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mercoledì 31 marzo 2021

PASQUA CI APRE ALLA SPERANZA - Gli auguri dell'A.E. Naz. AIMC


 SANTA PASQUA A VOI TUTTE-I

        In questo anno, segnato ancora da tanti limiti personali e sociali causati dalla pandemia, la Pasqua ci apre alla speranza, perché ci porta il più gioioso annuncio della nostra fede: Cristo,  è risorto da morte! La storia di Gesù non finisce con la sua crocifissione e la sua sepoltura, anzi la presenza di Gesù riesplode con potenza divina nel primo giorno dopo il sabato.

         Gesù Risorto ci porta a Pasqua una ricchezza di doni, sui quali dobbiamo costantemente riflettere.

         Prima di tutto la pace e la gioia nel cuore, perché Egli ci svela il senso del nostro nascere, del nostro vivere, del nostro morire, del nostro risorgere, dato che nella vita, nella morte ed oltre la vita siamo del Signore.

          Ci illumina sul senso del nostro soffrire, perché la sofferenza passa, ma l’aver sofferto con amore è eterno e Gesù Crocifisso e risorto ci mostra, per farsi riconoscere, le sue piaghe gloriose.

          Ci invia per le strade del mondo in missione perché diffondiamo e testimoniamo il lieto annuncio che Egli vive in mezzo a noi.

         Se confessiamo nella fede la sua Resurrezione Egli cancella i nostri peccati, ci riempie del soffio potente del suo Spirito, ci immerge nella nuova creazione, facendo di noi persone nuove.

         La resurrezione di Gesù è un fatto reale, anche se non può essere dimostrato con le categorie storiche, perché rimane un mistero divino che supera la nostra intelligenza. Vi si accede soltanto con la fede, che tuttavia ha dei concreti riferimenti storici.

         La tomba di Cristo fu trovata vuota dalle donne e dai discepoli, e questo fu anche constatato dagli avversari di Gesù.

         Le prime testimonianze di fede che troviamo nei Vangeli sono semplicissime: “Il Crocifisso è risorto! Non è qui. Vi precede in Galilea!” (Mc. 16, 6-7). La Galilea è un luogo teologico per indicare la nostra vita quotidiana, fatta di lavoro, di fatica, di appelli del Signore Risorto. I primi credenti completarono la formula di fede: “E’ risorto secondo le Scritture” (1 Cor. 15, 3). Tutta la Parola di Dio dell’Antico e del nuovo Testamento converge verso questo punto focale.

         Il primo annuncio di Pietro nel giorno di Pentecoste è tutto centrato sulla resurrezione di Gesù: “ Questo Gesù Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni” (Atti 2, 32).  La stessa testimonianza danno anche Paolo e tutti gli altri apostoli nella loro predicazione e nelle loro lettere indirizzate alle prime comunità cristiane.

         Infine confermano la nostra fede le apparizioni del Risorto alle donne ed ai discepoli, narrate in tutti e quattro i Vangeli. Sono apparizioni sensibili, perché coinvolgono gli occhi, l’udito, il tatto e tutto lo spettro delle emozioni. Gesù prende l’iniziativa di apparire, si fa riconoscere mostrando le sue piaghe e facendole toccare, condividendo il pasto; e poi si fa continuare perché invia chi lo ha riconosciuto a diffondere questo lieto annuncio. Spesso il riconoscimento non è immediato, ma avviene attraverso un cammino, una riflessione sulle Scritture, e la frazione del pane (i discepoli di Emmaus), la pronuncia del nome personale da parte di Gesù in un gesto di amore (Maria Maddalena), una pesca miracolosa all’alba al comando di uno Sconosciuto dopo una notte di inutile fatica (Giovanni e Pietro).

         Ogni domenica, celebrando l’Eucaristia, noi professiamo la nostra fede in Gesù Risorto,  siamo coinvolti nel suo mistero pasquale di morte, risurrezione ed ascensione al cielo, riceviamo ancora il dono del suo Spirito, ci nutriamo del suo corpo e del suo sangue, costruiamo la Chiesa, madre dei Santi.

         Comprendiamo allora la testimonianza di alcuni martiri africani (Saturnino e compagni, morti nel 303 durante la persecuzione di Diocleziano) che, arrestati mentre celebrano l’eucaristia affermano nel processo: “Sine dominico vivere non possumus”, cioè  non possiamo vivere senza la celebrazione domenicale della Pasqua del Signore, senza partecipare al mistero della sua morte e resurrezione, senza nutrirci del suo corpo dato e del del suo sangue versato per noi!

