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martedì 31 gennaio 2017

31 gennaio - SAN GIOVANNI BOSCO, patrono degli educatori


Fondatore dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, fu canonizzato alla chiusura dell’anno della Redenzione nel 1934. Il 31 gennaio 1988 Giovanni Paolo II lo dichiarò «padre e maestro della gioventù». «Alla scuola di don Bosco, noi facciamo consistere la santità nello stare molto allegri e nell’adempimento perfetto dei nostri doveri», disse san Domenico Savio.




lunedì 30 gennaio 2017

Indagine nazionale sull'ora di religione a scuola

Ecco cosa sanno di religione 

gli studenti italiani

"Senza eccedere in ingiustificato ottimismo, ci sembra di poter ritenere soddisfacente lo stato di saluto dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana». Dunque una "prova superata" quella che la quarta indagine nazionale sull’Irc evidenzia. Un rapporto che "tasta il polso" a un campione significativo di docenti di religione nella scuola statale e in quella cattolica, ma che per la prima volta indaga anche sulle reali "compentenze" acquisite dagli studenti di ogni ordine e grado.
I risultati sono stati presentati martedì 17 nel palazzo del Vicariato di Roma alla presenza dei curatori (il professor Sergio Cicatelli e don Guglielmo Malizia), con la partecipazione del segretario generale della Cei, il vescovo Nunzio Galantino.
  

La prima parte: i docenti
  La prima parte della ricerca è dedicata ai docenti, che indicano nella "vocazione" e nella "volontà di offrire ai giovani una formazione religiosa", le motivazioni che li spingono a scegliere questo insegnamento.Una scelta che li porta a essere "disponibili ad essere presenti in attività formative e in ruoli di responsabilità nel contesto scolastico", assumendo funzioni di coordinamento e di aiuto nei confronti dei propri colleghi. Una passione che non viene meno neppure davanti alla consapevolezza che tra i punti critici dell’Irc vi è, per esempio, l’assenza di una valutazione che entri nella pagella dell’alunno.
Eppure per gli studenti - soprattutto quelli della scuola superiore - il rapporto personale con il docente Irc è un fattore di grande importanza, così come la possibilità di potersi affrontare con grandi temi di attualità e di senso per la propria vita. E da parte loro i docenti non ne sono meno consapevoli, come dimostra la quarta indagine nazionale, che infatti indica nella formazione in servizio la necessita di puntare soprattutto sugli aspetti pedagogico-didattici e in quelli comunicativo-relazionali, i punti su cui concentrare l’attenzione della formazione in servizio. Senza dimenticare - segno dei tempi che cambiano e della presenza di studenti di fede non cattolica - una attenzione a una maggior preparazione sui temi dell’approccio interreligioso .....


domenica 29 gennaio 2017

LA VIRTU' DELL'ESSENZIALITÀ'

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» 

          Il povero in spirito è colui che ha assunto i sentimenti e l’atteggiamento di quei poveri che nella loro condizione non si ribellano, ma sanno essere umili, docili, disponibili alla grazia di Dio. La felicità dei poveri – dei poveri in spirito – ha una duplice dimensione: nei confronti dei beni e nei confronti di Dio
          Riguardo ai beni, ai beni materiali, questa povertà in spirito è sobrietà: non necessariamente rinuncia, ma capacità di gustare l’essenziale, di condivisione; capacità di rinnovare ogni giorno lo stupore per la bontà delle cose, senza appesantirsi nell’opacità della consumazione vorace. Più ho, più voglio; più ho, più voglio: questa è la consumazione vorace. E questo uccide l’anima. E l’uomo o la donna che fanno questo, che hanno questo atteggiamento “più ho, più voglio”, non sono felici e non arriveranno alla felicità. Nei confronti di Dio è lode e riconoscimento che il mondo è benedizione e che alla sua origine sta l’amore creatore del Padre. Ma è anche apertura a Lui, docilità alla sua signoria: è Lui, il Signore, è Lui il Grande, non io sono grande perché ho tante cose! E’ Lui: Lui che ha voluto il mondo per tutti gli uomini e l’ha voluto perché gli uomini fossero felici.
       Il povero in spirito è il cristiano che non fa affidamento su se stesso, sulle ricchezze materiali, non si ostina sulle proprie opinioni, ma ascolta con rispetto e si rimette volentieri alle decisioni altrui.        Se nelle nostre comunità ci fossero più poveri in spirito, ci sarebbero meno divisioni, contrasti e polemiche! L’umiltà, come la carità, è una virtù essenziale per la convivenza nelle comunità cristiane.         
     I poveri, in questo senso evangelico, appaiono come coloro che tengono desta la meta del Regno dei cieli, facendo intravedere che esso viene anticipato in germe nella comunità fraterna, che privilegia la condivisione al possesso. 
       Questo vorrei sottolinearlo: privilegiare la condivisione al possesso. Sempre avere il cuore e le mani aperte (fa il gesto), non chiuse (fa il gesto). Quando il cuore è chiuso , è un cuore ristretto: neppure sa come amare. 
         Quando il cuore è aperto , va sulla strada dell’amore".
Papa Francesco - 29 gennaio 2017

sabato 28 gennaio 2017

Domenica 29 gennaio: LE BEATITUDINI, "le parole più alte del pensiero umano".

