sabato 18 novembre 2023

L'ARTE DI COMUNICARE

 


“Comunicare 

nei Movimenti cattolici

 e nel mondo”


Intervento al Consiglio 

dell'UMEC-WUCT

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-          Dr Angelo Scelzo*

 

Innanzitutto, un cordiale saluto a tutti i convegnisti, riuniti per questo importante appuntamento alla vigilia della sessione conclusiva.

 Per la vastità del tema, quando si è invitati a parlare di comunicazione, la parte difficile riguarda l’inizio, l’apertura del discorso poiché non sempre basta l’indicazione di una traccia che, in questo caso, riguarda i movimenti cattolici ma anche il mondo.

Penso sia necessario chiedersi, in maniera preliminare, se esiste, o può esistere, un tipo di comunicazione specifica per i movimenti. E in che misura, ammesso che esista, essa può differenziarsi dalla comunicazione ordinaria, adattabile cioè a ogni circostanza.

Addentrarsi in questa distinzione preliminare è un modo per trovarsi subito di fronte ai cambiamenti, anzi direi, alla diversa natura della moderna comunicazione.

Che oggi, anche rispetto a un decennio fa, sia cambiato il modo di comunicare è sotto gli occhi di tutti. Sono radicalmente cambiati i mezzi attraverso i quali la parola, (ma non solo: anche i gesti o le diverse espressioni) si pone al centro delle nostre relazioni. Sempre più, nell’età del digitale, la parola è accompagnata dalle immagini; sempre più non è soggetta alle distanze, e senza che questo comporti ritardi o dilazioni sullo stato del dialogo.

Si può forse cominciare a dire che la comunicazione ordinaria rappresenta soltanto un’espressione, poiché in realtà alla grande varietà dei mezzi (in termini più aggiornati la multimedialità) corrisponde una più estesa varietà di comunicazioni. Ogni ambito ha la propria, che si differenzia non solo per la diversità dei mezzi da impiegare, ma naturalmente per gli obiettivi e per la platea alla quale si rivolge.

L’importanza e il nuovo ruolo dei mezzi.

Vorrei mettere a fuoco, a questo punto, proprio la diversa incidenza dei mezzi più tradizionali come la radio, la televisione, la stampa scritta, il cinema, rispetto a quella che potremmo definire la nuova comunicazione a “radice digitale”. Si tratta di mezzi che continuano ad avere una loro vita. La rivoluzione digitale non li ha mandati in soffitta ma certo li ha profondamente modificati.

Ciò che avvenuto, infatti, è stata una loro particolare proliferazione: ognuno di essi, con l’avvento del digitale, pur conservando la propria identità, l’ha tuttavia potenziata dando vita a nuovi strumenti, prima fra tutti, i social e l’ormai diffusissima famiglia delle applicazioni che normalmente utilizziamo sui nostri smartphone: l’ex Twitter, ora X, Facebook, TikTok, Instagram e altri di più limitata incidenza.

Di fronte a questa imponente evoluzione, si parla oggi di vecchia e nuova comunicazione. E la parola che più ricorre, per segnare questa svolta, è rivoluzione.

Occorre anche precisare che si tratta di una rivoluzione ancora in corso, tutt’altro che alle nostre spalle, osservando i continui e strabilianti passi avanti che il mondo digitale produce quasi giorno per giorno.

La comunicazione e il messaggio

È stata la nascita, qualcuno parla di “invenzione” della rete Internet ad aprire, anzi spalancare, le nuove vie della modernità comunicazione. L’irruzione di questo mondo ha destato, in un primo momento, meraviglia e sconcerto.

Tutto cambia. Ed è venuto presto in primo piano la preoccupazione del messaggio, ovvero della fedeltà del messaggio al confronto con gli scenari del tutto inediti di una comunicazione che si poneva addirittura a capo dei cambiamenti sociali e culturali in corso in ogni parte del mondo.

La “vecchia” comunicazione si limitava a descrivere, a raccontare, a far vedere - attraverso gli audiovisivi, una volta limitati al piccolo e grande schermo- la realtà e i modi di vita. Eravamo abituati a una funzione sussidiaria. Sapevamo ben distinguere i mezzi dal messaggio e neppure le intuizioni di un grande studioso come Mc Luhan, ci aveva portati oltre i confini stabiliti.

Di fronte a quel che è avvenuto dopo non si può certo parlare di semplice innovazione. Le nuove tecnologie hanno subito assegnato alla comunicazione un ruolo del tutto diverso: niente più sussidiarietà ma una forma di protagonismo consapevole, privo di scrupoli e prudenze. La nuova comunicazione, in realtà, è salita in cattedra, ha cominciato a dettare le sue leggi, anzi a farne di nuove, fino a guidare di fatto i processi di un mondo in transizione. L’esempio più eclatante riguarda la globalizzazione, l’evento che ha segnato questo nostro tempo. Ancora oggi si discute se essa non sia stata determinata proprio dallo sviluppo di una comunicazione spinta oltre le soglie del tempo e dello spazio; se il mondo non sia diventato un “villaggio” proprio per l’incidenza e l’influsso di una comunicazione che liberatasi, attraverso le nuove tecnologie, delle proprie frontiere, è andata a scardinarne altre  per suo conto.

