la violenza
dei ragazzi perbene
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di Luciano Moia
Dopo
il caso di corso Como, in cui è stato accoltellato uno studente, parla il
procuratore minorile di Milano, Luca Villa: «Guardate ai dati delle aggressioni
fisiche che alcuni adolescenti infliggono agli stessi genitori: le denunce
erano 5 o 6 qualche anno fa, oggi sono 106 all'anno.
E
sono la spia di possibili reati futuri, a danno di donne e coetanei».
Ma
può capitare che un ragazzo che studia e frequenta l’oratorio, che non ha mai
dato problemi in famiglia, che appare equilibrato e addirittura educato, a un
certo punto si lasci invischiare da un gruppo di coetanei balordi, prenda
l’abitudine di uscire di casa con il coltello in tasca e finisca per essere
protagonista di violenze assurde e immotivate, come quelle capitate qualche
giorno fa in corso Como, a Milano?
Episodi
che, visti in superficie, sembrano creati apposti per suscitare reazioni
stupite e quasi incredule: ma come?
Un
ragazzo così a modo, un figlio di famiglie perbene.
Impossibile.
No, purtroppo.
Sono
situazioni che si verificano sempre più spesso e su cui occorre riflettere.
Luca
Villa, magistrato di lungo corso, vasta esperienza con i giovanissimi più
fragili, procuratore minorile a Milano, scuote la testa con amarezza.
Se
fosse un politico, uno di quelli abituati a ributtare la palla nel capo
avversario e a lavarsene le mani, risponderebbe più o meno così: «Ma come
facciamo noi magistrati a raddrizzare quello che né la società, né la famiglia,
né la scuola sembrano ormai non riuscire più a controllare».
E
in buona parte avrebbe ragione.
Ma
per fortuna non è un politico di quella pasta e lui le mani se le sporca tutti
i giorni, ascoltando ragazzi e genitori, raccogliendo la loro sofferenza,
cercando nuove soluzioni a problemi sempre più complessi.
È
un magistrato, certo, ma anche un padre di tre figli.
Conosce
fin troppo bene il mondo che abbraccia e talvolta confonde, disorienta i
giovanissimi.
È
convinto che solo un rinnovato e originale impegno educativo possa servire per
sanare ferite che la repressione non riuscirà mai a fare.
E
poi ci sono alcune derive, insospettabili solo fino a pochi anni fa, che lo
preoccupano in modo particolare.
Mercoledì,
Giornata mondiale contro le violenze sulle donne, ci sono stati grandi
dibattiti anche sui maltrattamenti in famiglia, si è riparlato di maschilismo e
di patriarcato.
Tutto
giusto, ma Villa invita a considerare anche qualche altro dato, a cominciare
dall’abbassamento dell’età degli autori di reato.
E,
in queste violenze familiari, ci sono anche i maltrattamenti che i figli
adolescenti infliggono ai genitori.
Violenze
verbali ma anche e soprattutto fisiche, percosse, danneggiamenti gravi che
costringono madri e padri, di fronte all’impossibilità di arginare diversamente
la furia dei loro ragazzi, a far intervenire la polizia.
«Fino
a qualche anno fa registravamo 5 o 6 denunce l’anno per casi del genere.
Nel
2024 siamo arrivate a 106 denunce solo a Milano.
E
parliamo di famiglie che, secondo un certo modo di dire, definiamo “normali”,
famiglie italiane ma anche immigrate di seconda generazione, perfettamente
integrate, con una casa e un lavoro».
La
violenza è diventata uno stile di vita che i ragazzi scelgono per una sorta di
adeguamento al peggio.
I
maltrattamenti che oggi infliggono ai genitori domani diventeranno abituali
verso i figli o le compagne.
La
ragione di questa spirale che appare sempre più diffusa?
Il
responsabile della procura minorile di Milano non ha dubbi. «Il fattore
scatenante – spiega – è l’isolamento relazionale in cui piombano questi
ragazzi.
Il
meccanismo d’innesco può essere una canna a cui segue il nirvana dei
videogiochi e dei social in cui si immergono troppo spesso fino a notte fonda.
In
questa realtà parallela i risultati scolastici peggiorano, si medita il ritiro
e si scatenano le liti familiari.
Le
relazioni si deteriorano, cominciano i maltrattamenti, la violenza diventa
linguaggio abituale».
In
questo cortocircuito relazionale, in cui troppo spesso le reazioni di madri e
padri sembrano contrassegnate da profondo analfabetismo affettivo, si finisce
inconsapevolmente per consegnare i figli alla logica della violenza.
Escono
di casa con taglierini, lame a serramanico, ma anche con coltelli da cucina.
E
le ragazze si adeguano.
Lo
spray al peperoncino che tutte ormai hanno in borsetta, meglio se fuorilegge
perché con una percentuale di principio attivo più alto, sembra più uno
strumento offensivo che difensivo.
«Quando
in udienza ascolto i ragazzi che affrontano il periodo della messa alla prova,
chiedo loro: “Com’è la tua routine serale?”.
La
maggior parte è contenta di misurarsi nelle varie attività di volontariato ma
poi in pochissimi riescono a liberarsi dal ricorso alla cannabis.
“Mi
serve per dormire”, si giustifica qualcuno.
Ma
non è vero e se io propongo loro di rivolgersi alla nostra assistenza medica
per superare il problema, avverto resistenze, spesso non si intende neppure
tentare».
Insomma,
se i tentativi di recupero di questi ragazzi sono un dovere, le probabilità di
successo non sono mai scontate.
Anche
perché, come già accennato, i giudici minorili troppo spesso sono costretti ad
operare senza il sostegno delle famiglie e con risorse limitate.
«Il
venir meno della socialità spontanea, quella di piazza, è un altro degli
aspetti che più mi preoccupano.
Oggi
la socialità è quella del web, della rete.
Tanto
comoda ma anche tanto ingannevole.
Sui
social la violenza, tanto per tornare ai nostri argomenti, è sempre spostata
sul piano ludico.
Quando
poi si pretende di trasferire quel tipo di violenza nella realtà, si fanno
grandi guai e si causano sofferenze profonde.
Ma
i ragazzi non si accorgono, spesso non immaginano neppure quanto dolore
producono quei gesti».
Per
questo, quando si tratta di stilare progetti di messa alla prova, il
procuratore minorile di Milano chiede sempre che vengano inseriti momenti di
consapevolezza per quanto riguarda la relazione d’aiuto con una persona
fragile.
«Obblighiamo
questi ragazzi a stabilire una relazione empatica, a riscoprire il contatto con
l’umanità sofferente.
Più
realtà e meno virtuale. Non credo esista
altra strada.
Ma
noi genitori dobbiamo essere i primi a dare il buon esempio.
E
invece…».
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