Le Beatitudini, il più grande atto di speranza cristiano 
 
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
 
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
 
Davanti al Vangelo delle Beatitudini provo ogni volta la paura di rovinarlo con i miei tentativi di commento, perché so di non averlo ancora capito. Perché dopo anni di ascolto e di lotta, questa parola continua a stupirmi e a sfuggirmi.
 
Gandhi diceva che queste sono «le parole più alte del pensiero umano». Ti fanno pensoso e disarmato, ma riaccendono la nostalgia prepotente di un mondo fatto di bontà, di sincerità, di giustizia, senza violenza e senza menzogna, un tutt'altro modo di essere uomini. Le Beatitudini hanno, in qualche modo, conquistato la nostra fiducia, le sentiamo difficili eppure suonano amiche. Amiche perché non stabiliscono nuovi comandamenti, ma propongono la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore, che se uno si fa carico della felicità di qualcuno il Padre si fa carico della sua felicità.
 
La prima cosa che mi colpisce è la parola: Beati voi. Dio si allea con la gioia degli uomini, se ne prende cura. Il Vangelo mi assicura che il senso della vita è, nel suo intimo, nel suo nucleo profondo, ricerca di felicità. Che questa ricerca è nel sogno di Dio, e che Gesù è venuto a portare una risposta. Una proposta che, come al solito, è inattesa, controcorrente, che srotola nove sentieri che lasciano senza fiato: felici i poveri, gli ostinati a proporsi giustizia, i costruttori di pace, quelli che hanno il cuore dolce e occhi bambini, i non violenti, quelli che sono coraggiosi perché inermi. Sono loro la sola forza invincibile.
 
Le beatitudini sono il più grande atto di speranza del cristiano. Il mondo non è e non sarà, né oggi né domani, sotto la legge del più ricco e del più forte. Il mondo appartiene a chi lo rende migliore.
 
Per capire qualcosa in più del significato della parola beati osservo anche come essa ricorra già nel primo dei 150 salmi, quello delle due vie, anzi sia la parola che apre l'intero salterio: «Beato l'uomo che non resta nella via dei peccatori, che cammina sulla via giusta». E ancora nel salmo dei pellegrinaggi: «Beato l'uomo che ha la strada nel cuore» (Sl 84,6).
 
Dire beati è come dire: «In piedi voi che piangete; avanti, in cammino, Dio cammina con voi, asciuga lacrime, fascia il cuore, apre sentieri». Dio conosce solo uomini in cammino.
 
Beati: non arrendetevi, voi i poveri, i vostri diritti non sono diritti poveri. Il mondo non sarà reso migliore da coloro che accumulano più denaro. I potenti sono come vasi pieni, non hanno spazio per altro. A loro basta prolungare il presente, non hanno sentieri nel cuore. Se accogli le Beatitudini la loro logica ti cambia il cuore, sulla misura di quello di Dio; te lo guariscono perché tu possa così prenderti cura bene del mondo.
 
(Letture: Sofonía 2,3; 3,12-13; Salmo 145; 1 Corinzi 1,26-31; Matteo 5,1-12) 
  Ermes Ronchi 
 (tratto da www.avvenire.it)




28 gennaio - SAN TOMMASO D'AQUINO, la "santità dell'intelligenza"



TOMMASO D'AQUINO  “fu un uomo meravigliosamente contemplativo. Se la sua santità è stata la santità dell’intelligenza, è perché in lui la vita dell’intelligenza era interamente sostenuta e transilluminata dal fuoco della contemplazione infusa e dei doni dello Spirito Santo. Egli è vissuto in una specie di rapimento e di estasi incessante. Egli pregava continuamente, piangeva, digiunava, desiderava (...) Il capolavoro dell’intellettualità pura e rigorosa straripa così da un cuore posseduto dalla carità”. Questo è il profilo che un celebre studioso ha tratteggiato di Tommaso. Lui stesso, commentando, verso la fine della sua vita, il Vangelo di Giovanni, scriverà che “come la lucerna non può dare luce se non viene accesa dal fuoco, così la lucerna spirituale non illumina, se prima non arde ed è infiammata dal fuoco della carità”.


giovedì 26 gennaio 2017

MIUR - LINEE PROGRAMMATICHE DEL MINISTERO

AUDIZIONE DELLA MINISTRA DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA VALERIA FEDELI SULLE LINEE PROGRAMMATICHE DEL DICASTERO 26 GENNAIO 2017 
LINEE PROGRAMMATICHE 

