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giovedì 29 settembre 2016

"NON TEMERE" - TEMA DELLA GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI.

“Non temere, perché sono con te” (Is 43,5). Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo
         
     Anestetizzare la coscienza o farsi prendere dalla disperazione sono due possibili malattie alle quali può condurre l’attuale sistema comunicativo.
       È possibile che la coscienza si cauterizzi, come ricorda Papa Francesco nella Laudato si’, a causa del fatto che spesso professionisti, opinionisti e mezzi di comunicazione operando in aree urbane distanti dai luoghi delle povertà e dei bisogni, vivono una distanza fisica che spesso conduce a ignorare la complessità dei drammi degli uomini e delle donne.
   È possibile la disperazione, invece, quando la comunicazione viene enfatizzata e spettacolarizzata, diventando talvolta vera e propria strategia di costruzione di pericoli vicini e paure incombenti.
      Ma in mezzo a tale frastuono si ode un sussurro: “Non temere, perché sono con te.” Nel suo Figlio, Dio si è reso solidale con ogni situazione umana e ha rivelato che non siamo soli, perché abbiamo un Padre che non dimentica i propri figli. Chi vive unito a Cristo, scopre che anche le tenebre e la morte diventano, per chiunque lo voglia, luogo di comunione con la Luce e la Vita. 
       In ogni avvenimento cerca di scoprire cosa succede tra Dio e l’umanità, per riconoscere come Egli stesso, attraverso lo scenario drammatico di questo mondo, stia scrivendo la storia di salvezza.     Noi cristiani abbiamo una “buona notizia” da raccontare, perché contempliamo fiduciosi l’orizzonte del Regno. 
      Il Tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali è un invito a raccontare la storia del mondo e le storie degli uomini e delle donne, secondo la logica della “buona notizia” che ricorda che Dio mai rinuncia ad essere Padre, in nessuna situazione e rispetto ad ogni uomo. Impariamo a comunicare fiducia e speranza per la storia.

martedì 20 settembre 2016

ISTRUZIONE E RELIGIONE NELLA SCUOLA ITALIANA

Istruzione e religione nella scuola italiana,
un quadro desolante
Persino autori come Dante e Manzoni vengono presentati appiattiti sulle questioni espressive e stilistiche, mentre vengono ignorati gli autori contemporanei che si misurano con la fede

L’anno scolastico è ormai avviato in tutte le regioni d’Italia e questo è forse il momento più opportuno per svolgere la riflessione che ora proponiamo. Ci si interroga spesso su quanto sia adeguato il nostro sistema scolastico nella preparazione degli alunni sia in ambito umanistico che scientifico. Più rara è la riflessione sui contenuti religiosi che la scuola, sia pur da un punto di vista laico, offre. Riflessione che è comunque ineludibile, visto che il cristianesimo, senza ignorare gli apporti di altri fattori, costituisce l’alfabeto della cultura italiana ed europea.
Non vogliamo parlare dell’ora di religione, ma del peso che la religione ha nelle altre discipline. Se si guarda con obiettività ai contenuti religiosi presenti in maniera trasversale nelle diverse discipline, il quadro è piuttosto desolante. Infatti, il clima culturale, non particolarmente favorevole al cristianesimo, non aiuta i ragazzi a formarsi un’idea completa su problematiche di tipo religioso.
Proviamo ad addentrarci nello specifico. Si potrebbe partire dall’ambito storico. Gli alunni italiani studiano abbastanza bene il Concilio di Trento e ciò che è legato alla Controriforma, ma, al termine del loro percorso scolastico, molto difficilmente avranno sentito anche solo nominare il Concilio Vaticano II. Ciò inevitabilmente porta ad avere una visione della Chiesa che non corrisponde alla realtà di oggi. Per fortuna, invece, …..
Leggi:
https://it.zenit.org/articles/istruzione-e-religione-nella-scuola-italiana-un-quadro-desolante/



domenica 18 settembre 2016

PAPA FRANCESCO: INIZIAZIONE e ACCOMPAGNAMENTO


" ...... Oggi si chiede troppo frutto da alberi che non sono stati abbastanza coltivati. 