         In sintesi la Pasqua ci conferma che si nasce, si vive, si muore, si risorge perconin  Qualcuno,  Gesù Risorto, il “Possente, con segno di vittoria coronato!” (Inf. IV, 53-54).

                                  P. Giuseppe Oddone - Assistente Ecclesiastico Nazionale AIMC

SISTEMA INTEGRATO ZERO-SEI. LE LINEE GUIDA

Il Sistema integrato di educazione e di istruzione garantisce a tutte le bambine e i bambini, dalla nascita ai sei anni, pari opportunità di sviluppare le proprie potenzialità di relazione, autonomia, creatività e apprendimento per superare disuguaglianze, barriere territoriali, economiche, etniche e culturali (Decreto legislativo 65 del 2017).

Il Sistema 0-6 anni mira a:

  • promuovere la continuità del percorso educativo e scolastico
  • ridurre gli svantaggi culturali, sociali e relazionali promuovendo la piena inclusione di tutti i bambini e rispettando e accogliendo tutte le forme di diversità
  • sostenere la primaria funzione educativa delle famiglie
  • favorire la conciliazione tra i tempi di lavoro dei genitori e la cura dei bambini
  • promuovere la qualità dell’offerta educativa anche attraverso la qualificazione universitaria (è istituita una Laurea in Scienze dell’educazione a indirizzo specifico) del personale educativo e docente, la formazione in servizio e il coordinamento pedagogico
  • agevolare la frequenza dei servizi educativi.

Che cosa comprende
Il Sistema 0-6 comprende:

  • i servizi educativi per l’infanzia, gestiti dagli Enti locali, direttamente o attraverso la stipula di convenzioni, da altri enti pubblici o dai privati, articolati in:
    • nidi e micronidi, che accolgono i bambini tra i 3 e i 36 mesi e hanno orari di apertura, capacità ricettiva, modalità di funzionamento, costi delle rette diversi da Comune a Comune (di solito assicurano il pasto e il riposo)
    • sezioni primavera, che accolgono i bambini tra i 24 e i 36 mesi e sono aggregate alle scuole dell’infanzia statali o paritarie o ai nidi 
    • servizi integrativi, con un’organizzazione molto flessibile e modalità di funzionamento diversificate. Si distinguono in:
      • spazi gioco per bambini da 12 a 36 mesi, privi di servizio mensa, con frequenza flessibile fino a un massimo di 5 ore giornaliere
      • centri per bambini e famiglie che accolgono bambini dai primi mesi di vita insieme a un adulto accompagnatore, privi di servizio mensa, con frequenza flessibile
      • servizi educativi in contesto domiciliare per un numero ridotto di bambini da 3 a 36 mesi
  • le scuole dell’infanzia, che possono essere statali o paritarie a gestione pubblica o privata. La frequenza della scuola dell’infanzia statale è gratuita; a carico delle famiglie resta il costo del pasto e di eventuali servizi a domanda individuale (come scuolabus, pre-scuola, prolungamento orario).

I Poli per l’infanzia
Vera novità del decreto legislativo 65 del 2017 sono i Poli per l’infanzia, che accolgono in un unico edificio o in edifici vicini strutture sia del segmento 0-3 sia del segmento 3-6 per un migliore utilizzo delle risorse attraverso la condivisione di servizi, spazi e risorse.

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lunedì 29 marzo 2021

COVID E ISTRUZIONE: L'UNESCO SI APPELLA AL MONDO


L’imperativo è cercare soluzioni per il futuro delle centinaia di milioni di studenti che nel mondo stanno pagando le conseguenze dettate dalla pandemia di Covid-19. Per questo l’Unesco, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, ha convocato on line i ministri dell’istruzione di tutto il mondo. Occorrono investimenti nei Paesi più poveri è l’appello di Terre des Hommes

 

-         Francesca Sabatinelli

 