            Presidenti, Senatrici e Senatori, Deputate e Deputati, l’audizione di oggi serve a delineare il percorso di lavoro dei prossimi mesi, che immagino come un susseguirsi di passaggi e scelte da realizzare con la massima condivisione possibile. Inizio col sottolineare quanto mi senta onorata e responsabilizzata nel trovarmi a guidare un Ministero così importante come il Miur, che non solo interessa la vita e le speranze di studentesse e studenti, di milioni di famiglie, ma riguarda direttamente il futuro di tutto il Paese.
         Scuola, università e ricerca sono strategiche per un Paese che competa nel mondo grazie al sapere e alle competenze, in modo inclusivo ed in un orizzonte di sviluppo sostenibile socialmente, economicamente e dal punto di vista ambientale. Se questo è il futuro che immaginiamo non possiamo che mettere al centro bambine e bambini, ragazze e ragazzi, studentesse e studenti, perché il sistema di istruzione, educativo e formativo è forte solo se riconosce di essere degli studenti e per gli studenti. 
         Dobbiamo mettere al centro la loro crescita e lo dobbiamo fare riconoscendo il lavoro dei docenti, di ogni ordine e grado, e di tutto il personale dirigenziale e tecnico - amministrativo, che quella crescita accompagnano ogni giorno, motivandoli e valorizzandoli nell’esercizio dell’autonomia e della responsabilità del proprio ruolo professionale e riconoscendo loro un prestigio sociale che è dimenticato. Dobbiamo far sentire ad ogni studentessa e ad ogni studente che tutto il Paese, le sue Istituzioni e la società tutta, investono su di loro.......


mercoledì 25 gennaio 2017

LUCIA ROSSI E' TORNATA ALLA CASA DEL PADRE

Lucia Rossi ci ha lasciato. Oggi, nel gremitissimo duomo di Vigevano, le abbiamo dato l’ultimo saluto.
Lo sconforto che ci ha presi alla notizia della sua morte, diffusasi rapidamente, è grande e diffuso.
Lo sappiamo: cristianamente parlando Lucia è tornata alla casa del Padre, è approdata alla vita vera, quella eterna, in cui lei ha sempre creduto.
Ma la nostra umanità, di cui siamo profondamente intrisi, fa prevalere in noi il dolore del distacco, la consapevolezza della perdita di una bella e grande persona che ha dato tutto ciò che poteva, e forse anche di più, alla comunità scolastica, civile ed ecclesiale.
Quando ho diffuso la notizia ai responsabili associativi dell’AIMC di Lombardia ho scritto che Lucia era una “cara amica e benefattrice dell’AIMC”.
Dietro il termine “benefattrice” non stava tanto l’idea di una persona che ha dato soldi all’Associazione (anche se sono certa che questo sia avvenuto), ma piuttosto la convinzione che Lucia abbia sempre voluto il bene dell’AIMC e che proprio per questo abbia fatto tanto bene nelle varie realtà associative nelle quali ha operato con vero spirito di servizio. Sezione, provincia, regione, centro nazionale: tutti i vari livelli hanno avuto modo di beneficiare della sua presenza, sempre tesa al lavoro umile, alla stima delle persone, alla valorizzazione delle risorse umane. Ha rivestito cariche importanti in AIMC, anche quella di vicepresidente nazionale, ma sempre con umile spirito di servizio e, ci tengo a sottolinearlo di nuovo, per il bene associativo.
Viveva in AIMC come si vive in una grande famiglia ed è stata per noi un grande esempio di vita, capace di tessere legami con le istituzioni, con la realtà ecclesiale e civile.
Del resto Lucia è stata presenza umile e preziosa ovunque, rivestendo ruoli che l’hanno impegnata con grande responsabilità: dirigente scolastica, formatrice degli insegnanti, sindaco della sua amata città, responsabile degli insegnanti di religione della diocesi, solo per citarne alcuni.
L’ha sempre sostenuta una grande fede ed una forte spiritualità, vero carburante del suo essere “laica nel mondo” secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II.
Il suo improvviso ritorno alla casa del Padre ci lascia senza parole: la affidiamo alla misericordia del Padre che sicuramente guarderà con tenerezza a tutto il bene che ha fatto nella scuola e nella nostra Associazione, nella comunità civile ed ecclesiale.
Al fratello don Gabriele, alle sorelle Anna e Maria Augusta, ai parenti, stretti nella morsa del dolore per questo ulteriore distacco, vogliamo dire tutta la vicinanza dell’AIMC e assicurare una preghiera.

M. Disma Vezzosi

martedì 24 gennaio 2017

COMUNICARE SPERANZA E FIDUCIA - Per una comunicazione costruttiva

  
GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI.

MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO

                 



.....PER UNA COMUNICAZIONE COSTRUTTIVA

           L’accesso ai mezzi di comunicazione, grazie allo sviluppo tecnologico, è tale che moltissimi soggetti hanno la possibilità di condividere istantaneamente le notizie e diffonderle in modo capillare. Queste notizie possono essere belle o brutte, vere o false. Già i nostri antichi padri nella fede parlavano della mente umana come di una macina da mulino che, mossa dall’acqua, non può essere fermata. Chi è incaricato del mulino, però, ha la possibilità di decidere se macinarvi grano o zizzania. La mente dell’uomo è sempre in azione e non può cessare di “macinare” ciò che riceve, ma sta a noi decidere quale materiale fornire (cfr Cassiano il Romano, Lettera a Leonzio Igumeno).
Vorrei che questo messaggio potesse raggiungere e incoraggiare tutti coloro che, sia nell’ambito professionale sia nelle relazioni personali, ogni giorno “macinano” tante informazioni per offrire un pane fragrante e buono a coloro che si alimentano dei frutti della loro comunicazione. Vorrei esortare tutti ad una comunicazione costruttiva che, nel rifiutare i pregiudizi verso l’altro, favorisca una cultura dell’incontro, grazie alla quale si possa imparare a guardare la realtà con consapevole fiducia.
          Credo ci sia bisogno di spezzare il circolo vizioso dell’angoscia e arginare la spirale della paura, frutto dell’abitudine a fissare l’attenzione sulle “cattive notizie” (guerre, terrorismo, scandali e ogni tipo di fallimento nelle vicende umane). Certo, non si tratta di promuovere una disinformazione in cui sarebbe ignorato il dramma della sofferenza, né di scadere in un ottimismo ingenuo che non si lascia toccare dallo scandalo del male. Vorrei, al contrario, che tutti cercassimo di oltrepassare quel sentimento di malumore e di rassegnazione che spesso ci afferra, gettandoci nell’apatia, ingenerando paure o l’impressione che al male non si possa porre limite. Del resto, in un sistema comunicativo dove vale la logica che una buona notizia non fa presa e dunque non è una notizia, e dove il dramma del dolore e il mistero del male vengono facilmente spettacolarizzati, si può essere tentati di anestetizzare la coscienza o di scivolare nella disperazione.
           Vorrei dunque offrire un contributo alla ricerca di uno stile comunicativo aperto e creativo, che non sia mai disposto a concedere al male un ruolo da protagonista, ma cerchi di mettere in luce le possibili soluzioni, ispirando un approccio propositivo e responsabile nelle persone a cui si comunica la notizia. Vorrei invitare tutti a offrire agli uomini e alle donne del nostro tempo narrazioni contrassegnate dalla logica della “buona notizia”.
La buona notizia       
       La vita dell’uomo non è solo una cronaca asettica di avvenimenti, ma è storia, una storia che attende di essere raccontata attraverso la scelta di una chiave interpretativa in grado di selezionare e raccogliere i dati più importanti. La realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco. Tutto dipende dallo sguardo con cui viene colta, dagli “occhiali” con cui scegliamo di guardarla: cambiando le lenti, anche la realtà appare diversa. Da dove dunque possiamo partire per leggere la realtà con “occhiali” giusti?
       Per noi cristiani, l’occhiale adeguato per decifrare la realtà non può che essere quello della buona notizia ....


IL BAMBINO NELLA NEVE. Un viaggio nella memoria impossibile da raccontare

" Ma poi, cosa è Auschwitz? 
Cosa ne rimane? E cosa deve rimanere? 
Per me, prima di tutto, Auschwitz è un  cimitero.
 Il mio cimitero di famiglia".   

 Cos'è la memoria? Cos'é il passato? ..... Riflessioni universali, che diventano lancinanti quando si applicano alo passato di un ebreo, polacco e comunista, cresciuto nel dopoguerra in una patria che poi lo ha rinnegato.
    Wlodek Goldkorn è da molti anni una voce conosciuta dalla cultura italiana, ha intervistato grandi artisti, scrittori, premi Nobel, e raccontato molte storie. Ora racconta la sua storia, quella di un bambino nato da genitori scampati agli orrori della seconda guerra mondiale, che abitava in una casa abbandonata dai tedeschi in fuga, ancora piena di piatti e mobili provvisti di svastica, che cresce nel vuoto di una memoria familiare impossibile da raccontare, impossibile da dimenticare, impossibile da vivere. 
    "Poi capita che nascono i nipotini. E arriva il momento in cui ci si pone la domanda: come dire l'indicibile? Come trasmettere la memoria?"
      Ecco allora un viaggio di ritorno: Cracovia, Varsavia, Auschwitz, Belzec, Sobibòr, Treblinka ...
      E' un viaggio nella memoria, da ricostruire, da inventare, da proiettare nel futuro: i genitori, gli amici, gli eroi, le vittime, il ragazzino che gioca coi compagni nel cortile fingendo di essere ad Auschwitz, l'uomo che sceglie Marek Edelman come maestro di vita, il nonno che deve raccontare ai nipoti la storia.
       Un viaggio che non ha paura di spingersi nel buio più profondo del Novecento, senza perdere la chiarezza dello sguardo, il disincantato di chi sa che ogni ricordo è anche fantasia, che essere figlio dell'Olocausto non significa immedesimarsi nelle vittime ma deve portare alla rivolta. 

