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venerdì 30 marzo 2018

AIMC: CRISTO E' RISORTO! AUGURI!



                                                                                                                                            
A tutti i soci e alle loro famiglie 

giungano cordiali auguri
di
una buona e santa Pasqua 2018


 Il presidente e il gruppo operativo nazionale

giovedì 29 marzo 2018

A PROPOSITO DI DEBITO PUBBLICO

Il debito pubblico é’ sicuramente il problema principale del nostro Paese, da cui discendono tutti gli altri (lavoro, strutture e infrastrutture, servizi alla persona, sanità, scuola, università, ricerca…). Uno Stato che deve spendere oltre 60 miliardi annui per pagare gli interessi sul proprio debito è chiaro che fa fatica ad elevare l’erogazione delle proprie prestazioni.
Quella del debito è, però, questione complessa che richiede un impegno sistemico.
Dobbiamo certamente liberarci dagli interessi, come ha scritto domenica scorsa, 25 febbraio, su queste pagine Luca Giovanni Piccione. Ciò è importante ma non è sufficiente!
E’ necessario altresì ridurre e riorganizzare la spesa pubblica, anche se è vero che nonostante le importanti azioni di spending review, poste in essere in particolare dal governo Monti in poi, il debito non si è ridotto ma anzi si è accresciuto.
Siamo convinti che a questo punto sarebbe importante agire su un altro fattore: l’attuazione di un equo sistema fiscale, così come previsto dall’art. 53 della nostra Costituzione. I Padri Costituenti avevano assegnato a tale articolo la funzione di ricostruzione del Paese, prevedendo che al riempimento del cesto del fisco concorressero tutti i cittadini, nessuno escluso, in ragione della propria capacità contributiva e secondo un sistema fortemente progressivo, al fine di reperire le risorse necessarie a rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona, così come sancito dal secondo comma dell’art. 3 della Costituzione.
Ma, nonostante il dettato costituzionale, sappiamo che non tutti concorrono al cesto comune. Anzi!
Il debito continua a crescere anche in ragione della crescita dell’evasione fiscale e non solo della spesa pubblica. In Europa siamo il secondo Paese con il livello più alto di evasione fiscale!
E’ necessario sicuramente un più efficace sistema di controllo e di utilizzazione delle banche dati disponibili, ma per ridurre l’evasione, che distorce le relazioni sociali a discapito dei più deboli, è necessario innalzare i livelli di costruzione di una coscienza civile improntata a un’etica della responsabilità, impegnando fortemente e più intenzionalmente la scuola e tutti gli altri soggetti educativi, dalle famiglie ai mass media.
E’ quanto auspicato dall’ARDeP (Associazione per la Riduzione del Debito Pubblico), che esplicita le sue proposte (anche se con scarso ascolto della politica), aggregandole intorno ai tre assi di un equo sistema fiscale, una efficace riorganizzazione della spesa pubblica e, in ultimo ma non per ultimo, una forte formazione civica all’interno di un’educazione alla cittadinanza responsabile.
Sono queste, a nostro parere, i cardini degli interventi per la riduzione del debito pubblico.

Pasquale Moliterni,
Professore Ordinario di Ricerca Educativa, Università di Roma Foro Italico,
Presidente ARDeP (Associazione per la Riduzione del Debito Pubblico)

Articolo pubblicato nel quotidiano Avvenire






martedì 27 marzo 2018

EDUCAZIONE ALL'IMPRENDITORIALITÀ' NELLA SCUOLA

Pubblicato il Sillabo per l’Educazione all’imprenditorialità nella scuola secondaria
 Per la prima volta l’Italia promuove l'introduzione strutturaledell’Educazione all’imprenditorialità a scuola

Inviata a tutte le scuole secondarie, da parte della DG per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione, la circolare che ha come obiettivo l’introduzione strutturale dell’Educazione all’imprenditorialità nella scuola italiana.
Grazie ad un Sillabo dedicato, le scuole saranno accompagnate nella costruzione di percorsi strutturati per dare a studentesse e studenti la capacità di trasformare le idee in azioni attraverso la creatività, l'innovazione, la valutazione e l'assunzione del rischio, la capacità di pianificare e gestire progetti imprenditoriali.
             Scopo dell’introduzione dell’Educazione all'imprenditorialità è quello di sviluppare nelle studentesse e negli studenti attitudini, conoscenze, abilità e competenze, utili non solo per un loro eventuale impegno in ambito imprenditoriale, ma in ogni contesto lavorativo e in ogni esperienza di cittadinanza attiva. Si tratta pertanto di competenze trasversali e di competenze per la vita.