Il Covid-19 ha trascinato il mondo in un baratro di morte, di malattia, di povertà, ha messo, e tuttora mette, a dura prova l’equilibrio mentale delle persone, colpite dallo stress, dall’isolamento sociale, dall’incertezza in generale. E mentre si entra nel secondo anno di pandemia, i conti si fanno anche con la chiusura totale o parziale delle scuole. L’Unesco ha, sin dall’inizio, espresso i timori per il rischio di un aumento delle diseguaglianze, tanto da istituire una “Coalizione mondiale per l’educazione”, il "Global Compact on Education", che ha visto coinvolti molti partner importanti, da organismi internazionali, a imprese del settore privato, a organizzazioni no profit e filantropiche, con l’intento di aiutare i Paesi a potenziare l’apprendimento a distanza e consentire loro di raggiungere tutti i ragazzi e ragazze che corrono il maggior rischio a causa della chiusura delle scuole. Un patto rilanciato anche da Papa Francesco, in un videomessaggio dell'ottobre scorso, quando chiese un nuovo impegno educativo per un mondo dove "non ci sia posto per questa cattiva pandemia della cultura dello scarto". A distanza di un anno, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, ha convocato un evento ministeriale ad alto livello per fare il punto, i cui risultati saranno poi posti all’attenzione dei vari Paesi, con all’ordine del giorno: l’apertura delle scuole, il recupero degli apprendimenti, la trasformazione digitale.

Le gravi conseguenze su bambine e ragazze

Ad oggi, secondo anno di convivenza con il coronavirus, si stima che due terzi della popolazione studentesca mondiale sia ancora colpita dalla chiusura totale o parziale delle scuole. Una chiusura che non tutti i bambini, ragazzi e ragazze, hanno vissuto nello stesso modo. “Nei Paesi occidentali, del cosiddetto Nord del mondo – spiega Paolo Ferrara, direttore generale di Terre des Hommes, uno dei più grandi movimenti al mondo per la difesa dei diritti dei bambini – circa il 90% dei bambini e delle bambine, sono riusciti ad approfittare di una qualche forma didattica a distanza, questa percentuale, però scende in maniera esponenziale nei Paesi del Sud del mondo, dove si stima che soltanto un 35- 40% al massimo di bambini ne abbia potuto usufruire”. Per molti studenti la scuola è chiusa completamente, in molti Paesi del Sud del modo, come spiega Terre des Hommes, la forbice tra i ceti medi e più agiati e quelli più poveri e più vulnerabili si è ancora più divaricata. Ma non è questo il solo drammatico dato, perché è ormai conclamato che il sesso femminile, le bambine e le ragazze sono le più colpite. “Già oggi – continua Ferrara – si stima che 11 milioni di bambine non torneranno a scuola”. Il direttore di Tdh spiega come il livello di abbandono scolastico stia facendo fare un balzo indietro di circa 30 anni, allontanando sempre di più la popolazione mondiale dagli obiettivi del millennio. Questi numeri avranno conseguenze gravissime, sulle competenze naturalmente, ma ci sono aspetti che vanno al di là di questo dato, come ad esempio quello della malnutrizione. “A scuola – continua Ferrara – normalmente si consuma, nei Paesi più poveri, soprattutto un pasto, il pasto sano, almeno uno, a volte anche due.  Uno degli indicatori che abbiamo ci dice che il numero di bambini malnutriti aumenterà di circa 80 milioni nel corso di questo anno, soprattutto a causa del mancato accesso a scuola”.

 Vatican News

 Il Papa: è tempo di sottoscrivere un patto educativo globale



 

FIGLI DELLE APP


 “La rivoluzione tecnologica è compiuta. Si muovono tra app e dimensione social in un fluire quotidiano. Dalla non- comunicazione all’iper-comunicazione, alla vetrinizzazione dell’io. Il 98% ha uno smartphone, il 68% un profilo falso. Vivono su Instagram e Whatsapp. Il 60% si sente solo”.

Sono le parole del sociologo Francesco Pira, professore associato di sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università degli Studi di Messina, riguardo al suo nuovo saggio: “Figli delle App”, uno studio sulle nuove generazioni digital-popolari e social-dipendenti.

 La dedica

“Dalla buona o dalla cattiva educazione della gioventù dipende un buon o un triste avvenire della società”. Si apre con una citazione di San Giovanni Bosco il volume “Figli delle App”. Poi, nelle stessa pagina è scritto : “Questo volume è dedicato a tutte le vittime del cyberbullismo, del sexting, del revenge porn, del cutting e a chi ha perso la vita per inseguire una challenge. Ma anche a coloro che usano le nuove tecnologie per trasmettere al mondo messaggi positivi e condividere conoscenza”.