Wlodek Goldkorn, Il bambino nella neve, ed. Feltrinelli, Milano, 2016, pagg. 202 - € 16
    

lunedì 23 gennaio 2017

LA BUONA GRAFIA, un'arte, una risorsa

Il corsivo 
non deve sparire!

«La scrittura manuale è un diritto fondamentale. 
E fa bene al cervello»

Parla il grafologo Claudio Garibaldi, coordinatore della campagna per farla riconoscere dall’Unesco come «patrimonio dell’umanità»



Intervista di Laura Badaracchi

               È appena uscito il numero speciale della rivista «Scrittura», rivista di problemi grafologici edita dall’Istituto Grafologico Internazionale «Girolamo Moretti » di Urbino. Il periodico, che ha compiuto 46 anni, lancia fin dalla copertina il diritto alla «scrittura a mano» come patrimonio dell’umanità; infatti anche solo la sua importanza per l’apprendimento e l’espressione di sé da parte dei bambini testimonia la perdita culturale e cognitiva che rappresenterebbe il suo abbandono, causata soprattutto da un conflitto – in verità solo apparente – con la scrittura digitale.
Fra gli interventi pubblicati sul quadrimestrale diretto da Carlo Merletti si segnalano quello di Dario Cingolani che ricorda «Quando la scrittura era essenza vitale e quasi preghiera», il contributo di Anna Rita Guaitoli dedicato a «Il corsivo per far parlare le emozioni» e l’articolo di Roberto Pazzi su «Il linguaggio dell’anima». Per ulteriori informazioni: tel. 0722/2639, scrittura@istitutomoretti.it. 

          Salvare dal disuso la scrittura manuale, perché fa bene al cervello, aiuta a elaborare e ancor prima «è un diritto fondamentale da preservare e da far riconoscere come patrimonio dell’umanità dall’Unesco».
          Lo sostiene il grafologo Claudio Garibaldi, coordinatore della campagna per il diritto di scrivere a mano, lanciata quasi due anni fa dall’Istituto grafologico internazionale «Girolamo Moretti» di Urbino; un polo formativo che ha come direttore il frate conventuale padre Fermino Giacometti. Sull’iniziativa sensibilizzazione verte l’ultimo numero del quadrimestrale Scrittura, diretto da Carlo Merletti e pubblicato dall’Igm.

Professor Garibaldi, come sta andando la campagna?
«I risultati ottenuti in così breve tempo sono stati positivi, talvolta sorprendenti. Occorre però una prospettiva a lungo termine, perché la creazione di consapevolezza sul valore della scrittura a mano richiede il coinvolgimento di molte realtà. Siccome l’obiettivo finale è quello di far dichiarare la scrittura a mano (bene individuale e collettivo) come patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco, ciascuno di noi può dare un contributo». ....


domenica 22 gennaio 2017

LE PENTOLE DEL DIAVOLO - Pochi ricchi e miliardi di poveri!

LA RICCHEZZA
 DEL MONDO 
IN MANO A POCHI      NABABBI

di Giuseppe Savagnone

Chi lo dice che le cose non cambieranno mai? Cambiano, eccome! Solo che noi non ce ne accorgiamo, anche perché, nella ridda di notizie inutili (a quanto pare Brad Pitt ha una nuova fiamma!) da cui siamo tempestati ogni giorno, nessuno ci informa dei cambiamenti veramente importanti. Un’eccezione a questo silenzio è il recentissimo rapporto della Oxfam – una confederazione internazionale composta da 18 organizzazioni di Paesi diversi – , da cui risulta che le disuguaglianze economiche a livello mondiale si accrescono a una velocità vertiginosa. Nel 2010 erano i 388 uomini più ricchi a possedere quanto la metà più povera del pianeta (oltre 3 miliardi e mezzo di persone). Dopo soli quattro anni, nel 2014, per realizzare questa equivalenza, ne bastavano 80. Nel 2015, 62. Oggi, secondo i dati pubblicati nel rapporto, ad avere da soli quanto tutti i miserabili della terra messi assieme (426 miliardi di dollari!), sono in 8. Possiamo leggere i loro nomi sulla famosa rivista «Forbes»: Bill Gates, Amancio Ortega, Warren Buffet, Carlos Slim, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Larry Ellison, Michael Bloomberg.
Attenzione: non si tratta soltanto di geni solitari che si sono fatti da sé. È il meccanismo dell’economica neo-capitalistica oggi dominante a produrre questi effetti. I soggetti sopra elencati sono, infatti, in buona compagnia, se è vero che nel 2015 si è calcolato che l’1% più ricco dell’umanità possiede più del restante 99%. Non è l’eredità del passato: la forbice si è andata sempre più allargando in questi ultimi decenni. Tra il 1988 e il 2011 il reddito medio del 10% più povero della popolazione mondiale è aumentato di 65 dollari, meno di 3 dollari l’anno, mentre quello dell’1% più ricco di 11.800 dollari, vale a dire 182 volte tanto. Il tutto legato ai processi economici e finanziari che non fanno capo solo a singoli individui, ma a potenti aziende: nel biennio 2015/2016 dieci tra le più grandi multinazionali hanno realizzato complessivamente profitti superiori a quanto raccolto dalle casse di 180 Paesi del pianeta.