Si è perso il senso dell’iniziazione, e tuttavia nelle cose veramente essenziali della vita si accede soltanto mediante l’iniziazione.

 Pensate all’emergenza educativa, alla trasmissione sia dei contenuti sia dei valori, pensate all’analfabetismo affettivo, ai percorsi vocazionali, al discernimento nelle famiglie, alla ricerca della pace: tutto ciò richiede iniziazione e percorsi guidati, con perseveranza, pazienza e costanza, che sono i segni che distinguono il buon pastore dal mercenario......"

Papa Francesco, 16 settembre 2016



???? In riferimento a ciò che dice il Santo Padre, che cosa è auspicabile attuare nei percorsi educativi ? 
Scriveteci per favorire la riflessione, il dibattito, la progettualità ............in famiglia, a scuola, nelle associazioni .......

venerdì 16 settembre 2016

SIRIA - BAMBINI AL MACELLO

I bambini suicidi di Madaya,
 il tributo più osceno della guerra in Siria

Madaya è un villaggio siriano sulle montagne a confine con il Libano, assediato da mesi dell'esercito di Damasco. Qui, la popolazione, costretta alla fame dagli oppressori, mangia foglie e i fiori coltivati nei vasi di casa. Qui, da tempo, l'orrore, quello che si presenta nella sua veste malefica, che fa spavento e ribrezzo, va in scena regolarmente, ogni giorno, a tutte le ore, in qualsiasi momento.
 Si tratta dell'orrore più terreno, quello causato dagli uomini ai suoi simili, perpetrato da una civiltà all'altra, da una cultura all'altra, da una etnia all'altra; quello che dopo Auschwitz non si pensava potesse riprodursi e che invece si manifesta nella sua spirale di orribile verità, ancora una volta scarsamente raccontata o tenuta in disparte, come se le dimensioni di nefandezza che lo distinguono fossero troppo grandi per essere contenute tra le righe dei giornali e gli spazi dei tg, sensibili ai concorsi nazionali di bellezza e ai gossip della politica new age, un po' meno alle problematiche che inchiodano l'umanità alle sue responsabilità per come va il mondo.

Eppure, i medici di Madaya riferiscono di bambini e adolescenti che tentano di togliersi la vita, nel gesto disperato di porre fine a una sofferenza che perdura da …….

mercoledì 14 settembre 2016

PADRE PINO PUGLISI, UN MARTIRE DEI NOSTRI GIORNI



IL 15 SETTEMBRE DEL 1993

 VENIVA UCCISO DALLA MAFIA 

PADRE PINO PUGLISI.

Il 15 Settembre del 1993 veniva ucciso dalla mafia Padre Pino Puglisi.
Papa Benedetto XVI aveva riconosciuto il suo assassinio un martirio, ovvero “in odio alla fede”, per tale motivo Don Pino il 25 Maggio del 2013 è stato proclamato beato.
Di seguito un ricordo della sua figura:
(Vincenzo Lumia) «Tre P (Padre Pino Puglisi), così lo chiamavano i suoi ragazzi, viene ucciso per ordine della mafia la sera del 15 settembre del 1993, proprio il giorno del suo 56° compleanno.
Perché ad un uomo veramente buono, dolce, sereno viene riservata una fine così spietata, utilizzata per colpire i più pericolosi e odiati nemici? 
Chi era Don Pino e che cosa faceva per meritare una condanna ed una esecuzione “esemplare”, secondo il più classico dei copioni mafiosi?
Padre Puglisi era un sacerdote che della sua missione presbiteriale aveva esaltato la dimensione educativa a tal punto da aver “osato” innescare, in chi incontrava e nei ambienti dove operava, autentici processi di cambiamento tanto sul piano esistenziale e religioso, che su quello sociale, culturale e politico.
Innanzitutto con il suo modo di essere, di comunicare, di accogliere, di entrare in relazione… e poi con la sua capacità progettuale ed operativa: Don Pino sapeva coniugare – immediatamente, naturalmente – la mitezza e la generosità con la chiarezza delle parole e la fermezza dei comportamenti. 
Aveva una vita spirituale così intensa da potervi attingere le risorse e le energie indispensabili per raccogliere con amore, determinazione e coraggio le sfide delle tante miserie morali e materiali che costantemente gli si presentavano....