Questa importante azione è in linea con l'obiettivo chiave di promuovere e sviluppare le abilità imprenditoriali - definite dalla Commissione Europea con la Comunicazione 2012 "Ripensare l'istruzione: investire nelle abilità in vista di migliori risultati socioeconomici" e rinnovate nella Comunicazione 2016 "A new skills agenda for Europe" - condividendo l'idea che le competenze di imprenditorialità possano affiancare le competenze disciplinari, per far sì che i giovani diventino cittadini attivi, creativi e dotati di spirito di iniziativa.
Per la prima volta, quindi, nella scuola italiana si introduce strutturalmente l’Educazione all’imprenditorialità attraverso un Sillabo dedicato, costruito attraverso il coinvolgimento di circa 40 stakeholder (tra cui rappresentanze nazionali, fondazioni, attori del mondo dell’innovazione, imprese, mondo cooperativo e altri attori della società civile).
Aderendo alla Coalizione Nazionale per l’Educazione all’imprenditorialità, questi soggetti hanno adottato il Sillabo e si impegnano a realizzare attività coerenti ad esso nelle scuole.
Il Sillabo è suddiviso in 5 macro aree di contenuto:
11.  Forme e opportunità del fare impresa
22. La generazione dell’idea, il contesto e i bisogni sociali
33. Dall’idea all’impresa: risorse e competenze
44. L’impresa in azione: confrontarsi con il mercat
55. Cittadinanza economica
L’Italia è inoltre tra i primi Paesi in Europa ad adottare strutturalmente il modello concettuale “EntreComp” (Entrepreneurship Competence Framework), il Quadro di Riferimento per la Competenza Imprenditorialità, prodotto dalla Commissione Europea, di cui la traduzione in italiano prodotta dall’ADI (Associazione Docenti e Dirigenti Scolastici Italiani) è stata inviata alle scuole in allegato alla circolare.
Le scuole tramite il Sillabo, gli esempi di attività collegati ad ogni area e il modello “EntreComp” potranno inserire nella propria offerta formativa percorsi dedicati, promuovendo metodologie di insegnamento che favoriscono la dimensione pratica, una didattica incentrata sulla centralità dello studente e basata su casi reali, e valorizzando i collegamenti interdisciplinari presenti tra gli insegnamenti.
Questa azione è da intendersi come strutturalmente legata ai finanziamenti dedicati all’Educazione all’imprenditorialità e previsti dal bando PON 2775 (www.istruzione.it/pon/avviso_educazione-imprenditorialita.html), in corso di valutazione, per un investimento complessivo di 50 milioni di euro.
Il MIUR, quindi, prende una posizione chiara sul tema dell’imprenditorialità con finanziamenti dedicati, un partenariato nazionale e azioni di contenuto.
Tutti i materiali pervenuti alle scuole sono consultabili al seguente link: 





lunedì 26 marzo 2018

AIMC E UMEC-WUCT PARTECIPANO ALLA RIUNIONE IN PREPARAZIONE AL SINODO SUI GIOVANI

Anche l’UMEC e l’AIMC
partecipano alla riunione pre-sinodale dei giovani
Roma, 19-24 marzo 2018

“GIOVANI, SIATE PROTAGONISTI!”

               Dal 19 al 24 marzo 2018 si è tenuta a Roma una Riunione pre-sinodale sul tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.
               Presenti 300 giovani in rappresentanza delle Conferenze Episcopali, delle Chiese Orientali, della vita consacrata e di coloro che si preparano al sacerdozio, di Associazioni e Movimenti ecclesiali, di altre Chiese e comunità cristiane e di altre religioni, del mondo della scuola, dell’università e della cultura, del lavoro, dello sport, delle arti, del volontariato e del mondo giovanile che si ritrova nelle estreme periferie esistenziali, nonché esperti, educatori e formatori impegnati nell’aiuto ai giovani per il discernimento delle loro scelte di vita.
               L’evento, voluto fa papa Francesco, si è realizzato in preparazione della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dal tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” ,  prevista per il mese di ottobre 2018.
               L’incontro è stato organizzato dalla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, in collaborazione con il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita.
               Ringraziamo il Santo Padre per questa iniziativa che ha permesso ai giovani di esprimere le loro aspettative e i loro desideri, nonché le loro incertezze e le loro preoccupazioni nelle complesse vicende del mondo odierno.
               La Riunione pre-sinodale contribuirà ad arricchire la fase di consultazione già avviata con la pubblicazione del Documento Preparatorio e il relativo Questionario, con l’apertura del sito contenente un apposito questionario per i giovani, e con il Seminario Internazionale sulla condizione del mondo giovanile, tenutosi nello scorso mese di settembre. Il frutto dei lavori dell’incontro verrà offerto ai Padri sinodali, insieme ad altra documentazione, per favorire la loro riflessione e il loro approfondimento.
               Al pre-sinodo ha partecipato l’Unione Mondiale degli Insegnanti Cattolici (UMEC-WUCT), rappresentata da due insegnanti dell’AIMC, portando il proprio contributo nei lavori di redazione del documento richiesto da Sua Santità Papa Francesco.
               Il pre-sinodo si è aperto con un’assemblea plenaria presieduta dal Santo Padre il quale si è rivolto ai giovani dei cinque continenti esortandoli a rendersi protagonisti con coraggio e impegno del futuro che avanza. “Parlate con coraggio, non abbiate vergogna!....  Abbiate la faccia tosta!..... Viviamo in una cultura che idolatra la giovinezza ma esclude tanti giovani dall’essere protagonisti! …. E’ necessario  fare uscire quello che ognuno di voi e di noi abbiamo nel cuore”,  ha detto.
               Giovani rappresentanti dei cinque continenti hanno rivolto al Santo Padre il loro appello su questioni che affliggono le diverse realtà del mondo giovanile nelle diverse parti del mondo.
               L’appassionato dibattito, stimolato da un sussidio, fornito dalla Santa Sede, contenente specifiche domande per la condivisione, ha reso vivace e proficuo il lavoro dei venticinque gruppi linguistici, volto all’elaborazione del progetto-documento conclusivo consegnato al Santo Padre al termine della liturgia eucaristica di Domenica delle Palme.
               Il documento è stato diffuso in tutto il mondo e i partecipanti ci siamo impegnati a farne strumento per il dibattito e la riflessione negli ambienti ove operiamo.
           L’esperienza che ci è stata concessa è stata di grande arricchimento professionale e umano, consentendoci di ampliare i nostri orizzonti, di ravvivare la nostra fede e di instaurare relazioni collaborative e propositive con tutte le varie realtà presenti e molto spesso lontane da noi.