Il titolo

L’autore rivela subito il perché del titolo: “Figli delle app è il provocatorio titolo che ho scelto, da immigrato digitale e adolescente, quando Alan Sorrenti cantava: ‘Noi siamo figli delle stelle/ Non ci fermeremo mai per niente al mondo’. Non sono sicuro che essere figli delle app sia essere eroi di un sogno, purtroppo concordo con il pensiero del grande sociologo Zygmunt Bauman che il consumismo tecnologico rischia di trasformarci in individui senza storia e identità”.

Analisi del cambiamento

“Questa generazione di preadolescenti e adolescenti ci mostra come la rivoluzione tecnologica sia ormai compiuta. Si muovono tra app e dimensione social in un fluire quotidiano h24 di interazioni, produzione di contenuti e creatività e, per la prima volta, l’e-learning è entrato nelle loro vite. Questo libro intende analizzare le trasformazioni in atto, basandosi sui risultati delle ricerche condotte in ventitre anni di studio sull’evoluzione dei modelli comunicativi di preadolescenti e adolescenti prima e dopo l’avvento delle nuove tecnologie e alla digitalizzazione della società. Un percorso attraverso generazioni che si sono evolute all’interno di ambienti sempre più tecnologici, immersi negli universi social, spesso da soli e che oggi sono gli adulti appena diventati genitori, tutti accomunati nell’evidente dicotomia tra connessione e relazione”.

I dati della ricerca

Il volume è anche l’occasione per condividere i dati dell’ultima ricerca realizzata. Il terzo capitolo è infatti interamente dedicato ai risultati della survey online “La mia via ai tempi del Covid”. Condotta nel periodo aprile – maggio 2020, ha coinvolto in totale 1.858 ragazze e ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori che hanno risposto ad un questionario online composto da diciassette domande.

Il 100% (96,6%) degli intervistati possiede uno smartphone e oltre l’80% (88,8%) ha un computer. Uno degli aspetti di maggiore interesse emerso è quello relativo alla tendenza a isolarsi rispetto all’ambiente familiare. Sempre più dipendenti dal gruppo di pari, hanno vissuto una forte sensazione di isolamento, paura e scoraggiamento, con oltre il 60% degli intervistati che dichiara di avere provato questo sentimento. C’è poi un dato che più di tutti gli altri offre spunti di approfondimento, ed è quello relativo all’eventuale possesso di un profilo social falso. Su 544 risposte ottenute, il 69% ha dichiarato di averlo. Vivono su Instagram e Whatsapp. Appare evidente, una volta di più, come nell’era liquido-moderna l’inganno sia diventato centrale nei processi di comprensione del reale, e la distinzione tra vero e falso non sia più percepita.

Dalla non comunicazione all’iper comunicazione

Pira spiega come siamo passati dalla non-comunicazione all’ iper-comunicazione, alla vetrinizzazione dell’io e sistematica manipolazione, consapevole o meno, della realtà, con impatti profondi sulle dinamiche di sviluppo della società nel suo complesso.
“Questo volume – scrive nella prefazione il professor Giovanni Boccia Artieri, Ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Urbino e sicuramente uno dei massimi esperti nazionali e internazionali di dinamiche social – ripercorre le varie tappe di evoluzione e addomesticamento delle tecnologie attraverso la messa a sistema tematica e longitudinale di ricerche e approcci relativi alla sociologia della comunicazione, mostrando le perplessità che di volta in volta ci si è trovati ad affrontare, le soluzioni che si sono proposte e le nuove domande che ne sono scaturite”.

 

“Figli delle App”: il saggio di Francesco Pira sulle generazioni digitali e la dipendenza social | Tempo Stretto – Ultime notizie da Messina e Reggio Calabria

 

domenica 28 marzo 2021

EDUCARSI ALL'INTERIORITA' PER SPEGNERE L'ODIO


Parla Milena Santerini, autrice di un saggio su aggressività, violenza e pregiudizi: «Prima di manifestarsi l’intolleranza cresce nel silenzio, per questo occorre sempre puntare sul dialogo»

 

-         di ALESSANDRO ZACCURI

        