martedì 13 settembre 2016

CONOSCENZA E MISERICORDIA - Missione per le Università - Pubblicata LA CARTA DI ROMA 2016

                                 “Conoscenza, sapienza e formazione”



La Sessione “Scienze educative” del Simposio Internazionale dei Docenti Universitari è stata una significativa occasione per riflettere interdisciplinarmente sui temi della Conoscenza, sapienza e formazione, negli anni delle razionalità strumentale, dello sviluppo tecnologico, mass mediatico e della globalizzazione, nei quali tali questioni sono diventate particolarmente complesse. Infatti, l’educazione sembra misurarsi con aspetti singolari ed inediti rispetto anche al passato prossimo, a cominciare da un’apertura degli adolescenti alla contingenza, alla molteplicità di esperienze e di nuove relazioni sociali rese possibili dai new media. In sostanza, il giovane tende a formarsi e a costruire la propria identità all’insegna di un “mosaico di comportamenti”, volgendo a proprio favore le nuove flessibilità esperienziali e opportunità comunicative: di contro, però, così si produce una “socializzazione leggera” e una certa difficoltà a definire un senso unitario della propria biografia. A maggior ragione, l’idea di formazione, nella contemporaneità, non dovrebbe essere separata da quelle di conoscenza e di sapienza, perché non si può dare rilievo nel processo educativo solo al trasferimento di nozioni, di dati, di norme e di una “fredda” istruzione.
Nell’epoca postmoderna, l’Università non può essere ancorata a una visione riduzionistica, utilitaristica, della conoscenza e limitarsi soltanto ad una logica formale, ma dovrebbe essere lo spazio informativo e formativo in cui porsi la domanda “sulla verità dell’uomo”, sul rapporto tra idealità e utilità, tra senso generale del sapere e specializzazione, nel quale perseguire, come ha affermato Papa Francesco, “la sapienza nel senso più profondo del termine”.
         A conclusione dei lavori è stato pubblicato l'Instrumentum Laboris: 
                
  LA CARTA DI ROMA 2016



lunedì 12 settembre 2016

SCUOLA: LA RIVINCITA DELLA PENNA

Nuove frontiere dell’apprendimento:
 la rivincita della penna

     Una recente ricerca condotta da due noti neuroscienziati norvegesi, Audrey van der Meer e Ruud van der Weel del Norwegian University of Science and Technology (NTNU) di Trondheim, i cui risultati sono stati resi noti due mesi fa, ha confermato ciò che è stato rilevato anche da altri ricercatori, psicologi cognitivi e pedagogisti sperimentali tra i quali, in Italia, Benedetto Vertecchi (di cui ogni mese potete seguire la rubrica “La parola all’esperto” sul mensile cartaceo Tuttoscuola, presto disponibile anche in formato digitale): scrivere a mano con la penna, anziché battere i tasti di un computer, migliora la capacità di apprendimento.
      A questa conclusione i due scienziati sono pervenuti dopo aver fatto indossare per due mesi a un gruppo di venti studenti uno speciale casco attrezzato con oltre 250 sensori idonei a rilevare i loro segnali cerebrali mentre prendevano appunti: per metà tempo a mano con una penna e per metà servendosi della tastiera di un computer.
      È risultato che a seconda della modalità di scrittura venivano utilizzate parti diverse del cervello, e che l’uso della penna attivava aree del cervello più profonde perché comportava un più elevato grado di selezione ed elaborazione delle informazioni. Di qui il consiglio, dato alle scuole di tutto il mondo, a tornare alla penna e alla scrittura a mano.
    Prendendo atto di quella che sembra ormai una consolidata evidenza scientifica, la Microsoft, azienda leader nel campo dei computer, ha predisposto una speciale penna digitale con la quale gli studenti potranno sommare ai tanti vantaggi dati dall’uso di computer sempre più evoluti e performanti anche quello di sollecitare e sfruttare meglio i loro potenziali di apprendimento. La penna, insomma, si è presa una rivincita, anche se per battere la tastiera si è fatta… digitale.

da TUTTOSCUOLA


UNA CHIESA CHE SI RINNOVA

NON LOGORATE 

PAPA FRANCESCO!