L’Italia non fa eccezione alla regola. Stando ai dati del 2016, l’1% più facoltoso della popolazione ha nelle mani il 25% della ricchezza nazionale netta. I primi 7 miliardari italiani posseggono una ricchezza superiore a quella complessiva del 30% più povero dei nostri connazionali. E anche nel nostro Paese il processo è in corso di svolgimento. La classe media, che ne era il tessuto base, si sta disfacendo. Pochi diventano sempre più ricchi, la maggior parte scivola inesorabilmente nella povertà……..

sabato 21 gennaio 2017

Domenica 22 gennaio. LASCIARONO TUTTO PER SEGUIRLO

E lasciarono tutto per Gesù, 
come chi trova un tesoro

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nazaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta».
Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. ...... Ed essi, lasciate le reti lo seguirono.
 Matteo 4,12-23

Matteo è l’evangelista “scriba”, che costantemente mette in risalto il compimento delle Scritture dell’Antico Testamento nella vita di Gesù. Ciò che avviene nella vicenda di Gesù è compimento della parola di Dio contenuta nelle Legge, nei Profeti e nei Salmi (cf. Lc 24,44). Anche l’inizio del ministero pubblico di Gesù deve essere letto in questa prospettiva, perché non il caso, né il destino, la necessità, determinano gli eventi, ma la libera volontà di Gesù, che desidera essere obbediente al Padre in conformità alle sante Scritture.
Quando Gesù ebbe notizia che Giovanni il Battista, il maestro che egli seguiva come un discepolo (opíso mou: Mt 3,11), era stato arrestato e imprigionato da Erode, allora “si ritirò (verbo anachoréo) in Galilea”, lasciando la Giudea e soprattutto la regione tra Giordano e mar Morto dove Giovanni aveva predicato e battezzato.
Questo ritirarsi, che è un allontanarsi, si ripeterà altre volte nella vita di Gesù (cf. Mt 9,24; 12,15; 14,13; 15,21), come già era avvenuto quando Giuseppe, suo padre secondo la Legge, si era ritirato in Galilea per fuggire da Archelao (cf. Mt 2,22-23).
In questo caso non è però Nazaret, la borgata in cui Gesù era cresciuto, il luogo del suo ritirarsi, bensì Cafarnao, città sul lago di Tiberiade, città di frontiera, luogo di transito e tappa importante sulla via del mare che metteva in comunicazione Damasco e Cesarea, il porto sul Mediterraneo. Qui a Cafarnao Gesù sceglie una casa come dimora sua e del gruppo che lo seguirà nella sua avventura profetica.
Matteo non dimentica la promessa del profeta Isaia su questa terra periferica che era stata la prima regione umiliata e oppressa dall’invasore assiro nell’VIII secolo a.C., quando le tribù di Zabulon e di Neftali qui residenti furono vinte, deportate ed esiliate. Il profeta aveva osato guardare al futuro lontano, quando Dio avrebbe dato inizio alla redenzione e al raduno del suo popolo, a partire da questa regione diventata terra impura popolata di pagani, crocicchio delle genti.
Ecco dove viene ad abitare Gesù, ecco la compagnia che sceglie, questa frontiera disprezzata dai giudei: proprio da qui Gesù inizia la sua predicazione. Questa regione vede dunque “sorgere” una grande luce, la luce di Cristo e del suo Vangelo.
Da quel momento Gesù inizia a predicare, in piena continuità con la predicazione del Battista: “Convertitevi (metanoeîte), perché il regno dei cieli si è avvicinato” (= Mt 3,2). La chiamata è alla conversione, al cambiamento di mentalità, di atteggiamento e di stile nel vivere quotidiano: non un gesto isolato, estemporaneo, ma l’assunzione di un “altro” modo di vivere, segno concreto del “ritorno” a Dio.
Da un lato la conversione richiede un lasciare e un assumere, è dunque un’ora che scandisce un prima e un dopo. D’altro lato, essa diventa un’istanza continua, una dinamica da imprimere nella propria vita giorno dopo giorno, perché non si è mai convertiti una volta per sempre. Questa conversione ha un solo scopo: permettere che Dio regni, che sia l’unico Signore nella vita del credente. “Convertitevi!” è stata una parola di Giovanni, di Gesù, di Pietro (cf. At 2,38), ed è la prima parola che la chiesa deve rivolgere a quanti incontra.
Il Regno avviene là dove uomini e donne permettono a Dio di regnare in loro attraverso la conversione. Per costoro il regno dei cieli (o regno di Dio, secondo Marco e Luca) si è avvicinato, può essere realtà già qui sulla terra, dove Dio regna.
Così viene sintetizzata da Matteo l’attività di Gesù in Galilea, un’attività profetica sulla scia di quella del Battista, un’attività che chiama, attira discepoli capaci di conversione. Per questo segue il racconto di due chiamate, quelle dei primi quattro discepoli.
Il racconto è semplice, sobrio, non indugia su particolari e soprattutto non presta attenzione ai processi psicologici che pure devono essere stati vissuti in questo evento. Anche in questo caso il racconto  plasmato sul modello della chiamata profetica (cf. 1Re 19,19-21) e vuole essere una testimonianza esemplare per ogni lettore del Vangelo.
Gesù passa lungo il mare di Galilea, cioè il lago di Gennesaret, dove si trovano pescatori e barche. Gesù innanzitutto “vede”, con il suo sguardo penetrante e capace di discernimento, “due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettano le reti in mare”.
Enzo Bianchi