Non ci sono alternative: con gli odiatori bisogna parlare. Pacatamente, ostinatamente, anche nelle circostanze più delicate. Compresa la più insidiosa di tutte, quella nella quale la voce del pregiudizio sembra provenire da dentro di noi. Dalle nostre paure, forse, o forse soltanto dalla nostra pigrizia. Della necessità del dialogo, inteso anzitutto come impegno educativo, è convinta Milena Santerini, che per Cortina ha appena pubblicato La mente ostile (pagine 242, euro 19,00), un viaggio attraverso le «forme dell’odio contemporaneo » che prende le mosse proprio dal conflitto interiore tra emozione e ragione. Docente di Pedagogia generale e interculturale all’Università Cattolica di Milano, Santerini ricopre tra l’altro l’incarico di coordinatrice nazionale della lotta contro l’antisemitismo. «Che è un caso esemplare di odio – sottolinea – ma purtroppo non l’unico».

L’impressione è risentimento e aggressività dilaghino: ma la nostra non si presenta come una società più tollerante?

Le società non sono tutte uguali, tanto per cominciare, e all’interno di una stessa società convivono persone e gruppi largamente differenziati tra loro dal punto di vista culturale e generazionale. Al di là di questo, l’evoluzione sociale non va necessariamente di pari passo con quella della mente umana, che è ancora contraddistinta dai meccanismi di reazione ancestrali nei confronti di quanto viene percepito come minaccia. È l’assetto del cosiddetto cervello primitivo, a suo modo necessario per sopravvivere, ma non sufficiente per vivere bene. Per questo, nel corso del tempo, abbiamo interiorizzato processi di cooperazione che ci permettono di muoverci al di fuori dello schematismo attacco/difesa. Il problema, però, è che in tempi di crisi il richiamo dei comportamenti primitivi torna a farsi sentire in modo molto insistente.

Si riferisce alla sensazione di insicurezza suscitata dalla pandemia?

Diciamo che, in una fase come l’attuale, la tentazione di dividere il mondo tra amici e nemici diventa particolarmente forte. L’abbiamo visto fin dal principio, quando si discuteva di contagio, e torniamo a vederlo in questi giorni, con le tensioni attorno ai piani vaccinali. Il vero rischio non sta nella singola fiammata polemica, ma nell’indebolimento di una coscienza comune che, almeno in Europa, si era affermata con fatica e sofferenza dopo le tragedie delle Guerre mondiali e della Shoah. In qualche misura, il «mai più» sul quale ci eravamo accordati oggi suona meno convinto di prima, nel suo complesso la coscienza storica appare molto indebolita, i sistemi di contenimento che avevamo elaborato risultano meno robusti.

La rete ha una responsabilità specifica in questo senso?

Internet rappresenta una risorsa straordinaria, lo sappiamo, ma nello stesso tempo può essere un temibile strumento di propaganda, un mezzo che, rendendo liquidi i sentimenti di ostilità, li rifonde così da renderli di nuovo disponibili. La dinamica è molto complessa, come si può constatare a proposito delle espressioni di sessismo che in rete assumono spesso una violenza impressionante. Quando si provano a ricostruire le origini della misoginia digitale, ci si accorge che spesso a risultare intollerabile è l’immagine di una donna assertiva e competente, capace di insidiare alcuni ruoli professionali e sociali che fino a qualche tempo fa erano considerati esclusivamente maschile. Il punto è che questa stessa immagine è promossa proprio dal web, che a sua volta finisce per catalizzare delusioni, insoddisfazioni, risentimenti. Sentendosi minacciato, il maschio si rivale contro la femmina. Anzi, contro le femmine, perché l’odio è rivolto di preferenza al gruppo più che al singolo.

Come mai?

Forse perché questo permette di avere a disposizione una certa abbondanza di capri espiatori, ossia di soggetti sui quali scaricare i sentimenti negativi che non riusciamo più a dominare. In questo senso, i fantasmi che abbiamo visto agitarsi da quando è iniziata la pandemia non fanno altro che confermare la necessità primordiale di individuare e, se possibile, punire il presunto colpevole. Non per niente le teorie del complotto, che pure sono sempre esistite, hanno ripreso vigore con l’avanzata della globalizzazione: più ci si sente inermi davanti a qualcosa che non si arriva a controllare, più si è inclini a fantasticare di un potere incontrollabile e occulto.

Questo significa che l’odio è sempre uguale a sé stesso?