Don Giulio Cirignano *






Qualcuno ritiene di notare segni di stanchezza in Papa Francesco, un certo logorio del suo smalto originario. Ma queste, probabilmente, sono solo labili impressioni provocate per lo più dalla costatazione di quanto sia complesso il compito che si è assunto, per Grazia di Dio e impulso dello Spirito. Sono impaurite deduzioni, non costatazioni di realtà. In questi anni del suo pontificato Papa Bergoglio ha esibito  energie spirituali ed umane assolutamente straordinarie. Si rassegnino i mesti custodi del passato che amano farsi passare per inossidabili difensori della tradizione. Sono solo anacronistici abitanti di un mondo che non c’è più.
Dopo l’appassionato discorso alla Chiesa italiana durante il convegno tenuto a Firenze potevamo sperare in un maggiore riconoscimento da parte di qualcuno della propria estraneità. Non è successo. Potevamo sperarlo, ma non è successo. Sia  chiaro: l’invito alla conversione riguardava tutti e nessuno può sentirsene esentato. Ma chi, in questo momento ha, nelle Chiesa, un più alto livello di responsabilità non può non sentirsi fortemente provocato dallo “stile Bergoglio”.
D’altra parte non possiamo aspettarci dal Papa interventi di natura autoritaria. Non sono, per fortuna, nelle sue corde. Non li compirà: sarebbero controproducenti. Dobbiamo essergliene grati.
Papa Francesco, a nostro conforto, ha già seminato una quantità impressionante di segni di cambiamento. Non sarà più possibile tornare indietro. Sono sotto gli occhi di tutti ed è inutile richiamarli. Può essere più importante, proprio per mettere in sicurezza quanto ha già detto e fatto, indicare alcune innovazioni di carattere strutturale che non sembra più possibile rinviare. Possiamo farne rapida elencazione, attenendoci a quelle che riteniamo più urgenti.
Nessuno può pensare di insegnare a Papa Bergoglio a fare il Papa. Lo sa fare benissimo da solo. La indicazione delle più necessarie innovazioni strutturali non serve al Papa. Serve a quanti non si sono accorti che il tempo passa per tutto, anche per le più consolidate convinzioni, soprattutto in un campo così complesso e delicato come quello religioso.......

Leggi;  UNA CHIESA CHE SI RINNOVA

domenica 11 settembre 2016

BENVENUTI A SCUOLA!

A scuola per imparare a vivere
Gli insegnanti che fanno la differenza sono quello che credono negli allievi e non si fanno intrappolare dalla burocrazia

di Vincenzo Bertolone

«Lo studio è la migliore previdenza per la vecchiaia». La saggezza di Aristotele è sempre lì, salda nei secoli, a ricordare l’importanza dell’istruzione. Ancor più in questi giorni in cui le scuole riaprono i battenti. Un nuovo anno scolastico comincia, col suo carico di entusiasmo e aspettative: si aprono orizzonti, lo spirito gode nella bellezza, il cuore freme nella ricerca, la mente si esalta nella scoperta della verità per acquisire quel tesoretto di competenze e conoscenze da utilizzare nel lavoro e, soprattutto, nella vita.

Qualcosa di simile era suggerito dal cardinale e teologo John Henry Newman, quando sollecitava ad abbandonare ogni concezione commerciale del sapere per farne pure «un fine al quale fermarsi e da perseguire per se stesso». Insomma, un salto verso un mondo di infinite conoscenze, colorate, gentili e gioiose: un sapere che passa – o per lo meno, dovrebbe passare – attraverso il gioco, l’interazione, la narrazione, la comunicazione, l’attitudine alla curiosità e all’immaginazione.