 L’instant-communication è diventato a un tratto realtà e varcando i confini tradizionali, ha aperto strade impensabili in ogni campo - sociale, culturale, economico- attraversato. Tutto è comunicazione, si è arrivati a dire per celebrarne ed enfatizzarne la potenza.

 L’autorevolezza della nuova comunicazione.

Possiamo però dire che abbiamo impiegato tempo per riconoscere appieno e totalmente questo cambio d’epoca. Ci è stato difficile rassegnarci o non battere ciglio d fronte a certe espressioni della nuova comunicazione, fatte apposta, ci sembrava, per mettere alla prova la nostra accettazione. Abbiamo fatto fatica prima di tutto ad accettare l’autorevolezza dei nuovi mezzi che ci sono sembrati utili sì, ma limitati a forme di comunicazione ordinaria, colloquiale, quasi “di servizio”. Mai forse avremmo immaginato che dichiarazioni e atti solenni dei massimi organismi e delle personalità più autorevoli, compreso il papa e i capi di stato, potessero essere veicolati e diffusi via tweet e sulle piattaforme dei diversi social. Resisteva in qualche modo, una forma di gerarchia naturale che segnalava forse più una resa che una vera e convinta adesione alla realtà della nuova comunicazione.

Atteggiamenti e stati d’animo subito spazzati via. La comunicazione oggi è fatta di questi mezzi e occorre prendere atto che non è possibile fermare il vento con le mani.

La tragica evoluzione di questo nostro tempo ha poi consolidato il radicale cambio di passo. Gli smartphone, più delle stesse telecamere, ci hanno portato in casa la guerra in Ucraina, e continuano a raccontarci i drammatici giorni del sanguinoso assedio a Gaza dopo il feroce attacco di Hamas a Israele. Ma tanto più nelle guerre, i social e gli strumenti della nuova comunicazione non sono soltanto testimoni, non registrano soltanto eventi. Sono essi stessi protagonisti, come lo sono stati al tempo della pandemia, l’altro flagello di questi nostri giorni così difficili e tormentati. Isolandoci fisicamente, la pandemia ha offerto sul piatto d’argento ai nuovi media, all’intera galassia della comunicazione digitale, l’occasione per entrare ancora di più nella vita concreta delle persone. Per un tempo non breve il lockdown ha fatto in modo che i social fossero la nostra lingua, le nostre espressioni, il tramite privilegiato e quasi unico del nostro modo di comunicare. Ha creato piccole e grandi comunità, certo virtuali, ma potenzialmente in grado di sviluppare anche dal vivo le loro relazioni. Come la pandemia abbia contribuito a cambiare il modo di comunicare nella chiesa è argomento oggetto di molti studi. Qualcuno è arrivato a dire che le trasmissioni in streaming, come le stesse celebrazioni domenicali, hanno contribuito a svuotare le chiese, facendo anche osservare che il ritorno alla normalità ha anzi sancito il calo di affluenza dei fedeli.

In ogni caso si tratta di un argomento che ha potuto guadagnare terreno proprio perché le nuove tecnologie consentivano tecnicamente una partecipazione a distanza, ma con tutte le modalità offerte da una comunicazione mai così ampia ed articolata.

La comunicazione e la Chiesa

Quest’ultimo aspetto introduce in maniera diretta una domanda a questo punto inevitabile. Qual è, e quale è stato l’atteggiamento della chiesa di fronte a questa vera e propria rivoluzione mediatica?

Per un movimento come il vostro che pone al centro il fattore educativo legato all’impegno di una testimonianza cattolica, è una domanda che non può essere elusa.

Una premessa essenziale: non si può dire che la chiesa abbia sbarrato la strada alla nuova comunicazione. Essa si è resa subito conto dell’importanza del cambiamento, pur non avendo forse i mezzi per attuarlo con immediatezza.

Penso possa essere utile un riferimento a ciò che è accaduto nella comunicazione vaticana per cercare una risposta più motivata. La comunicazione della Santa Sede ha appena affrontato una riforma - nell’ambito di quella più generale di tutta la curia romana- che ne ha totalmente mutato il carattere. Prendo a riferimento la comunicazione vaticana poiché essa rappresenta, in qualche modo, il paradigma di ciò che si è verificato a livello più generale.

I vecchi mezzi della comunicazione della Santa Sede, in gran parte sviluppatisi dal Concilio in poi - prima esistevano L’Osservatore romano e la Radio Vaticana - con l’aggiunta successiva della Sala Stampa, e del Centro Televisivo vaticano (tutti sotto l’ombrello del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali), sono in pratica confluiti in un unico sistema integrato che li raggruppa tutti insieme nella forma digitale. Dai singoli mezzi, ognuno con la propria vita, a una galassia multimediale che parla tutti i diversi linguaggi della vecchia e nuova comunicazione.