Le manifestazioni possono essere molto simili tra loro, anche perché sono veicolate da dispositivi ricorrenti, i principali dei quali sono senza dubbio la disumanizzazione e l’esclusione dell’altro. Ma le differenze ci sono, specie per quanto concerne le motivazioni, ed è su questi elementi distintivi che occorre insistere per non rendere generico e inconcludente il discorso sull’odio. Nella fattispecie, il razzismo non equivale all’antisemitismo, il quale non può essere assimilato all’odio antimusulmano. Il razzista ha la mentalità del dominatore, retaggio del passato coloniale, laddove l’antisemita teme di essere dominato dagli ebrei, verso i quali sviluppa un’avversione che conserva una sua indubbia peculiarità, non solo in termini di continuità storica. Contro i musulmani, infine, si riversano paure nel contempo ataviche e recentissime, in un’inestricabile confusione di livelli che ostacola qualsiasi tentativo di obiettività. Le cause sono diverse, ripeto, per quanto il risultato sia sempre costituitoda un disimpegno morale che ci illude di poter fare all’altro quello che mai vorremmo fosse fatto a noi.

Ed è su questo aspetto che occorre intervenire?

Esattamente. L’odio non si vince se non si favorisce un’educazione all’interiorità che passa attraverso l’accettazione di determinate forme di ritegno per poi condurre all’assunzione di responsabilità. In generale, l’odiatore è afflitto da una sorta di cecità selettiva: dell’altro vede solo il male, perché per lui, in ultima istanza, l’altro è il male. Analogamente, di sé non vede che il bene e quindi non è disposto a mettersi in discussione. Prima ancora del giudizio di valore, è la ricerca di senso a fare difetto, quella domanda sul significato della realtà che per secoli ha rappresentato il fondamento dell’educazione cristiana. Solo ristabilendo questa premessa, si può dialogare in modo efficace. Perché il dialogo è necessario, lo ribadisco. La parola è l’unico mezzo che possa sfidare l’omertà in cui l’odio prospera. Non dimentichiamo mai che, quando c’è da prendersela con qualcuno, ci sono quelli che parlano, quelli che si aggregano e quelli che, presto o tardi, agiscono. Se non vogliamo essere complici, dobbiamo anzitutto rompere il silenzio.

 

www.avvenire.it

 

 

sabato 27 marzo 2021

E' ARRIVATA L'ORA


 Domenica delle Palme - Mc 11,1-10 / Is 50,4-7 / Fil 2,6-11 / Mc 15, 1-39 (forma breve)

È arrivata, l’ora. È tempo. Sarà innalzato da terra, sospeso, osteso.

Così Dio mostrerà quanto ha amato il mondo. Così scopriremo di essere amati. Fino a che punto. Senza poterne più dubitare. Quanto amore donato in trent’anni! Quanta passione nella sua predicazione. Quanto bene condiviso! Quante parole rimaste! Quante paure sciolte! Ma è tempo. Guarda a ovest, il Signore, alle spalle, sulla cima della collina, Betfage si sveglia dal sonno notturno. Sospira, chiude gli occhi, prega. Chiede forza. Più forza.

È tempo.

Scende dal Monte degli Ulivi con i suoi. La strada è ripida e Gerusalemme, la santa, la sposa, mostra tutto il suo splendore. Arrivano al Cedron, ora. Alle loro destra il frantoio dell’orto dei genitori di Giovanni Marco, luogo in cui volentieri Gesù si ritira in preghiera, Gat Shevanim.

La gente nei campi lo riconosce, si avvicinano, festanti. Ride, il rabbì, divertito. I bambini gli corrono avanti gridando e agitando i rami d’ulivo appena potati. Osanna al figlio di Davide!, grida qualcuno. Osanna! Ripetono altri. La festa cresce mentre salgono verso la porta Aurea.

Eccoti, Maestro. Eccoti.

Non prendi possesso della città cavalcando un bianco destriero preceduto da stendardi.

Un re da burla, che si prende poco sul serio, che prende in giro le nostre aspirazioni di gloria, che rimette al loro posto i nostri titoli e le nostre onorificenze, i nostri successi e le nostre ossessioni.

Osanna a te mio bene, mio cuore, mio re. Osanna a te che stai andando a consegnarti alla morte per salvarmi. Osanna Maestro che mi insegno a vivere. Osanna.

La grande settimana

Leggeremo il brano della passione di Marco, questa domenica.