Sono questi i contorni di una scuola che ancora non c’è, o forse c’è solo in parte: moderna sì, ma saldamente ancorata alle tradizioni. Una scuola che sa coniugare lavagne e tablet, tabelline e web, cartelloni disegnati a mano e registri elettronici, filastrocche e coding, per offrire a bambini e giovani ciò che essi sperano di trovare varcando il portone: il futuro, la felicità. Parola complicata, ambita, visionaria e non misurabile, men che meno monetizzabile, ma essenziale per un ambiente educativo caldo stimolante ed efficiente, ricettivo ed accogliente.

Per riuscire in ciò, è indispensabile trovare in cattedra maestri di vita, insegnanti capaci di parlare questo linguaggio. Uomini e donne motivati e attrezzati per coinvolgere e trasmettere nozioni, valori, metodi di studio e il gusto per la cultura. Un requisito necessario: sono gli insegnanti quelli che fanno la differenza, quelli che i ragazzi seguono, quelli a cui si legano, si affezionano. Quelli di cui si fidano: persone, e sono tante, che considerano l’insegnamento come vocazione e non un ripiego. Che non si sono fatte intrappolare dalla burocrazia, dai disagi, dai tagli e dai frammenti di riforma. Che credono nella scuola perché credono negli studenti.

È in loro che ogni speranza è riposta: l’allievo presta più attenzione a quello che un insegnante fa, rispetto a ciò che dice. Ecco perché devono essere sempre ben presenti la consapevolezza, la testimonianza e la coscienza che l’insegnamento spesso abbonda in astrattezza, teoricità, indeterminatezza e che per questo occorre uscire dal guscio protettivo e confrontarsi col mondo, i suoi valori ed i suoi scandali.

In questo inizio di settembre in cui tra studenti, famiglie e professori ci si rimette in moto, ognuno con il proprio carico di ansie, timori e buoni auspici, non sarà tempo perso, allora, fermarsi un attimo a guardare negli zaini e tra i registri per cominciare con fiducia e piena consapevolezza il compito delicato ed essenziale che attende tutti. Il mondo, ci ricorda il Talmud, «può essere salvato solo dal soffio della scuola».



mercoledì 7 settembre 2016

MADRE TERESA E GANDHI

Madre Teresa di Calcutta
La santa dei poveri nell’India di Gandhi
di Sandra Chistolini *