Maria Rizzo Trischitta (Aimc Messina) e Arturo Melillo (Aimc Roma)



sabato 24 marzo 2018

I GIOVANI, LA FEDE, IL DISCERNIMENTO - Il documento dei giovani

SINODO DEI VESCOVI
XV ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
«I GIOVANI, LA FEDE E IL DISCERNIMENTO VOCAZIONALE»
RIUNIONE PRE-SINODALE

ROMA, 19-24 MARZO 2018
               Documento della Riunione pre-sinodale                               
I giovani di oggi si confrontano con una serie di sfide e opportunità esterne ed interne, molte delle quali sono specifiche dei loro contesti individuali e alcune sono condivise tra Continenti. Alla luce di ciò, è necessario per la Chiesa esaminare il modo in cui pensa ai giovani e si impegna per loro, in modo da essere una guida efficace, rilevante e vivificante nel corso della loro vita.
Questo documento è una piattaforma sintetizzata per esprimere alcuni dei nostri pensieri ed esperienze. È importante notare che queste sono le riflessioni di giovani del 21° secolo provenienti da diverse religioni e contesti culturali. In tal senso, la Chiesa dovrebbe vedere queste riflessioni non come un’analisi empirica di un qualsiasi altro tempo passato ma, piuttosto, come un’espressione di dove ci troviamo, dove siamo diretti e come un indicatore di cosa la Chiesa deve fare per andare avanti.
È importante innanzitutto chiarire i parametri di questo documento. Non si tratta di comporre un trattato teologico né di stabilire un nuovo insegnamento della Chiesa. È piuttosto un documento che rispecchia le specifiche realtà, personalità, credenze ed esperienze dei giovani del mondo. Esso è destinato ai Padri sinodali. È volto a fornire ai vescovi una bussola che miri ad una maggiore comprensione dei giovani; uno strumento di navigazione per il prossimo sinodo dei vescovi su “Giovani, la Fede e il discernimento vocazionale” ad ottobre 2018. È importante notare che queste esperienze siano viste e capite secondo i vari contesti giovanili in cui sono situate.
Queste riflessioni sono scaturite dall’incontro di più di 300 giovani rappresentanti da tutto il mondo, convenuti a Roma dal 19 al 24 marzo 2018 per l’inaugurazione della Riunione pre-sinodale dei giovani e la partecipazione di 15.000 giovani collegati online attraverso gruppi Facebook.
Questo documento è concepito come un riassunto di tutti i contributi dei partecipanti basati sul lavoro di 20 gruppi linguistici, e di ulteriori 6 gruppi tramite i social media. Esso sarà una fonte, tra le altre, che contribuirà all’Instrumentum Laboris del Sinodo dei Vescovi 2018. La nostra speranza è che la Chiesa e le altre istituzioni possano imparare dal processo di questa Riunione pre-sinodale ed ascoltare le voci dei giovani.

Detto questo, possiamo procedere a esplorare con apertura e fede i luoghi in cui il giovane si situa oggi, come egli si percepisce in relazione agli altri e come noi, in quanto Chiesa, possiamo accompagnare i giovani verso una comprensione profonda di se stessi e del posto che hanno nel mondo. ..........




BAMBINI SOLDATO ....... e il mondo sta a guardare!

È cambiata la geografia mondiale del fenomeno, ma non la sua entità. I bambini soldato continuano ad essere utilizzati nei conflitti armati, nonostante gli accordi internazionali, fra cui quello fondamentale entrato in vigore il 12 febbraio 2002, all’origine della Giornata internazionale contro l’uso dei bambini soldato [...].
 
Eppure l’emergenza bambini soldato sembra finita in fondo alla lista dall’agenda internazionale. Dei fondi per l’aiuto allo sviluppo solo lo 0.6% viene utilizzato per smobilitare e reintegrare i bambini rapiti dalle milizie e costretti a commettere atrocità e a combattere, accusa l’organizzazione Child Soldiers International. E non viene fatto abbastanza per impedire che in alcuni Paesi i bambini vegano arruolati, a volte anche negli eserciti regolari.
 
L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sui bambini nei conflitti armati stila un elenco di 56 gruppi armati e di sette eserciti regolari che reclutano e utilizzano bambini. Durante il 2017, più di 3000 casi sono stati registrati solo nella Repubblica democratica del Congo e almeno 19.000 nel Sud Sudan. L’impiego di bambini soldato è inoltre raddoppiato nel Medio Oriente.
 
È cresciuto anche lo sfruttamento delle bambine, sia nei conflitti che come schiave sessuali. La milizia terrorista Boko Haram in Nigeria ha usato 83 bambini come bombe umane solo nei primi otto mesi del 2017, e il 66% erano bambine. «I bambini soldato sono ideali perché non si lamentano, non si aspettano di essere pagati e se dici loro di uccidere, loro uccidono» ha detto un ufficiale dell’esercito nazionale del Chad in una testimonianza riportata dalla Coalizione Stop all’uso dei bambini soldato!, una rete di organizzazioni italiane impegnate sia con progetti sul campo che nella sensibilizzazione a livello internazionale.
 
Vale la pena leggere le loro testimonianze: «Io sono stata rapita in un campo in pieno giorno», dice Ester,14 anni, rapita da un gruppo armato in Uganda e costretta a lavorare per i ribelli. «Dovevamo camminare tutto il tempo e procurare cibo per i ribelli. Dopo due mesi ho avuto la possibilità di scappare. Adesso vivo a Gusco ma torno spesso a casa. Ciò che desidero è tornare a scuola».
 