Era un passaggio necessario, secondo le caratteristiche dei nuovi strumenti polifunzionali che, allo stesso tempo. rendono possibile la trasmissione della parola associata con le immagini e diffusa non solo attraverso i mezzi tradizionali, ma segmentata attraverso le svariate fonti dei social che alimentano l’affollatissimo “banco” degli audiovisivi. In pratica per tutta la vecchia comunicazione è suonata la campana di una profonda riconversione nel mondo digitale.

Si parla di rivoluzione perché si è aperto un mondo nuovo. Anche nella chiesa, se si pensa che i primi protagonisti di questa storia che viene da lontano, vanno considerati i papi della modernità, a partire da Paolo VI con il quale la questione- comunicazione, entrata in tono dimesso nella prima fase del Concilio, prese poi il volo nel decennio successivo, fino a proporsi come un naturale lett-motiv nei lunghi anni del pontificato di Giovanni Paolo II.  Tanto forte diventò la spinta che, in maniera quasi inaspettata la comunicazione si impose tra i grandi temi del magistero di Papa Benedetto. Proprio così: un papa che ha continuato a scrivere, fino all’ultimo, a mano, con una matita, ha finito col segnare un punto di svolta nel passaggio da un’epoca all’altra della comunicazione ecclesiale. È per questo che la comunicazione di Benedetto, con il ritorno, in un certo senso, al primato della parola al tempo (pieno) di Internet, rappresenta un capitolo a parte nella vicenda comunicativa. Di fatto Benedetto ha dato ufficialmente il via, con un clic da un tablet, al primo portale, news-va che ha indicato la strada della conversione digitale a tutti i media vaticani.  Come non considerare, poi, anche soltanto per titoli, l’incidenza, anzi il peso, che la comunicazione ha finito per avere nel suo pontificato?

Basti pensare al dramma di Vatileaks, ma non solo. E, forse più clamorosa tra tutte, dal punto di vista comunicativo la “Lezione stravolta” di Ratisbona, un saggio magisteriale scambiato come atto di ostilità del momento contro il mondo mussulmano.

Poi venne, Francesco. E qui si tratta di storia in corso, e di quella raccontata in prima persona dai Papi.

Si può iniziare da un’apparente contraddizione: non si può dire, in linea assoluta, che la comunicazione lo appassioni, ma è anche certo che Francesco non ha dovuto attendere di essere eletto Papa per riconoscerne l’importanza.  E occorre aggiungere che una volta sul soglio di Pietro ha potuto rendersi conto che all’interno delle mura, pochi altri problemi richiedevano un’attenzione più immediata. 

Francesco è il terzo Papa del nuovo millennio, e la storia di questo primo ventennio e più, della chiesa e del mondo, può essere ricapitolata proprio attraverso i tre papi del terzo millennio.

Con l’elezione al papato di Bergoglio, la ricorrenza della “prima volta” diventa quasi inarrestabile: per la prima volta sulla cattedra di Pietro un esponente della chiesa del Sud America; per la prima volta un gesuita diventa Papa e per la prima volta viene eletto il figlio di una famiglia di emigranti, in una stagione caratterizzata proprio dal fenomeno delle grandi migrazioni. Anche la comunicazione ecclesiale è avida, per conto suo, di prime volte e il Papa “chiamato dall’altra parte del mondo” rappresenta subito una grande sfida.

La chiesa come “ un ospedale da campo”, il pericolo che possa far rinchiudersi “ in piccole cose e piccoli precetti” o trasformarsi nel “ nido protettore delle nostre mediocrità”, il confessarsi come “peccatore al quale Dio ha guardato”, ma soprattutto i termini di una visione positiva di una chiesa che, alla luce  della “ Gaudium et spes” “è sempre in cammino con il suo popolo”, hanno rappresentato i capitoli di rilievo di una comunicazione mai tanto espressiva di un pontificato che ha scelto di affiancarsi in ogni momento all’uomo.

È toccato così a Francesco, il primo papa della generazione che non prese parte direttamente al Concilio - e primo anche di quella che fu chiamata a iniziarne la ricezione- a proiettare la comunicazione vaticana verso un tempo nuovo, anzi un vero e proprio passaggio d’epoca.

Conclusione

Per restare nell’ambito ecclesiale una valutazione dei cambiamenti avvenuti nella comunicazione, porta a ritenere che i cinque secoli di distanza dalla stampa di Gutenberg al tempo del Concilio, non valgono, in termini di innovazione e di progresso, gli ultimi sessant’anni culminati nell’era digitale, e a lungo “raccontati “da caratteri e matrici di piombo, sulla carta di libri o di giornali.

È un altro mondo e un altro tempo per una comunicazione che cerca sempre più di sottrarsi al ruolo di “servizio”, per imporsi - una volta presa consapevolezza del proprio ruolo - come protagonista attivo - e talvolta decisivo- nelle vicende di un mondo iperconnesso. Ma anche iper-tormentato.

 

*Già Vicedirettore della Sala Stampa Vaticano e Segretario del Dicastero per la Comunicazione

 

 

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