Madre Teresa di Calcutta
La santa dei poveri
nell’India di Gandhi
di Sandra Chistolini *
La celebrazione rigorosamente in
latino dava il senso di una distanza inusitata per la protagonista della
giornata dedicata non solo all’elevazione alla santità, ma quasi, ancor di più,
al ricordo di chi è stata Madre Teresa per il mondo intero. Una testimonianza
di misericordia incarnata nell’umano, una prova costante di carità, amore,
love, ahimsa, per i sofferenti, per i disperati, per i poveri. Ahimsa significa
“amore” nel senso pratico che Paolo attribuisce alla parola, “non violenza” in
sanscrito.
A Piazza San Pietro, domenica 4 settembre 2016 si sentiva
una sola voce correre in molte lingue: la santa dei poveri!
Ricordarla come una grande donna
non è sufficiente. È stata molto di più e quando ad un certo punto mi è
accaduto di sedermi in terra a parlare con una reporter venuta appositamente da
Calcutta per stare lì sotto il sole rovente a chiedere a tutti chi fosse per
lui, per lei Madre Teresa, non ho potuto fare a meno di citare la presenza di
Madre Teresa nei libri di scuola in Gran Bretagna, in Belgio, in Germania, in
Italia e non ho potuto fare a meno di prendere io, per pochi minuti, il posto
di chi pone le domande. In quell’attimo preciso ho pensato a Gandhi, a
Ramakrishna, a Vivekanda, a Aurobindo ed ho chiesto se queste Grandi Anime non
fossero in fondo unite in una stessa missione di salvezza dell’umanità. Ho
curiosato nella casa di Madre Teresa a Calcutta per sapere quanti stavano
seguendo da lontano: erano centinaia di migliaia e forse più.
L’esempio di Madre Teresa ha
raggiunto tutti, senza preoccupazione di limiti linguistici, culturali, etnici,
religiosi, sociali, politici. Ha attraversato le culture e i cuori e ciascuno
ha capito. Un messaggio rivolto all’umanità, ai cristiani, ai cattolici, e a
quelli senza religione: appunto, a tutti. Gli occhi della reporter hanno avuto
un lampo, quasi di sorpresa sul fatto che qui si menzionasse Gandhi. Ho
continuato a pensare ad alta voce. Di quale spiritualità parliamo? La
spiritualità è identica e Madre Teresa ha, come Gandhi, unito gli esseri umani
in uno slancio di bontà incredibilmente potente.
Più avanti un sacerdote indiano si è avvicinato al nostro
conversare ed ha aggiunto l’importanza della medesima radice divina. Il dialogo
non è finito perché, poco oltre, un altro esponente dell’India mi confessava,
con serietà e convinzione, quasi sottovoce, che se Gandhi fosse stato cattolico
sarebbe diventato santo. Per quel signore, riparato sotto l’ombrellino variopinto,
si trattava di una differenza rilevante, ed intanto mi additava i Sikh che
assistevano composti alla celebrazione e non mancava di far sapiente
riferimento a frasi e detti del Mahatma, offrendomi la sua email per
l’approfondimento del tema.
Ecco, questa era l’aria che si
respirava in un angolo della Piazza gremita a festa. Circa settecento persone
arrivate da quella Calcutta sempre in collegamento diretto con la tecnologia
prontamente predisposta. Senza contare la folla di chi, trovandosi a Roma per
altre ragioni, non ha voluto perdere l’esperienza e si è lasciato piacevolmente
avvolgere dall’atmosfera di fraternità.