Zachariah, ora ha 15 anni e ne aveva 12 quando soldati di un gruppo armato hanno circondato la sua scuola situata in una zona rurale del Nord-Kivu e lo hanno condotto assieme a molti altri compagni nella foresta. Per 3 anni è stato esposto a pericoli, sofferenze, percosse, malnutrizione e malattia, prima di essere finalmente rilasciato. Dei suoi compagni di scuola dice: “la maggior parte sono morti”.
 
Fra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio di questo anno la missione Minuss delle Nazioni Unite ha liberato in Sud Sudan 311 bambini soldato, tra cui 87 bambine. Si tratta della prima fase di un programma che ha l’obiettivo di smobilitare 700 bambini soldato nella regione di Yambio. Tra questi 563 combattono con le forze dell’ex presidente Salva Kiir e 137 in quelle dell’ex vicepresidente Riek Machar.
 
La missione ha visto la collaborazione di Unicef, capi religiosi e autorità locali per negoziare la liberazione, ma è solo un piccolo passo. Sono infatti 19.000 i bambini soldato in Sud Sudan. Che continuano a subire violenze e sono costretti a loro volta a commetterne.
  
Emanuela Citterio 
 
(articolo tratto da www.mondoemissione.it)

venerdì 23 marzo 2018

IN CAMMINO VERSO VERSO LA PASQUA

"Il Signore invita tutti noi a seguirlo con gioia e ad amare senza riserve Dio e gli altri. 
Non smettete di coltivare ogni giorno il vostro rapporto di amicizia con Cristo, domandandovi spesso: «Che farebbe Gesù al mio posto? Che cosa posso fare per somigliare sempre più a Lui e portarlo agli altri?». 
      Cercatelo nella preghiera, nei sacramenti, in tutte le circostanze della vostra vita e anche nelle persone che vi stanno vicino: amici, familiari, colleghi di studio, e in coloro che hanno più bisogno e sono i più dimenticati del mondo, nei quali si riflette in modo particolare il volto di Cristo. 
     Vi invito a uscire da voi stessi, vincendo la comodità e l’egoismo di pensare solo alle vostre cose, per mettervi in cammino per incontrare le persone bisognose, servendole con i vostri talenti.        Questo è il modo migliore di seguire Cristo e di avere sempre il cuore innamorato di Lui".
Papa Francesco

giovedì 22 marzo 2018

GLI ITALIANI LEGGONO SEMPRE MENO. UNA SFIDA PER LA SCUOLA

Gli italiani leggono poco 
e la scuola potrebbe fare di più

IL PROSSIMO 24 MARZO  SI CELEBRERA'  
LA GIORNATA NAZIONALE PER LA PROMOZIONE DELLA LETTURA

 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 luglio 2009: " E' istituita la «Giornata nazionale per la promozione della lettura» che si terra' il 24 marzo di ogni anno. In tale giornata le amministrazioni pubbliche, anche in coordinamento con le associazioni e gli organismi operanti nel settore, assumono, nell'ambito delle rispettive competenze, iniziative volte a promuovere la lettura in tutte le sue forme e a sensibilizzare i cittadini, e in particolar modo le nuove generazioni, sui temi ad essa legati".


 di Christian Raimo, giornalista e scrittore

In Italia si legge poco, sempre meno, ma questo non sembra essere un dato allarmante.
Eppure il rapporto dell’Istat uscito il 27 dicembre è pieno di cattive notizie. Si dice che i “lettori sono passati dal 42 per cento della popolazione di 6 anni e più nel 2015, al 40,5 per cento nel 2016. Si tratta di circa 23 milioni di persone che dichiarano di aver letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti l’intervista per motivi non strettamente scolastici o professionali”: il che vuol dire che ci sono circa trenta milioni di persone alfabetizzate che non leggono nemmeno un libro all’anno.
Leggono più le femmine che i maschi: 47,1 per cento contro il 33,5 per cento. Si legge più al nord che al sud: 48,7 per cento contro il 27,5 per cento. Nel 2010 la percentuale dei lettori era del 46,8 per cento. In sei anni si sono persi tre milioni e mezzo di lettori. Cosa ha determinato questo crollo? “Nell’opinione degli editori”, dice sempre il rapporto, “i principali fattori che determinano la modesta propensione alla lettura in Italia sono il basso livello culturale della popolazione(39,7 per cento delle risposte) e la mancanza di efficaci politiche scolastiche di educazione alla lettura (37,7 per cento)”.
Il dato più significativo e preoccupante è infatti il calo di lettori tra i 15 e i 17 anni: dal 53,9 del 2015 per cento al 47,1 per cento al 2016. Praticamente meno della metà degli studenti italiani acquisisce l’abitudine a leggere libri.
Quello che si sta facendo per la promozione della lettura è poco e forse anche sbagliato
Se si vuole fare un confronto di massima con gli altri paesi europei si possono prendere i dati della recente ricerca curata dal Forum del libro – l’associazione che da anni cerca diportare al centro del dibattito pubblico e politico questi temi: la percentuale dei lettori è superiore al 75 per cento nella maggior parte dei paesi del centro e del nord dell’Europa occidentale: Svezia (89 per cento, il dato più alto), Danimarca, Finlandia, Estonia, Olanda, Lussemburgo, Germania,Regno Unito. Mentre è inferiore al 60 per cento in Portogallo (il dato europeo più basso: meno del 40 per cento), Cipro, Romania,Ungheria, Grecia. E Italia.
La reazione che in genere suscitano questi rapporti Istat è una lamentela diffusa che dura al massimo una settimana, accompagnata magari dall’elenco di quello che invece in Italia tutti i giorni insegnanti, bibliotecari, librai, editori, genitori di buona volontà fanno per contrastare questa tendenza a diventare un paese che non legge.
Nell’ultimo convegno del Forum del libro a Pistoia, il 3 novembre scorso, per esempio, si sono ascoltate decine di esperienze diffuse sul territorio: dalle biblioteche informali in piccolissimi paesi disabitati dell’Appenino ai centri culturali di periferia animati da inventive presentazioni di libri, dalle campagne pubblicitarie e di sconti, ai reading e altre iniziative nelle scuole.
Ma se da una parte non si può che riconoscere l’impegno di molti, dall’altra di fronte alle cifre riportate dall’Istat l’unica conclusione possibile è che quello che si sta facendo per la promozione della lettura è poco e forse anche sbagliato.
Poco nel senso che incide in piccolissima parte sull’infrastruttura culturale. Sbagliato nel senso che non si usa un metodo efficace. Quando a Pistoia Ricardo Levi dell’Aie, l’Associazione italiana editori, si inorgoglisce dei più di 200mila libri regalati attraverso Io leggo alle biblioteche scolastiche italiane (“il doppio dell’anno scorso!”), non vede che questo numero, confrontato con le decine di milioni di libri di altri programmi europei è risibile, e diviso per le biblioteche coinvolte vuol dire venti o trenta volumi a biblioteca. Ma soprattutto il punto è che incrementare il numero di libri regalati non basta e non vuol dire automaticamente aumentare i lettori.
Educare e formare
Un programma senza un osservatorio è inutile. E una cosa simile si può dire delle iniziative dei bonus docenti e dei bonus diciottenni di 500 euro finanziati dagli ultimi governi per i consumi culturali. Per fare un semplice esempio: gli insegnanti per l’anno 2016/2017 hanno speso circa 200 milioni di euro in hardware e software nuovo, ma solo 38 milioni di euro in libri.