AIMC. IN CAMMINO VERSO IL XXI CONGRESSO NAZIONALE - Il cronogramma


 Un cammino da progettare, da condividere, da vivere e fare vivere nelle sezioni, nelle province, nelle regioni, a livello personale e comunitario, per verificare il cammino percorso e preparare il futuro associativo.    Dove e come andare, a quali persone (spirito associativo, spirito di servizio, autenticità, competenza, relazionalità, progettualità, fede, entusiasmo, memoria e futuro ....) affidare le varie responsabilità?
Quali azioni intraprendere? ......


Lo Spirito ci guidi verso il domani.

mercoledì 18 gennaio 2017

Papa Francesco CRISTIANI? CORAGGIOSI NON PARCHEGGIATI o IN FRIGORIFERO

“I cristiani parcheggiati sono egoisti, 

guardano solo se stessi”

Nella Messa mattutina Francesco incita al coraggio quale atteggiamento “per andare avanti” nella vita, senza chiudersi “nel frigo” o considerare la Chiesa “un bel parcheggio”

Da salotto, rigoristi, pappagalli o pigri. Alle categorie di “cristiani” da cui stare in guardia Papa Francesco ne aggiunge una nuova: i cristiani “parcheggiati” che vivono “nel frigo” perché tutto rimanga così. Nella Messa odierna a Santa Marta, commentando la Lettera agli Ebrei, Bergoglio incita i seguaci di Cristo al coraggio e allo zelo, quale atteggiamento per andare avanti nella vita e nella vita di fede.
Il rischio – dice – è di finire per considerare la Chiesa come un “bel parcheggio”, rinchiudendosi in uno schema che non permette di andare a vanti e “fare le cose nuove”. “I cristiani pigri, i cristiani che non hanno la voglia di andare avanti, i cristiani che non lottano per fare le cose che cambiano, le cose nuove, le cose che ci farebbero bene a tutti, se queste cose cambiassero”: quanti ce ne sono così, commenta il Papa.
E per cristiani intende “tutti”: laici, preti e vescovi. “Sono i pigri, i cristiani parcheggiati: hanno trovato nella Chiesa un bel parcheggio. Per loro la Chiesa è un parcheggio che custodisce la vita e vanno avanti con tutte le assicurazioni possibili. Ma questi cristiani fermi, mi fanno pensare una cosa che da bambino dicevano a noi i nonni: ‘Stai attento che l’acqua ferma, quella che non scorre, è la prima a corrompersi’”.
La vita del cristiano è invece una “vita coraggiosa”, una vita a volte faticosa ma che mira a grandi traguardi. Come quella degli atleti che si allenano allo stadio per vincere, sottolinea il Papa. A muovere tutto è la speranza, quella che manca a questi “cristiani pigri” che forse l’hanno persa e sono andati “in pensione”. “È bello andare in pensione dopo tanti anni di lavoro ma passare tutta la tua vita in pensione è brutto!”, esclama Papa Francesco.
Invita pertanto ad aggrapparsi alla speranza, “quella che non delude, che va oltre”, anche e soprattutto nei momenti difficili. Essa “è un’àncora sicura e salda per la nostra vita. La speranza è l’àncora: l’abbiamo buttata e noi siamo aggrappati alla corda, ma lì, ma andando lì. Questa è la nostra speranza. Non c’è da pensare: ‘Sì, ma, c’è il cielo, ah che bello, io rimango…’. No. La speranza è lottare, aggrappato alla corda, per arrivare là. Nella lotta di tutti i giorni la speranza è una virtù di orizzonti, non di chiusura!”.
Forse, tra tutte le virtù, la speranza è quella “che meno si capisce” ma è “la più forte”. Pertanto bisogna “vivere in speranza, vivere da speranza, sempre guardando avanti con coraggio”, incoraggia Bergoglio. “Sì, padre – qualcuno di voi potrà dirmi -, ma ci sono momenti brutti, dove tutto sembra buio, cosa devo fare?’. Aggrappati alla corda e sopporta”.
E ci sono anche momenti in cui si sbaglia: “Ma tutti sbagliamo”, dice il Papa; sembra che “sbaglia quello che va avanti” mentre “quello che sta fermo sembra non sbagliare”. Invece è tutto il contrario. “A nessuno di noi viene regalata la vita”, annota Francesco, bisogna invece “avere coraggio per andare avanti e sopportare”.
Cristiani coraggiosi, allora, certi “che Dio non delude”. A conclusione dell’omelia, il Vescovo di Roma suggerisce i quesiti da porsi ogni giorno utili a raggiungere tale statura di fede: “Come sono io? come è la mia vita di fede? È una vita di orizzonti, di speranza, di coraggio, di andare avanti o una vita tiepida che neppure sa sopportare i momenti brutti?”. “Che il Signore ci dia la grazia – è sua la preghiera conclusiva – di superare i nostri egoismi perché i cristiani parcheggiati, i cristiani fermi, sono egoisti. Guardano soltanto se stessi, non sanno alzare la testa a guardare Lui. Che il Signore ci dia questa grazia”.


