sabato 10 giugno 2023

IL PANE DELLA VITA

Vangelo  Gv 6,51-58 – Corpus Domini -

Padre Fernando Armellini, biblista Dehoniano, commenta il Vangelo di domenica 11 giugno 2023.

 Questo brano costituisce la parte conclusiva del cosiddetto Discorso sul pane della vita, tenuto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao, dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci.

 Il prodigio ha suscitato grande meraviglia, sfociata in incontenibile entusiasmo e in pericolosa esaltazione collettiva: la gente, visto il segno, decide di catturarlo per farlo re (Gv 6,14-15).

 Come mai queste folle, stupite e ammirate, cercano Gesù? Verrebbe da rispondere: perché hanno capito che in lui agisce il potere di Dio, dunque credono in lui. In realtà sono vittime di un pericoloso equivoco, sono mosse da una fede immatura: si interessano a Gesù solo perché lo ritengono capace di soddisfare, mediante i miracoli, i loro bisogni materiali.

 La fede matura è tutt’altra cosa: è quella di chi capisce che Gesù non compie prodigi per stupire, ma per introdurre in una realtà più profonda. Nella guarigione del cieco nato, il vero credente intuisce che Gesù si presenta come la luce del mondo; nell’acqua tramutata in vino scopre il dono dello Spirito, fonte di gioia; nella rianimazione di Lazzaro comprende che Gesù è il Signore della vita; nel pane distribuito alla gente affamata scorge Gesù, l’alimento che sazia.

 A Cafarnao invece la folla non capisce, si ferma all’aspetto esteriore, superficiale dell’avvenimento. Ha bisogno di essere aiutata a passare dalla ricerca del “cibo che perisce” a quello che “dura per la vita eterna” (Gv 6,27). Un’impresa difficile, ma Gesù la tenta.

 Comincia presentandosi come il pane della vita disceso dal cielo (Gv 6,33-35). Dichiara che chi ascolta lui, chi assimila il suo messaggio, il suo vangelo, si nutre delle parole di vita. Chi invece si alimenta di altre parole – anche se piacevoli e accattivanti – ingerisce veleni di morte.

 La sua affermazione è inaudita. Per i giudei il pane disceso dal cielo è la manna (Sal 78,24) e il cibo che nutre è la parola di Dio (Is 55,1-3). Come può “il figlio di Giuseppe” arrogarsi simili prerogative? – si chiedono indignati – Chi pretende di essere? (Gv 6,42). Anche la samaritana aveva reagito in modo simile: “Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe?” (Gv 4,12).

 Invece di mitigare la sua pretesa, Gesù fa una dichiarazione ancora più sorprendente. Il pane da mangiare non è soltanto la sua dottrina, ma la sua stessa carne: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Sono le parole con cui inizia il brano di oggi (v. 51).

 Per non equivocarne il significato (per non essere indotti a immaginare un atto cannibalesco), va precisato che, quando nella Bibbia si afferma che “l’uomo è carne” (Gn 6,3), non ci si riferisce al fatto che è rivestito di muscoli, ma che è debole, fragile, precario, soggetto alla morte. Per esempio, di fronte alle miserie morali degli israeliti, Dio – dichiara il salmista con un audace antropomorfismo – placa la sua ira e trattiene il suo furore perché “si ricorda che essi sono carne, un soffio che scompare e più non ritorna” (Sal 78,39). Quando, nel prologo del suo vangelo, Giovanni dice che “il verbo si è fatto carne” (Gv 1,14) si riferisce all’abbassamento del Figlio di Dio, alla sua discesa al livello infimo, sottolinea la sua accettazione degli aspetti più caduchi della condizione umana.

 Mangiare questo Dio fatto carne significa riconoscere che la rivelazione di Dio giunge nel mondo attraverso “il figlio del falegname” e accogliere questa sapienza venuta dal cielo.

 Anche dopo questa precisazione, tuttavia, l’aspetto scandaloso della proposta di Gesù rimane. Come si può “mangiare la sua persona”? La reazione scandalizzata degli ascoltatori è comprensibile e giustificata: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?” (v. 52). Capiscono che egli non si riferisce solo all’assimilazione spirituale della rivelazione di Dio, ma anche ad un “mangiare” reale. Cosa intende dire?