Dare soldi a pioggia – ma senza una programmazione né una sistematicità – per incrementare i consumi o la disponibilità non significa fare educazione alla lettura, né in generale formazione culturale.
Questa semplice prospettiva si rivela ancora più chiara se si legge la parte della ricerca del Forum su come funzionano negli altri paesi europei i programmi di promozione alla lettura: a partire da uno sguardo d’insieme, si nota “come a livello europeo si ponga sempre maggiore attenzione ai programmi che intendono sviluppare la reading literacy. Il termine literacy in lettura significa comprendere, utilizzare e riflettere su testi scritti al fine di raggiungere i propri obiettivi, di sviluppare le proprie conoscenze e le proprie potenzialità e di svolgere un ruolo attivo nella società”. Nei convegni sembra che si abbia ben chiara la differenza tra educazione alla literacy e acquisto di libri, ma poi nelle iniziative del ministero della cultura, questa differenza non esiste più.





mercoledì 21 marzo 2018

ALLARME PEDOFILIA. RAPPORTO METER

Cresce la pedopornografia on line

L’Onlus guidata da don Fortunato di Noto ha segnalato quasi un milione di video pedopornografici. 37 i Paesi coinvolti e oltre 1000 i report inviati alle polizie di tutto il mondo. 
Formazione e prevenzione con il Corso per la Nuova pastorale contro la pedofilia

                                                                                                       di Marco Guerra – Città del Vaticano

E’ quintuplicato il numero di video dal contenuto pedopornografico segnalati dall'associazione Meter. È quanto emerge nel rapporto 2017 presentato stamane a Pachino (Siracusa) da don Fortunato di Noto, presidente di Meter Onlus, realtà che anima uno dei più autorevoli e attivi osservatori del mondo sulla pedopornografia on line.
Il sacerdote denuncia quindi un incremento dello scambio, della distribuzione e della compravendita di filmati e immagini che ritraggono abusi avvenuti sui minori. Nel 2017 Meter ha segnalato precisamente 2.196.470 di foto contro 1.946.898 del 2016. I video, invece, sono passati da i 203.047 del 2016, ai 985.006 dell’anno scorso.  Secondo le valutazioni  dell’osservatorio, le vittime più coinvolte si rilevano nella fascia d’età 8/12 anni, seguiti dalla fascia 3/7 anni e infine 0/2 anni. Nel complesso i siti web segnalati sono quasi raddoppiati, dai 9.379 del 2016 ai 17.299 l’anno scorso.
Decine di nazioni coinvolte
Oltre 1000 i report di Meter sono stati inviati e recapitati a capi di Stato, ministri, polizie,  autorità competenti e giornalisti in tutto il mondo,  per renderli consapevoli del dramma della pedofilia e della pedopornografia  e al fine passare così “dalle alleanze delle parole alle alleanza operative”. Nel 2017 sono state infatti 37 le nazioni coinvolte in questo turpe fenomeno.
Il primato nel numero di siti segnalati appartiene all'Isola di Tonga, nell'Oceano Pacifico, anche ha totalizzato 10.096 indirizzi. Seguono la Russia con 1.150 e Saint Pierre et Miquelon, nell'Oceano Atlantico, con 1.091. Per l'Africa e' in testa la Libia con 140 segnalazioni, mentre Hong Kong guida l’Asia con 7 segnalazioni . Vale poi la pena ricordare anche le 181 segnalazioni relative alla Francia. Ad ogni modo Europa e America sono la “culla” della maggior parte delle aziende che gestiscono i server permettendo il funzionamento di molti siti o piattaforme in cui si divulga materiale pedopornografico. Meter evidenzia pertanto l’assenza di controllo da parte dei colossi del web nonostante gli sforzi di qualcuno.                                                                   
Pedofilia culturale
L’azione di Meter non si limita al monitoraggio del web, ..... 







