di
reggere i no necessari, e di non spaventarsi per l’intensità delle sue
emozioni; spesso sarà sufficiente un intervento fermo e deciso, che evita
lunghe e inutili esortazioni e irritanti richiami alla ragionevolezza. Il ripetersi
costante dell’esperienza di 'venire regolati' con fermezza e affetto è ciò che
permette di conquistare poco alla volta un’auto-regolazione equilibrata e
flessibile, che sfugga da un lato all’impulsività e dall’altro ad un
autocontrollo rigido, che soffoca le emozioni impedendo loro di esprimersi.
Ma educare a qualcosa
richiede pazienza e convinzione, e il valore dato alla capacità di
autoregolazione dipende dal valore che siamo disposti a riconoscere agli altri:
la centratura eccessiva su di sé rende infatti prioritarie le proprie emozioni
e molto meno importante imparare a gestirle per salvaguardare quelle altrui.
Sarebbe dunque necessario aiutare i nostri figli a capire che nessuno è il
centro del mondo; ma sarebbe ancora più importante che ciascuno di noi, in
prima persona, ridimensionasse l’idea che si è fatto di sé e abbandonasse quel
'tutto intorno a te' che è diventato la gabbia dorata che ci impedisce di fare
comunità.
La tendenza a fare di noi
stessi il centro del mondo ci rende vulnerabili e reattivi, e ci spinge ad
un’attenzione esasperata e un po’ persecutoria nei confronti di ciò che gli
altri dicono o fanno a nostro riguardo e che ci rende irritati e di malumore.
Un po’ di sana autocritica è dunque davvero necessaria; possiamo ancora imparare
che la cifra della vita umana non può mai essere il numero uno: abbiamo tutti
bisogno, per essere felici, del due della relazione e del tre dell’apertura
alla vita e al mondo.
Tratto da AVVENIRE – www.avvenire.it
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