venerdì 15 giugno 2018

IL CONTADINO E IL SEME


Mc 4, 26-34

Dal Vangelo secondo Marco


26Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

30Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
33Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.


Commento di p. Paolo Curtaz
Marco ci regala una piccola parabola, una similitudine, un paragone, che solo lui riporta.
Tre piccoli versetti da mandare a memoria e da usare quando ci lasciamo prendere dall’ansia da prestazione (cristiana). Un potente ansiolitico interiore.
È il regno che viene, non sono gli uomini a farlo venire.
Quindi: restiamo sereni. Keep calm. Ci voleva. Soprattutto in questi tempi di caos apocalittico.
La piccola similitudine è divisa in tre parti e ha due protagonisti: il contadino e il seme.
Il primo compare all’inizio e alla fine e, volutamente, Marco ne sottolinea il ruolo assolutamente  marginale.
Manda la falce. Due azioni: getta il seme e manda (getta?) la falce.
Interessante: non semina, ma getta il seme, come ad indicare un’azione non prevista, un campo non adibito alla semina, una scelta non pianificata, come a dire: getta il seme della Parola ovunque ti trovi, ogni luogo è da fecondare!
E la seconda affermazione è ancora più curiosa, una specie di errore grammaticale: letteralmente Marco scrive, in greco, che il contadino manda la falce, non va nemmeno a falciare, qualcun altro, la falce!, se ne occupa.
Sappiamo che non è così semplice. Sappiamo che il terreno va accudito, irrigato, disinfestato dalle erbacce... ma il racconto vuole rimarcare la forza intrinseca del seme e l’apparente marginalità del seminatore.
Il secondo citato, il seme, è il vero protagonista del brano: mentre l’uomo dorme, lui germoglia, cresce, porta frutto. Gesù descrive quasi plasticamente la lenta azione del seme che buca la terra, si fa germoglio, cresce, si gonfia e si dona nel frutto.
Il contadino è inattivo, il seme no.
Al punto che, alla fine, è il frutto che stabilisce l’ora della mietitura. Letteralmente Marco scrive appena il frutto lo consente.
L’uomo non fa, ma accoglie. E deve accogliere in fretta, subito.
È il frutto che fa tutto.
Il contadino non sa nemmeno come ciò avvenga, non se ne occupa, non ha il potere del controllo.
Fuor di metafora, Gesù, totalmente uomo, si interroga su quanto sta accadendo, sulla sua strategia pastorale.
Determinato nel continuare la sua missione, si interroga sulle difficoltà che incontra.
E dice a se stesso, ai suoi discepoli, a noi, una cosa molto semplice: il regno di Dio è, appunto, di Dio. Non nostro. Ha una sua logica, una sua tempistica, una sua dinamica che, spesso, ignoriamo. Come accade col seme.
La Parola seminata agisce anche se non ce ne accorgiamo. Ha tempi lunghi, certo, diversi dai nostri, ma agisce con forza e costanza. A noi rimane il compito di gettare il seme e di coglierne il frutto, subito, appena questo matura.
Gesù chiede di passare dalla logica dell’efficienza a quella dell’accoglienza.
Ahia.
Quante inutili ansie portiamo nel cuore! Proprio noi cristiani, noi discepoli che dovremmo, almeno un po’, fidarci di Dio e della sua Parola!
Il ragionamento di Gesù è semplice ed efficace: il regno è di Dio, tu, assecondalo.
O, in altre parole, come ripeto spesso, fra il serio e il faceto: il mondo è già salvo, non lo devi salvare tu. Il mondo è già salvo, è che non lo sa.
Vuoi fare qualcosa? Vivi da salvato.
Per noi, oggi Questa logica evangelica dell’attesa, della fiducia, caratterizza (o dovrebbe) la nostra vita comunitaria, ma anche la nostra vita interiore. La stessa pazienza che il Signore chiede nel lasciar agire il regno, la stessa fiducia che chiede di avere nella potenza della Parola, la dobbiamo aver e verso noi stessi e i nostri percorsi di vita.
Come il terreno, cioè il nostro intimo, accoglie e fa crescere il seme è un mistero: inutile cercare di accelerarlo, inutile cercare di manipolarlo, è una questione fra Dio e l’anima, un evento intangibile ne lla coscienza del discepolo (cfr. Ap 3,20).
Il granello di senape
Ancora riflette, il Maestro, ed introduce l’ultimo enigma con una doppia domanda, come era in uso nei dialoghi dei rabbini per coinvolgere l’uditorio.
La parabola parla di una mutazione, di un cambiamento, di una evoluzione.
Perché quando si parla di Dio tutto si trasforma. È dinamico Dio, sempre più avanti di quanto di lui riusciamo a cogliere.
Usa questa splendida immagine servendosi con forza di un contrasto, che è il cuore della parabola .
Il protagonista della parabola è ancora il seme: a lui sono riferiti i verbi. È seminato, sale su, diventa un ortaggio, ramifica.
Ma al Signore piace giocare con gli opposti: il più piccolo dei semi diventa il più grande degli ortaggi, un vero albero, con grandi rami.
Ha ragione: il seme della senape, anche se non è il più piccolo in natura, come affermato, è comunque minuscolo: misura appena un millimetro di grandezza. Ma, sulle sponde del lago, può crescere fino a raggiungere i tre metri di altezza.
Spettacolare.
La logica del regno
La Parola di Dio ha una sua efficacia, il seme germoglia e porta frutto, così l’annuncio del regno che avanza anche se non sappiamo bene come. Ma è una logica diversa da quella che ci immaginiamo.
Parte dal poco, all’inizio è insignificante, piccolo come un granello di senape.
Ha un suo inizio e una sua progressione.
Ma Gesù non parla di trionfalismi, non immagina grandi successi delle chiese, come a volte è stato interpretato goffamente questo testo, non sogna improbabili finali trionfanti da film.
Indica l’atteggiamento con cui annunciare il regno e la logica che lo accompagna: nelle piccole cose, nell’umiltà (che non è la depressione dei credenti ma la consapevolezza feconda del limite), dell’insignificanza dei gesti si cela la grandezza del regno.

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