Un stato interiore ed esteriore di preghiera, di ricordo, di
ricerca di quelle congiunzioni senza le quali è impossibile comprendere questi
profeti che hanno squarciato le tenebre dell’indifferenza. Papa Francesco ha
detto di andare e di portare nel cuore il sorriso di Madre Teresa. Questo Papa
capace di suscitare immagini semplici e dense, ha risvegliato il senso di una
misericordia fatta di accoglienza degli ultimi. Lei piccolina ed esile come un
fuscello, ha chiamato a sé i potenti della Terra perché vedessero la povertà e
capissero il valore dell’andare incontro all’altro. E Gandhi che con il digiuno
risvegliava le coscienze a quel senso etico senza il quale l’umanità si
perderebbe, aveva anche lui compreso bene la forza della verità, la Satyagraha.
Nella sua autobiografia Gandhi
parla dei suoi “esperimenti con la verità”, intendendo il cammino che lo porta
pian piano a trovare Dio nell’uomo, nelle cose, nella vita, nell’umanità
intera, a scegliere l’amore invece dell’odio, a considerare il punto di vista
del bene migliore, invece di quello del male peggiore. Si tratta di esperimenti
spirituali, anzi morali, a tutti accessibili, non esclusivi e di privilegio
solo per il Mahatma (asceta, maestro). Alcuni esperimenti sono più
comunicabili, altri restano nascosti nella relazione personale con Dio e non
possono essere espressi compiutamente semplicemente perché non ci si riesce, a
nulla vale l’introspezione forzata. Il resoconto di tali tentativi assume la
conformazione di dottrina, offrendo insegnamenti che si strutturano in norme
sul piano teorico e pratico. Il filo conduttore è la coerenza con l’idea del
giusto e la parallela adozione di comportamenti conformi a tale idea.
Gli esperimenti di Gandhi con la
verità sono una verifica continua dell’esperienza. Oggi si potrebbe accettare
quello che domani ci si potrebbe trovare a rifiutare perché non più
soddisfacente per il cuore e per la ragione. Ma finché un principio corrisponde
ad una seria opera di introspezione, di autocritica, alla ricerca della verità
parziale, se non proprio assoluta, cioè di Dio, allora quel principio va
degnamente rispettato. Lungi dal voler sembrare convincente Gandhi, ormai
anziano, continuava a crescere interiormente, mai pensando che tale movimento
potesse arrestarsi, neppure la morte l’avrebbe mai bandito dal vissuto della
persona umana. Obbedire a Dio, alla sua chiamata era la missione della sua
vita, perseverante nella realizzazione di Dio da parte dell’uomo con tutto
quello che fosse possibile, soprattutto con il servizio agli altri, ma anche,
con richiamo francescano, al resto del creato. Sì, Madre Teresa ha forse
sentito Gandhi e ambedue hanno cercato di comunicare una religione universale
per l’umanità nuova. Nelle aule scolastiche in India le due immagini sono
esposte insieme, bambini ed adolescenti imparano a conoscere e a vivere gli
insegnamenti ricevuti, saldando gli opposti nell’unità fondamentale.
Risuonano sullo sfondo le parole
di Paolo VI che nel viaggio in India del 1964 diceva di andare a “conoscere più
da vicino un popolo immenso che tanto stimiamo per la sua intima religiosità,
per la sua innata nobiltà, per la sua civiltà artistica e culturale, che
raggiunge le vette più alte dello spirito umano”.
Anche i gruppi di albanesi
presenti a Piazza San Pietro, appositamente giunti, perfino dal Canada e dagli
Stati Uniti, hanno avuto un sentimento di riscatto “...noi siamo buoni!”, come
se stare dalla parte di Madre Teresa aiuti ad essere partecipi dello stesso
progetto universale di rinascita e a dare una identità credibile a chi avverte,
per varie ragioni, di averne bisogno e di doversi forse giustificare.
La canonizzazione è stata per
tutti un momento di conferma della rivoluzione spirituale che l’India, maestra
sapiente, sa ben accogliere continuando la tradizione antica delle scritture
sacre, Veda, Upanishad, Bhagavad Gita, e incarnando oggi nella misericordia la
buona novella di Madre Teresa.
Sandra
Chistolini *
*Docente di “Pedagogia Interculturale della
Cittadinanza” – Università Roma Tre