A scuola per imparare a vivere
Gli insegnanti che fanno la differenza sono
quello che credono negli allievi e non si fanno intrappolare dalla burocrazia
di Vincenzo Bertolone
«Lo studio è la migliore previdenza per la vecchiaia». La
saggezza di Aristotele è sempre lì, salda nei secoli, a ricordare l’importanza
dell’istruzione. Ancor più in questi giorni in cui le scuole riaprono i
battenti. Un nuovo anno scolastico comincia, col suo carico di entusiasmo e
aspettative: si aprono orizzonti, lo spirito gode nella bellezza, il cuore
freme nella ricerca, la mente si esalta nella scoperta della verità per
acquisire quel tesoretto di competenze e conoscenze da utilizzare nel lavoro e,
soprattutto, nella vita.
Qualcosa di simile era suggerito dal cardinale e teologo
John Henry Newman, quando sollecitava ad abbandonare ogni concezione
commerciale del sapere per farne pure «un fine al quale fermarsi e da
perseguire per se stesso». Insomma, un salto verso un mondo di infinite
conoscenze, colorate, gentili e gioiose: un sapere che passa – o per lo meno,
dovrebbe passare – attraverso il gioco, l’interazione, la narrazione, la
comunicazione, l’attitudine alla curiosità e all’immaginazione.
Sono questi i contorni di una scuola che ancora non c’è, o
forse c’è solo in parte: moderna sì, ma saldamente ancorata alle tradizioni.
Una scuola che sa coniugare lavagne e tablet, tabelline e web, cartelloni
disegnati a mano e registri elettronici, filastrocche e coding, per offrire a
bambini e giovani ciò che essi sperano di trovare varcando il portone: il
futuro, la felicità. Parola complicata, ambita, visionaria e non misurabile,
men che meno monetizzabile, ma essenziale per un ambiente educativo caldo
stimolante ed efficiente, ricettivo ed accogliente.
Per riuscire in ciò, è indispensabile trovare in cattedra
maestri di vita, insegnanti capaci di parlare questo linguaggio. Uomini e donne
motivati e attrezzati per coinvolgere e trasmettere nozioni, valori, metodi di
studio e il gusto per la cultura. Un requisito necessario: sono gli insegnanti
quelli che fanno la differenza, quelli che i ragazzi seguono, quelli a cui si
legano, si affezionano. Quelli di cui si fidano: persone, e sono tante, che
considerano l’insegnamento come vocazione e non un ripiego. Che non si sono
fatte intrappolare dalla burocrazia, dai disagi, dai tagli e dai frammenti di
riforma. Che credono nella scuola perché credono negli studenti.
È in loro che ogni speranza è riposta: l’allievo presta più
attenzione a quello che un insegnante fa, rispetto a ciò che dice. Ecco perché
devono essere sempre ben presenti la consapevolezza, la testimonianza e la
coscienza che l’insegnamento spesso abbonda in astrattezza, teoricità,
indeterminatezza e che per questo occorre uscire dal guscio protettivo e
confrontarsi col mondo, i suoi valori ed i suoi scandali.
In questo inizio di settembre in cui tra studenti, famiglie
e professori ci si rimette in moto, ognuno con il proprio carico di ansie,
timori e buoni auspici, non sarà tempo perso, allora, fermarsi un attimo a
guardare negli zaini e tra i registri per cominciare con fiducia e piena
consapevolezza il compito delicato ed essenziale che attende tutti. Il mondo, ci ricorda il Talmud, «può essere
salvato solo dal soffio della scuola».
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