sabato 8 gennaio 2022

SCUOLA SI - SCUOLA NO ?

 
«Sono i genitori
 a doversi vaccinare»

 

Intervista al prof. Agostiniani (Sip): molti dei piccoli ricoverati vengono contagiati in casa. Le classi? Sicure

Prima che per i bambini, la preoccupazione è «per i genitori non vaccinati che li mettono a rischio». E per chi li cura: «Pediatri e infermieri decimati dal contagio, che nella maggior parte dei casi si trovano a casa del tutto asintomatici. E lì devono restare fino all’esito di un tampone negativo, spesso introvabile, spesso positivo ben oltre i 10 giorni previsti». Rino Agostiniani, vicepresidente della Società italiana di pediatria e direttore dell’Area Pediatria e Neonatologia della Asl Toscana Centro, guarda avanti. Alle prossime settimane, quando «se non cambieranno le regole sulle quarantene dei sanitari i nostri ospedali potrebbero addirittura trovarsi costretti a chiudere».

Professore, le regole sono appena cambiate in senso meno restrittivo, soprattutto per chi ha tre dosi di vaccino come larga parte dei sanitari. Cosa succede allora?

Stiamo facendo screening su tutti gli operatori ed è molto facile trovare positivi: al momento nel mio dipartimento su 90 pediatri, 9 sono risultati contagiati. Significa che stiamo già facendo a meno del 10% del personale. Dal punto di vista organizzativo se questa percentuale dovesse salire anche solo al 20%, saremmo paralizzati. Il problema allora è come gestire le positività asintomatiche: proprio per- ché tutti i medici hanno tre dosi di vaccino, i contagiati stanno bene o al massimo hanno un po’ di raffreddore. Un’idea percorribile potrebbe essere quella invece di farli rientrare al lavoro nel minor tempo possibile, e soprattutto senza dover attendere l’esito di una tampone negativo: adotteranno tutte le precauzioni indispensabili a non contagiare, esattamente come le adottano già per non essere a loro volta contagiati dai positivi che curano. Le regole vanno cambiate in fretta, però...

Qual è la situazione dei reparti pediatrici?

Siamo usciti da un periodo di vera emergenza, tra fine novembre e dicembre, legato alle bronchioliti. Adesso stiamo vedendo più bambini con forme di Sars-Cov.2. È un dato scontato: il virus non è diventato più aggressivo coi bambini, semplicemente davanti a un rischio aumentato per tutti di contagiarsi anche il rischio che ciò accada tra i più piccoli aumenta. Nella fattispecie, i ricoveri pediatrici sono cresciuti del 30% circa nelle ultime due settimane.

E qual è l’identikit dei bambini che vengono ricoverati?

Larga parte dei pazienti non si trovano in una situazione complessa: sono soprattutto i piccoli sotto i 5 anni, che essendo difficilmente gestibili a casa vengono portati in Pronto soccorso dai genitori. Hanno sintomi di tipo respiratorio, più spesso gastrointestinali. Non di rado capita, anzi, che arrivino in ospedale per altri motivi e vengano casualmente trovati positivi al tampone di controllo. Il virus, d’altronde, trova terreno fertile nella popolazione più suscettibile perché scoperta dal punto di vista vaccinale, e i bambini vi rientrano appieno. Attenzione però: più piccoli sono – in particolare sotto l’anno – e più è comune che i contagi siano di tipo familiare. Incontrano il Covid in casa, cioè, contagiati da genitori non vaccinati. Nel caso dei neonati, tra i 3 e i 5 mesi, quasi sempre è la mamma a trasmetterlo: ha rinunciato alle dosi in gravidanza, non ha anticorpi e non li ha trasmessi al piccolo, essendo giovane e avendo appena partorito ha più contatti sociali. Ecco perché, insieme alle vaccinazioni per i bambini, è importante concentrarsi ancora su quelle degli adulti: mamme e papà devono vaccinarsi.

A proposito di vaccinazioni ai piccoli, perché così tanta paura ancora?

Le vaccinazioni pediatriche sono partite da poco più di 20 giorni, in concomitanza

con un periodo di festività. Oggi siamo al 10% della popolazione vaccinata nella fascia d’età 5-11 anni e io lo considero già un ottimo risultato. Dagli studi condotti negli Stati Uniti, che sono partiti prima di noi, sapevamo cosa sarebbe successo nelle famiglie: un 30% di genitori non vede l’ora di vaccinare i propri figli (ed è il 30% che copriremo entro fine gennaio), un 30% è sicuro di non volerli vaccinare (e qui non abbiamo molte possibilità), un altro 40% decide di aspettare. È su questi ultimi che dobbiamo lavorare, soprattutto noi pediatri, sensibilizzando i genitori e rispondendo a tutti i loro dubbi e domande.

Professore, i presidi adesso chiedono la Dad per tre settimane. Dal punto di vista sanitario è sicuro ripartire con le lezioni in presenza?

La domanda va rovesciata: quanto inciderebbe il mancato ritorno a scuola sui percorsi educativi e di socialità dei bambini e dei ragazzi? Ovviamente siamo tutti consapevoli del momento difficile e complicato che stiamo vivendo, ma il Paese non è in lockdown: potrebbero uscire tranquillamente e infettarsi altrove con più facilità di quello che farebbero a scuola. E poi cosa significa ripartire tra tre settimane? Il virus non scomparirà, non abbiamo elementi per dire che la situazione migliorerà. La scuola, ne sono convinto, deve ripartire senza se e senza ma.

 

www.avvenire.it

 

 

 

 

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