La celebrazione rigorosamente in latino dava il senso di una distanza inusitata per la protagonista della giornata dedicata non solo all’elevazione alla santità, ma quasi, ancor di più, al ricordo di chi è stata Madre Teresa per il mondo intero. Una testimonianza di misericordia incarnata nell’umano, una prova costante di carità, amore, love, ahimsa, per i sofferenti, per i disperati, per i poveri. Ahimsa significa “amore” nel senso pratico che Paolo attribuisce alla parola, “non violenza” in sanscrito.
         A Piazza San Pietro, domenica 4 settembre 2016 si sentiva una sola voce correre in molte lingue: la santa dei poveri!
Ricordarla come una grande donna non è sufficiente. È stata molto di più e quando ad un certo punto mi è accaduto di sedermi in terra a parlare con una reporter venuta appositamente da Calcutta per stare lì sotto il sole rovente a chiedere a tutti chi fosse per lui, per lei Madre Teresa, non ho potuto fare a meno di citare la presenza di Madre Teresa nei libri di scuola in Gran Bretagna, in Belgio, in Germania, in Italia e non ho potuto fare a meno di prendere io, per pochi minuti, il posto di chi pone le domande. In quell’attimo preciso ho pensato a Gandhi, a Ramakrishna, a Vivekanda, a Aurobindo ed ho chiesto se queste Grandi Anime non fossero in fondo unite in una stessa missione di salvezza dell’umanità. Ho curiosato nella casa di Madre Teresa a Calcutta per sapere quanti stavano seguendo da lontano: erano centinaia di migliaia e forse più.
L’esempio di Madre Teresa ha raggiunto tutti, senza preoccupazione di limiti linguistici, culturali, etnici, religiosi, sociali, politici. Ha attraversato le culture e i cuori e ciascuno ha capito. Un messaggio rivolto all’umanità, ai cristiani, ai cattolici, e a quelli senza religione: appunto, a tutti. Gli occhi della reporter hanno avuto un lampo, quasi di sorpresa sul fatto che qui si menzionasse Gandhi. Ho continuato a pensare ad alta voce. Di quale spiritualità parliamo? La spiritualità è identica e Madre Teresa ha, come Gandhi, unito gli esseri umani in uno slancio di bontà incredibilmente potente.
          Più avanti un sacerdote indiano si è avvicinato al nostro conversare ed ha aggiunto l’importanza della medesima radice divina. Il dialogo non è finito perché, poco oltre, un altro esponente dell’India mi confessava, con serietà e convinzione, quasi sottovoce, che se Gandhi fosse stato cattolico sarebbe diventato santo. Per quel signore, riparato sotto l’ombrellino variopinto, si trattava di una differenza rilevante, ed intanto mi additava i Sikh che assistevano composti alla celebrazione e non mancava di far sapiente riferimento a frasi e detti del Mahatma, offrendomi la sua email per l’approfondimento del tema.
Ecco, questa era l’aria che si respirava in un angolo della Piazza gremita a festa. Circa settecento persone arrivate da quella Calcutta sempre in collegamento diretto con la tecnologia prontamente predisposta. Senza contare la folla di chi, trovandosi a Roma per altre ragioni, non ha voluto perdere l’esperienza e si è lasciato piacevolmente avvolgere dall’atmosfera di fraternità.
Un stato interiore ed esteriore di preghiera, di ricordo, di ricerca di quelle congiunzioni senza le quali è impossibile comprendere questi profeti che hanno squarciato le tenebre dell’indifferenza. Papa Francesco ha detto di andare e di portare nel cuore il sorriso di Madre Teresa. Questo Papa capace di suscitare immagini semplici e dense, ha risvegliato il senso di una misericordia fatta di accoglienza degli ultimi. Lei piccolina ed esile come un fuscello, ha chiamato a sé i potenti della Terra perché vedessero la povertà e capissero il valore dell’andare incontro all’altro. E Gandhi che con il digiuno risvegliava le coscienze a quel senso etico senza il quale l’umanità si perderebbe, aveva anche lui compreso bene la forza della verità, la Satyagraha.
Nella sua autobiografia Gandhi parla dei suoi “esperimenti con la verità”, intendendo il cammino che lo porta pian piano a trovare Dio nell’uomo, nelle cose, nella vita, nell’umanità intera, a scegliere l’amore invece dell’odio, a considerare il punto di vista del bene migliore, invece di quello del male peggiore. Si tratta di esperimenti spirituali, anzi morali, a tutti accessibili, non esclusivi e di privilegio solo per il Mahatma (asceta, maestro). Alcuni esperimenti sono più comunicabili, altri restano nascosti nella relazione personale con Dio e non possono essere espressi compiutamente semplicemente perché non ci si riesce, a nulla vale l’introspezione forzata. Il resoconto di tali tentativi assume la conformazione di dottrina, offrendo insegnamenti che si strutturano in norme sul piano teorico e pratico. Il filo conduttore è la coerenza con l’idea del giusto e la parallela adozione di comportamenti conformi a tale idea.
Gli esperimenti di Gandhi con la verità sono una verifica continua dell’esperienza. Oggi si potrebbe accettare quello che domani ci si potrebbe trovare a rifiutare perché non più soddisfacente per il cuore e per la ragione. Ma finché un principio corrisponde ad una seria opera di introspezione, di autocritica, alla ricerca della verità parziale, se non proprio assoluta, cioè di Dio, allora quel principio va degnamente rispettato. Lungi dal voler sembrare convincente Gandhi, ormai anziano, continuava a crescere interiormente, mai pensando che tale movimento potesse arrestarsi, neppure la morte l’avrebbe mai bandito dal vissuto della persona umana. Obbedire a Dio, alla sua chiamata era la missione della sua vita, perseverante nella realizzazione di Dio da parte dell’uomo con tutto quello che fosse possibile, soprattutto con il servizio agli altri, ma anche, con richiamo francescano, al resto del creato. Sì, Madre Teresa ha forse sentito Gandhi e ambedue hanno cercato di comunicare una religione universale per l’umanità nuova. Nelle aule scolastiche in India le due immagini sono esposte insieme, bambini ed adolescenti imparano a conoscere e a vivere gli insegnamenti ricevuti, saldando gli opposti nell’unità fondamentale.
Risuonano sullo sfondo le parole di Paolo VI che nel viaggio in India del 1964 diceva di andare a “conoscere più da vicino un popolo immenso che tanto stimiamo per la sua intima religiosità, per la sua innata nobiltà, per la sua civiltà artistica e culturale, che raggiunge le vette più alte dello spirito umano”.
Anche i gruppi di albanesi presenti a Piazza San Pietro, appositamente giunti, perfino dal Canada e dagli Stati Uniti, hanno avuto un sentimento di riscatto “...noi siamo buoni!”, come se stare dalla parte di Madre Teresa aiuti ad essere partecipi dello stesso progetto universale di rinascita e a dare una identità credibile a chi avverte, per varie ragioni, di averne bisogno e di doversi forse giustificare.
La canonizzazione è stata per tutti un momento di conferma della rivoluzione spirituale che l’India, maestra sapiente, sa ben accogliere continuando la tradizione antica delle scritture sacre, Veda, Upanishad, Bhagavad Gita, e incarnando oggi nella misericordia la buona novella di Madre Teresa.
                                                                                                                                                                                                                                                                                              Sandra Chistolini *
*Docente  di “Pedagogia Interculturale della Cittadinanza” – Università Roma Tre