FELICITA' CERCASI. NECESSITANO INFRASTRUTTURE MORALI!

La Giornata dell'Onu 
e dati ed evidenze 
su cui riflettere

di Leonardo Becchetti

Il Rapporto mondiale sulla Felicità del 2018 presentato in questi giorni di vigilia della Giornata della felicità che l’Onu ha deciso di celebrare il 20 marzo di ogni anno fornisce indicazioni interessanti non solo a livello globale, ma anche per l’Italia. Il nostro, infatti, resta tra i Paesi peggiori per variazione del livello della soddisfazione di vita negli ultimi tre anni (119ª su 141) pur mantenendo una buona posizione a livello assoluto (47ª).
L’analisi delle determinanti della soddisfazione di vita sui dati individuali a livello mondiale conferma che sei variabili spiegano tre quarti delle differenze tra Paesi. Si tratta di due variabili la cui importanza appare scontata (reddito e salute), due variabili “politiche” (libertà di iniziativa e assenza di corruzione) e due variabili legate alla dimensione interpersonale (qualità della vita di relazioni e gratuità, ovvero il saper dar spazio nella propria vita a comportamenti che incidono positivamente sulla vita di altri senza chiedere nulla in cambio).
Il rapporto approfondisce in uno dei suoi capitoli anche il tema del rapporto tra migrazioni e soddisfazione di vita. E conferma che i flussi migratori nascono per “lucrare” il differenziale di felicità atteso tra Paese di origine e Paese di destinazione. La parte più interessante è quella che verifica che l’aspettativa dei migranti si realizza in quanto la felicità dei nuovi arrivati converge con grande rapidità verso il livello del Paese di destinazione. Molto interessante anche la stima dell’effetto delle migrazioni sui familiari che restano nel Paese di origine. In questo caso i risultati sono meno chiari e l’effetto è misto: la soddisfazione per le conquiste dei familiari migrati è, però, bilanciata da un impatto emozionale negativo dettato dalla distanza coi propri cari.
Un altro spaccato impressionante è quello sul rapporto tra felicità e salute negli Stati Uniti. Questo grande Paese continua a essere caratterizzato dal cosiddetto “paradosso di Easterlin”. Il Pil pro capite cresce quasi ininterrottamente dal secondo dopoguerra novecentesco, ma la soddisfazione di vita ristagna, mostra addirittura un lieve declino negli ultimi anni ed è da sempre lontana dalle posizioni dei Paesi di vertice. I livelli di aspettativa di vita in buona salute sono quasi tre anni più bassi che da noi, mentre si assiste a un’esplosione del problema dell’obesità (quasi il 38,2% degli adulti). Jeffrey Sachs, economista di punta delle Nazioni Unite e uno dei più acuti critici della società americana ha commentato il rapporto in un recente incontro del “Cortile dei Gentili” puntando giustamente il dito sulle caratteristiche intrinseche della società capitalista non temperata da un quadro esterno di valori: abbandonata a sé stessa genera naturalmente diseguaglianze, non ha alcuna spinta alla produzione di beni pubblici e, soprattutto, incita alle dipendenze. Dal lato della domanda in virtù di una visione povera della persona ridotta a massimizzatrice di utilità (che John Stuart Mill scherniva dicendo che era meglio essere un “Socrate infelice” che un “maiale soddisfatto”). Dal lato dell’offerta perché la spinta al massimo profitto porta naturalmente in direzione dei beni che producono dipendenza (cibo negli Stati Uniti, azzardo da noi) e con essa una domanda stabile e meno sensibile al prezzo.
Il paradigma dell’economia civile è la giusta correzione a un sistema che ha prodotto benessere e progresso tecnologico generando al contempo diseguaglianze inaccettabili (basterebbe una piccola quota delle ingenti ricchezze dei supermiliardari del mondo per assicurare istruzione per tutti), sottoproduzione di beni pubblici e sottoinvestimento nelle virtù.
Questo paradigma riconosce, nell’ormai vasta mole dei dati empirici sulle determinanti della soddisfazione di vita, quel tratto comune agli uomini di tutti i continenti e di ogni epoca (la libertà dal bisogno, l’aspirazione a vivere in società politiche che non limitano anzi stimolano la generatività individuale). E attraverso visioni più ricche di senso della persona (capace di razionalità cooperativa e maestra di relazioni), dell’impresa (ricca di senso e creatrice di valore economico sostenibile) e del benessere indica le condizioni politiche per “società a quattro mani” dove stato, mercato, cittadinanza attiva e imprese responsabili lavorano insieme in direzione dell’orizzonte del bene comune.
Per capire l’importanza di questi fattori basti ricordare un’immagine bellissima di Antonio Genovesi che nel 1765 diceva che una società florida ha bisogno di infrastrutture materiali (strade, porti, canali) ma ancor più e prima di esse di canali e infrastrutture morali.
Per trovare fondamenti a questa visione non dobbiamo andare lontano o in altre culture. L’art. 3 della Costituzione Italiana e il concetto di «bene comune» della Dottrina sociale della Chiesa sono straordinariamente concordi nel proporre da una prospettiva laica e credente il traguardo di una società che rimuove gli ostacoli alla piena realizzazione delle persone. Un meta-programma bellissimo che dovrebbe bastare per mettere attorno a un tavolo le forze politiche italiane in questo faticoso dopo elezioni.





martedì 20 marzo 2018

IDEOLOGIA GENDER. ENTRERÀ' A SCUOLA CON L'INGANNO?