 Gesù non si preoccupa del loro imbarazzo e riafferma quanto ha già detto, aggiungendovi una richiesta ancora più provocatoria: è necessario bere anche il suo sangue (vv. 52-56). Molti testi biblici proibiscono severamente la pratica di bere sangue “perché la vita della carne è nel sangue” (Lv 17,10-11) e la vita non appartiene all’uomo, ma a Dio. Si tratta dunque di assimilare la sua vita.

 È a questo punto che si inserisce il discorso sull’Eucaristia.

 Prima di spiegare il significato che, nel suo discorso, Gesù attribuisce a questo sacramento “fonte e apice di tutta la vita cristiana”, vorrei mettere in guardia da alcune interpretazioni riduttive e anche fuorvianti, derivate da una certa catechesi devozionale e intimistica, non supportata da fondamenti biblici. Mi riferisco a quella spiritualità eucaristica che parlava del “divin prigioniero”, che esortava ad andare in chiesa a “fare compagnia, a consolare Gesù”. L’Eucaristia non ha lo scopo di catturare Gesù per tenerlo più vicino, per avere un’opportunità maggiore di convincerlo a concedere grazie, approfittando del fatto che “è venuto a visitarci”, che “è venuto nel nostro cuore”. È stata istituita come alimento da mangiare e anche quando viene esposta all’adorazione (meglio nella pisside in cui è stata consacrata che nell’ostensorio) è per essere consumata come cibo. Solo così mantiene il suo autentico significato.

 Se partiamo dalla constatazione che, per raggiungere l’unione di vita con Cristo, basta la fede nella sua parola, giustamente ci chiediamo: perché è necessario accostarsi a ricevere anche il sacramento? Perché Gesù ha aggiunto una richiesta tanto difficile da comprendere: mangiare la sua carne e bere il suo sangue nei segni del pane e del vino?

 Sappiamo che, per mancanza di presbiteri, la domenica la maggioranza delle comunità cristiane non si raduna attorno alla mensa del pane eucaristico, ma attorno alla parola di Dio e siamo certi che, da quest’unico cibo per loro disponibile, esse ricevono abbondanza di vita.

 È significativo che, al v. 54, Gesù dica che chi mangia la sua carne e beve il suo sangue ha la vita eterna, esattamente come al v. 47 afferma che lo stesso risultato è conseguito da coloro che credono nella sua parola. Perché allora l’eucaristia?

 Anzitutto bisogna sottolineare che questo sacramento – che rende realmente presente il Risorto – non sostituisce la fede nella parola di Cristo. Accostarsi a ricevere la comunione non equivale a compiere un rito magico e l’ostia non è una specie di pillola che agisce automaticamente e guarisce il malato, anche se dorme o ha perso conoscenza.

 Non basta fare molte comunioni per ricevere la grazia del Signore. Gesù non ha detto di fare molte comunioni, ma di “mangiare la sua carne e bere il suo sangue”.

 Ecco la ragione per cui, prima di ricevere il pane eucaristico, è necessario ascoltare e meditare un brano evangelico. La lettura della parola di Dio è la premessa imprescindibile.

Quando si firma un contratto, quando si stipula un’alleanza, si devono prima conoscere e valutare attentamente tutte le clausole. Chi accetta di divenire una sola persona con Cristo nel sacramento, deve essere cosciente della proposta che gli viene fatta e prendere la ferma decisione di accoglierla. È il senso dell’accorata raccomandazione di Paolo: “Ciascuno esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice”, per non mangiare e bere la propria condanna (1 Cor 11,28-29).

 Il gesto di stendere la mano per ricevere il pane consacrato è il segno della disposizione interiore ad accogliere Cristo e a far sì che i suoi pensieri divengano i nostri pensieri, le sue parole le nostre parole, le sue scelte le nostre scelte. Nel segno dell’eucaristia, la sua persona viene assimilata, come accade con il pane.

 Il cambiamento, la metamorfosi avverranno molto lentamente, il processo sarà segnato da successi e fallimenti, ma l’umile ascolto della Parola e la comunione con il corpo di Cristo compiranno il miracolo. Un giorno, il discepolo gioirà della trasformazione attuata in lui dallo Spirito che opera nel sacramento e giungerà ad esclamare, come Paolo: Ora “non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20) .

Cercoiltuovolto




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