giovedì 1 settembre 2016

LA CURA DEL CREATO - Messaggio di papa Francesco

MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ
PAPA FRANCESCO
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LA CURA DEL CREATO
1 SETTEMBRE 2016

Usiamo misericordia verso la nostra casa comune

      In unione con i fratelli e le sorelle ortodossi, e con l’adesione di altre Chiese e Comunità cristiane, la Chiesa Cattolica celebra oggi l’annuale “Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato”. La ricorrenza intende offrire «ai singoli credenti ed alle comunità la preziosa opportunità di rinnovare la personale adesione alla propria vocazione di custodi del creato, elevando a Dio il ringraziamento per l’opera meravigliosa che Egli ha affidato alla nostra cura, invocando il suo aiuto per la protezione del creato e la sua misericordia per i peccati commessi contro il mondo in cui viviamo».[1]
      È molto incoraggiante che la preoccupazione per il futuro del nostro pianeta sia condivisa dalle Chiese e dalle Comunità cristiane insieme ad altre religioni. Infatti, negli ultimi anni, molte iniziative sono state intraprese da autorità religiose e organizzazioni per sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica circa i pericoli dello sfruttamento irresponsabile del pianeta. Vorrei qui menzionare il Patriarca Bartolomeo e il suo predecessore Dimitrios, che per molti anni si sono pronunciati costantemente contro il peccato di procurare danni al creato, attirando l’attenzione sulla crisi morale e spirituale che sta alla base dei problemi ambientali e del degrado. Rispondendo alla crescente attenzione per l’integrità del creato, la Terza Assemblea Ecumenica Europea (Sibiu, 2007) proponeva di celebrare un “Tempo per il Creato” della durata di cinque settimane tra il 1° settembre (memoria ortodossa della divina creazione) e il 4 ottobre (memoria di Francesco di Assisi nella Chiesa Cattolica e in alcune altre tradizioni occidentali). 
    Da quel momento tale iniziativa, con l’appoggio del Consiglio Mondiale delle Chiese, ha ispirato molte attività ecumeniche in diverse parti del mondo. Dev’essere pure motivo di gioia il fatto che in tutto il mondo iniziative simili, che promuovono la giustizia ambientale, la sollecitudine verso i poveri e l’impegno responsabile nei confronti della società, stanno facendo incontrare persone, soprattutto giovani, di diversi contesti religiosi. Cristiani e non, persone di fede e di buona volontà, dobbiamo essere uniti nel dimostrare misericordia verso la nostra casa comune – la terra – e valorizzare pienamente il mondo in cui viviamo come luogo di condivisione e di comunione.