Papa Francesco si è più volte espresso chiaramente in proposito, una citazione per tutte nella catechesi del mercoledì del 15 aprile 2015: “Io mi domando, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Sì, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione”.
Non si tratta della accoglienza o meno delle singole persone verso le quali il Papa ha sempre dimostrato grande apertura, ma di una teoria, di una mentalità.
Di questa teoria si è parlato nell’ambito del XXII Convegno di studi della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università della Santa Croce, dal titolo Il Diritto all'educazione e il diritto all'insegnamento.
Due giorni intensi di lavoro con un programma di interventi che partono dalla idea di fondo del Diritto Canonico, che cioè la Chiesa abbia “diritto di fondare e dirigere scuole di qualsiasi disciplina, genere e grado” (can. 800 § 1 CIC).
Non sempre però questo diritto è facile da esercitare. Dopo aver ricordato i principi del Magistero ecclesiastico sull’educazione, il Convegno ha mostrato lo stretto collegamento tra diritto canonico ed ecclesiastico e quali sono i diritti fondamentali della persona umana.
La presentazione del diritto all’educazione a livello mondiale, tenendo conto delle prospettive dell’Agenda 2030 dell’ONU, lo studio dell’autonomia dei centri d’insegnamento, tutelata dalla giurisprudenza europea sia a Strasburgo che a Lussemburgo e infine la sfida posta dalla teoria del gender all’antropologia giuridica.
La relazione sulla problematica delle teorie gender nell’insegnamento è uno dei grandi temi dibattuti in Italia anche a livello politico oltre che nelle società civile.
Sia in Spagna che in Francia le teorie gender sono state mascherate, come ha ricordato Vincenzo Turchi Professore di Diritto Canonico ed Ecclesiastico della Università di Salerno.
La filosofia gender viene mascherata da lotta alle “stereotipie di genere” e contro l’omofobia. In Italia certe norme riprendono, almeno nei termini, le ideologie gender.
Nella “legge della buona scuola” del 2015 ad esempio, e nei piani sperimentali che tra il 20012 e il 2014 hanno affidato all'UNAR, l’ufficio Nazionale antidiscriminazioni razziali, delle “strategie”  per contrastare appunto le discriminazioni “sull’identità di genere”.
Il documento si pone come obiettivo anche “l’empowerment delle persone LGTB nelle scuole sia tra gli insegnanti che gli alunni”. Come mezzi per raggiungere questi obiettivi l’idea è aggiungere materie su temi LGTB accreditando associazioni LGTB come enti di formazione”.
Si tratta per ora di testi programmatici che rivelano però quanto ormai a livello politico e sociale le teorie gender si stiano diffondendo.
Nel 2014 poi è stato depositato in Senato un disegno di legge per “ L’introduzione della educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università”. E in Umbria esiste già una normativa che parla di uguaglianza “indipendentemente dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”.
Il pericolo è il tentativo, a partire dalle norme europee, di far entrare la filosofia gender nelle normative  senza dichiararlo apertamente ma inserendolo in leggi che tutelano da vere discriminazioni. Il rischio è che contrapporsi può sembrare addirittura razzista e discriminatorio.

Il Convegno ha anche affrontato la questione dei sistemi di finanziamento delle scuole nei principali Stati europei della ’“educazione alla cittadinanza”, e dell’irrinunciabile ruolo dei genitori come primi educatori dei propri figli, con uno sguardo alla homeschooling, l’insegnamento a casa non sempre accettata dai poteri pubblici.
Angela Ambrogetti




domenica 18 marzo 2018

FACCIAMO FESTA PER LA SCUOLA DELL'INFANZIA!