MIGRANTI MINORENNI, VULNERABILI E SENZA VOCE - Il messaggio di Papa Francesco

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2017

[15 gennaio 2017]
“Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce”

Cari fratelli e sorelle!
           «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato» (Mc 9,37; cfr Mt 18,5; Lc 9,48; Gv 13,20). Con queste parole gli Evangelisti ricordano alla comunità cristiana un insegnamento di Gesù che è entusiasmante e, insieme, carico di impegno. Questo detto, infatti, traccia la via sicura che conduce fino a Dio, partendo dai più piccoli e passando attraverso il Salvatore, nella dinamica dell’accoglienza. Proprio l’accoglienza, dunque, è condizione necessaria perché si concretizzi questo itinerario: Dio si è fatto uno di noi, in Gesù si è fatto bambino e l’apertura a Dio nella fede, che alimenta la speranza, si declina nella vicinanza amorevole ai più piccoli e ai più deboli. Carità, fede e speranza sono tutte coinvolte nelle opere di misericordia, sia spirituali sia corporali, che abbiamo riscoperto durante il recente Giubileo Straordinario.
           Ma gli Evangelisti si soffermano anche sulla responsabilità di chi va contro la misericordia: «Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare» (Mt 18,6; cfr Mc 9,42; Lc 17,2).              Come non pensare a questo severo monito considerando lo sfruttamento esercitato da gente senza scrupoli a danno di tante bambine e tanti bambini avviati alla prostituzione o presi nel giro della pornografia, resi schiavi del lavoro minorile o arruolati come soldati, coinvolti in traffici di droga e altre forme di delinquenza, forzati alla fuga da conflitti e persecuzioni, col rischio di ritrovarsi soli e abbandonati?
          Per questo, in occasione dell’annuale Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, mi sta a cuore richiamare l’attenzione sulla realtà dei migranti minorenni, specialmente quelli soli, sollecitando tutti a prendersi cura dei fanciulli che sono tre volte indifesi perché minori, perché stranieri e perché inermi, quando, per varie ragioni, sono forzati a vivere lontani dalla loro terra d’origine e separati dagli affetti familiari........






GENDER. SPETTACOLI A SCUOLA? Quali rischi si possono correre?

Spettacoli gender a scuola: ecco perché sono dannosi

Secondo il pedagogista Furio Pesci, lo smarrimento dell’adolescente riguardo alla propria identità sessuale è una normale e frequente fase della crescita e va lasciata al proprio corso: il ragazzo arriverà comunque alla sua maturazione

di Luca Marcolivio

Maria Montessori sosteneva che la vera maturità di una persona si riscontra quando un giovane, arrivato alla fine dell’adolescenza, inizia a porsi come meta la costruzione di una famiglia. Dovrebbe essere anche questo uno degli obiettivi più o meno espliciti della scuola, laddove, però, di questi tempi, il sistema scolastico italiano sta proponendo progetti pedagogici che sembrano andare in tutt’altra direzione. A ribadirlo in un’intervista a ZENIT è Furio Pesci, professore associato di storia della pedagogia all’Università La Sapienza di Roma e responsabile dell’équipe scientifica dell’associazione Non si tocca la famiglia.
Il professor Pesci è recentemente intervenuto nel dibattito sullo spettacolo Fa’Afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro, in tour presso le scuole di tutta la penisola, che illustra la vicenda di un ragazzo gravemente incompreso dai suoi genitori e dai suoi compagni di scuola per le sue incertezze sulla propria identità sessuale. Lo spettacolo è stato incoraggiato dal MIUR nell’ambito della campagna contro l’omofobia e la discriminazione di genere.

Nel manifestare la sua contrarietà di pedagogista allo spettacolo, il professor Pesci è al fianco di molte associazioni senz’altro favorevoli alla condanna del “bullismo omofobico” ma non meno ferme sulla tutela della famiglia naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna e su un’educazione che valorizzi il più possibile le differenze sessuali.......