Un po’ mi spiace perché significa che gran parte del popolo cristiano si perderà il Triduo pasquale. Arriveranno domenica prossima per prendere Pasqua, quelli che supereranno la paura di questa lunghissima quaresima. Un po’ come essere invitati ad un banchetto nuziale e degustare aperitivo… e digestivo. La Chiesa, invece, rallenta il passo in questi giorni.

Sincronizza il proprio orologio con le ultime ore di Gesù. Così, in questa settimana, mentre andiamo al lavoro potremo pensare allo stato d’animo di Cristo, fare nostri i suoi sentimenti, come direbbe san Paolo. Emozioni, scelte, scoraggiamento, fede… come ci sentiremmo noi in una settimana così cruciale. La settimana in cui tutto si evolve e si conclude, in cui tutto si riassume, in cui tutto fiorisce e cresce. La settimana in cui Dio muore per amore.

Siateci, se potete. Organizzate il tempo per esserci, per celebrare con quel che resta della comunità, per pregare insieme. Giovedì e quella cena, prima di una lunga serie, in cui Gesù si fa pane. Quella notte di lunga preghiera nel Getsemani e noi, defilati, a pregare con lui. Quel venerdì mattina drammatico in cui Gesù viene appeso. Quello straziante pomeriggio di disperazione dei discepoli. E il sabato, la lunga notte di attesa, la quiete prima della tempesta. Poi la veglia pasquale, la notte insonne, la notizia.

 Marco

Ascolteremo comunque la lettura della Passione. Provate a sedervi ed ascoltare. Con attenzione. Anzi, oso. Riprendete in mano il testo quando arrivate a casa. Leggete con calma, rappresentate la scena, individuate i dettagli. E riconoscetevi.

Non leggiamo la Passio per emozionarci, così abituati alla morte che ci giunge ogni giorno mentre ceniamo, che vediamo nei nostri film truculenti. Lo facciamo per riconoscerci, perché ci siamo. Siamo con i discepoli, attoniti e spaesati, vigliacchi e pavidi, incapaci. Eppure scelti dal Maestro per fare con lui esperienza di morte e resurrezione.

Il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro, la fuga degli altri, il goffo tentativo di usare la violenza per difenderlo. Incapaci, inadeguati, inetti, idioti. Come me. Come noi. Fragili discepoli, marinai inesperti nel condurre la barca della Chiesa. Eppure voluti dal Signore per essere testimoni. Non i migliori, non gli eroi, ma proprio i meno adatti Dio sceglie per manifestare appieno la sua potenza.

 Siamo come la folla che un giorno grida osanna e l’altro grida crocifiggilo!, ondivaghi e manipolabili. O come il Sinedrio che vuole solo far fuori Gesù che potrebbe incrinare il fragile equilibrio finalmente raggiunto con Roma, niente di troppo personale, quindi.

O come Pilato, irritato da quel popolo riottoso e incomprensibile, da quelle beghe teologiche assurde e inutili. Giustiziere per conto dell’aquila romana, dio in terra capace di determinare chi deve vivere e chi morire. O come i soldati, gli aguzzini, quasi tutti samaritani, ben contenti di sfogare il loro istinto bestiale sugli inermi e odiati giudei. O come le donne affrante sotto la croce. O come Giuseppe di Arimatea, che ha da offrire al suo Maestro solo una tomba gelida.

 Poi però

Alzate lo sguardo a colui che è stato innalzato. Che muore come ha chiesto a noi di vivere.

Che ama, straziato, donando tutto di sé. Che svela Dio. E questo illumina ogni dolore, ogni paura, ogni stanchezza.  

Siateci, amici. Perché ci siamo già tutti in quel racconto.

 

Cercoiltuovolto

 


 

 

IL BENE, NONOSTANTE TUTTO

 Il bene:

 su di esso è fondato il mondo.

-          

-         Claudia Cremonesi

 

 Ma naturalmente ciò non può portarci a negare l’esistenza del male. Non lo neghiamo affatto, anzi ne siamo ben consapevoli! Anche su questo ci siamo interrogati a lungo. Il male esiste e dobbiamo imparare a riconoscerlo, dentro e fuori di noi. Ciò significa che il male è esterno a noi, corre nelle vie del mondo, ma è anche profondamente radicato in noi, nel nostro cuore.

Quando operiamo nel male costruiamo il regno del male, costruiamo strutture sociali orientate al male. Talvolta non ne siamo perfettamente consapevoli, ma è importante chiarirlo a noi stessi. Che cosa fa sì che il male si radichi davvero in noi? Non basta il fatto che siamo esposti al male, esso deve trovare un’adesione da parte della nostra coscienza.