18 MARZO 1968
NASCE LA SCUOLA MATERNA STATALE! 

    La scuola dell'infanzia compie 50 anni! 
    Il suo avvio come scuola "statale" è stato preceduto da benemerite iniziative ( giardini d'infanzia, asili infantili, ecc.) gestiti  da persone di buona volontà, da enti religiosi e da altri enti.
      L'articolo 1 delle Legge istitutiva (n. 444) precisa che  "Detta scuola si propone fini di educazione, di sviluppo della personalità infantile, di assistenza e di preparazione alla frequenza della scuola dell'obbligo, integrando l'opera della famiglia". 
Gli Orientamenti del 1969 ne delineano gli aspetti culturali, pedagogico-didattici ed organizzativi.
       Gli Orientamenti del 1991 evidenziano con chiarezza che "la scuola dell'infanzia concorre, nell'ambito del sistema scolastico, a promuovere la formazione integrale della personalità dei bambini dai tre ai sei anni di età, nella prospettiva della formazione di soggetti liberi, responsabili ed attivamente partecipi alla vita della comunità locale, nazionale ed internazionale.
Essa persegue sia l'acquisizione di capacità e di competenze di tipo comunicativo, espressivo, logico ed operativo, sia una equilibrata maturazione ed organizzazione delle componenti cognitive, affettive, sociali e morali della personalità apportando con questo il suo specifico contributo alla realizzazione della uguaglianza delle opportunità educative".
        La Legge 53 del 2003 precisa che  "il sistema educativo di istruzione e di formazione si articola nella scuola dell'infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema dell'istruzione e della formazione professionale; e) la scuola dell'infanzia, di durata triennale, concorre all'educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale delle bambine e dei bambini promuovendone le potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, e ad assicurare un'effettiva eguaglianza delle opportunità educative; nel rispetto della primaria responsabilità educativa dei genitori, essa contribuisce alla formazione integrale delle bambine e dei bambini e, nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica, realizza la continuità educativa con il complesso dei servizi all'infanzia e con la scuola primaria".
        Con la L.53 del 2003 la denominazione cambia da “scuola materna” a “scuola dell’infanzia”,  luogo educativo dove il bambino viene seguito passo per passo dal docente per sviluppare a pieno le sue abilità cognitive, affettive e sociali.
      Le Indicazioni Nazionali del 2012 così caratterizzano la scuola dell'infanzia: "La scuola dell’infanzia, statale e paritaria, si rivolge a tutte le bambine e i bambini dai tre ai sei anni di età ed è la risposta al loro diritto all'educazione e alla cura, in coerenza con i principi di pluralismo culturale ed istituzionale presenti nella Costituzione della Repubblica, nella Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e nei documenti dell’Unione Europea.
Essa si pone la finalità di promuovere nei bambini lo sviluppo dell’identità, dell’autonomia, della competenza e li avvia alla cittadinanza". 
          E' stato un lungo cammino, partito da esigenze meramente assistenziali, ma consolidatosi nella visione di una scuola con chiare finalità educative e culturali. Un cammino supportato da una forte attenzione alle esigenze educative dell'infanzia, dalla volontà di garantire pari opportunità a tutti, dalla coscienza del fondamentale e basilare valore degli apprendimenti della prima infanzia.  
          Ora il progetto 0-6 anni pone nuove interessanti sfide a tutti coloro (istituzioni, associazioni, personale scolastico, famiglie ...) che sono impegnati nell'educazione dei bambini, ma anche alle scuole e agli enti locali che sono chiamati ad interagire per fornire a tutti i bambini un servizio di qualità e "in continuità" orizzontale e verticale per porre le basi a un percorso che favorisca la piena maturazione di ogni persona e il responsabile esercizio della cittadinanza.
L'identità pedagogica della scuola dell'infanzia, oggi chiamata a confrontarsi anche con la prospettiva "zero-sei", può aiutare la scuola di base (3-14 anni) ad affrontare con fiducia e convinzione i compiti formativi a cui è chiamata dalle nuove condizioni sociali e culturali. 
          La ricorrenza odierna è una grande festa anche per l’AIMC, associazione professionale che, sin dalla sua fondazione  (1945), ha avuto particolare attenzione per la scuola dei più piccoli, prima scuola ove si sviluppano apprendimenti e abilità fondamentali per la crescita della persona.
l'AIMC ha sempre agito perche la "scuola dei più piccoli" fosse considerata vera scuola, non spazio meramente assistenziale!
      Perciò, l’AIMC è stata protagonista del cammino della scuola dell’infanzia, sia nell’ambito normativo, sia nella formazione continua delle insegnanti, sia nella definizioni dei curricoli.
Ha difeso (e continua a difendere) la qualità e la specificità della scuola dell’infanzia e il significativo ruolo svolto da chi vi opera.
In questo primo cinquantennio la scuola dell’infanzia (non solo quella statale) – per la qualità della sua azione educativa – è stata riconosciuta ed apprezzata non solo a livello nazionale, ma europeo e mondiale.
Scuola dell’infanzia, non piccola scuola "infantile", ma scuola prima e basilare, di esempio per tutti i successivi  "segmenti"  del percorso scolastico, con i quali agisce in continuità.

Buon cammino verso il futuro e un vivo grazie agli insegnanti, ai dirigenti scolastici, a tutti coloro che hanno curato (e curano) la qualità del servizio reso dalla scuola dell'infanzia.

sabato 17 marzo 2018

UN SEME FIORITO. Vangelo di domenica 18 marzo

VOGLIAMO VEDERE GESÙ!

Quinta domenica di Quaresima 
Ger 31,31-34; Eb 5,7-9; Gv 12, 20-33 

         Vogliamo vedere Gesù. È il desiderio che ci spinge in questa quaresima. Che ci spinge in questa nostra vita confusa e claudicante. Un desiderio che emerge dal profondo. Vogliamo vedere Gesù. 
      Non solo sentirne parlare, o leggere le sue parole. Ma vederlo. Con gli occhi dell’anima, con lo sguardo interiore, con la preghiera. E a chiederlo sono i greci, i pagani, i lontani di ieri e di oggi. Mi piacerebbe tanto, quanto lo desidero, quanto lo sogno, che anche oggi accadesse come quel giorno. 
            Che chi desidera l’incontro con Gesù si rivolgesse ai discepoli. A quelli che sono in sintonia con loro, anzitutto: Filippo, il cui nome lascia intendere ascendenze col mondo greco e poi Andrea. 
       Come mi piacerebbe che fossimo noi, i discepoli, ad essere capaci di condurre ancora a Gesù. Ma, purtroppo, spesso, troppo spesso, i greci non vengono da noi perché abbiamo perso di credibilità. Possa questa quaresima aiutare noi fragili discepoli a tornare ad essere portatori di Cristo. Ad accogliere i tanti lontani, perché sentinelle sui confini. Perché noi per primi siamo greci diventati discepoli. 
       Il seme Filippo e Andrea vanno ad informare Gesù di quell’incontro. 
      E Gesù ne esce scosso. Come se fosse un segnale. E lo è. Ora l’annuncio ha raggiunto i confini, ha varcato le porte di Israele. La missione è completata, si è compiuta. Gesù sa che il suo tempo è venuto. Un’ultima prova, un ultimo segnale, imponente, estremo, grandioso, si staglia all’orizzonte. 
     Il vangelo di Giovanni è costruito come un immenso processo al Nazareno, sin dalle prime pagine. Il rifiuto da parte del Sinedrio e dei benpensanti, dei devoti e dei detentori della verità si palesa da subito. Gesù sa che il suo modo di parlare di Dio non può essere tollerato, visto che non è stato possibile ricondurlo a normalità. Non sa cosa accadrà. Sa solo che è pronto ad andare fino in fondo....