Il campo di battaglia della lotta tra il bene e il male è il cuore dell’uomo. E l’evidenza della vittoria dell’uno o dell’altro sono le sue azioni. È questo lo scenario in cui si dipana la vicenda umana, la vita degli uomini. Il nostro cammino è nato da una fonte di bene e ci viene affidato. Delle infinite possibilità che si aprono di fronte a noi siamo totalmente liberi di scegliere su quali costruire, su cosa fondare il nostro cammino, in quale direzione muoverci. In questo nostro scegliere, la libertà si coniuga con la responsabilità. Scegliere liberamente di credere nel bene, di fare il bene, di dire il bene significa costruire dimensioni di bene, strutture orientate al bene e un pensiero e un linguaggio per il bene.

Come educatori, inoltre, dobbiamo essere consapevoli che la nostra azione educativa si fonda su una visione positiva della vita e del suo potenziale di bene e bello di cui poter godere. Non è automatico. Dobbiamo scegliere e proporre il bene, portarlo di fronte agli occhi dei nostri ragazzi, lasciare che ne facciano esperienza.

L’uomo non è un essere impermeabile, le cose del mondo, le relazioni, hanno un impatto su di noi e ci modificano. Esperienze di bello e di bene potranno costruire più facilmente vite orientate alla ricerca del bello e del bene. Dobbiamo insegnare a riconoscere il male, anche. Quando lo incontriamo dobbiamo avere il coraggio di chiamarlo per nome, di dire che è male, di individuarlo, circoscriverlo e denunciarlo. Anche in questo possiamo essere esempi di comportamento.

E quando lo incontriamo, invochiamo con tutta la nostra forza il bene, attraverso una preghiera, potente strumento di parola per il Bene.

 RS-SERVIRE

LA VIA CRUCIS "LAUDATO SI' "


In preparazione alla Pasqua,

 la Via Crucis Laudato si’

Rileggere la devozione quaresimale della Via Crucis alla luce dell’enciclica di Papa Francesco sulla cura della casa comune. Un’iniziativa nata dalla collaborazione, la condivisione e la consapevolezza personale: un percorso che include esperienze e riflessioni generate dalla necessità di pregare durante il lockdown per la pandemia. Un lavoro a più mani del Movimento Cattolico Mondiale per il Clima e di Cube Radio, l’emittente radiofonica ufficiale dell’Istituto Universitario Salesiano di Venezia e Verona

-Asia Galvani* - Venezia


Il periodo di lockdown ha provocato in molti una sensazione di solitudine, di abbandono e di allontanamento dal gruppo di riferimento. La presenza dell’altro è stata troppo spesso mediata da uno schermo. Proprio durante i mesi più duri del 2020 è nata così, dalla base del Movimento Cattolico Mondiale per il Clima (Gccm), l’idea di elaborare una Via Crucis che potesse collegare le quattordici stazioni della pratica liturgica con l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. L’intuizione centrale era ripercorrere il cammino di Cristo verso la sua morte in Croce e poi la Risurrezione per restituire uno spiraglio di speranza nel futuro. È nata così la “Via Crucis Laudato si’”.

La Via Crucis alla luce della Laudato si’

Il Movimento Cattolico Mondiale per il Clima ha riletto la pratica liturgica della Via Crucis alla luce della Laudato si’ già durante la Quaresima 2020. L’opera è nata spontaneamente dal basso, dal bisogno collettivo di pregare e di affidarsi al Signore per avere la speranza di superare la situazione critica che il virus ha creato a livello planetario già dal marzo dello scorso anno. “C'è stato grande coinvolgimento sia a livello di scrittura delle meditazioni sia di fruizione - testimonia Antonio Caschetto, coordinatore dei Circoli Laudato si’ in Italia - e il frutto di questo impegno è stato il gran numero di persone che hanno partecipato in diretta, attraverso la rete, alla pratica liturgica della Via Crucis. È l'inizio di un cammino comune che tutt'oggi prosegue, un cammino nato sul solco di quello di Cristo, che con la Croce sulle spalle ci ha donato la salvezza”.

Le meditazioni della Via Crucis ispirate alla Laudato si’ hanno preso forma grazie alla collaborazione tra numerosi team. Fondamentale è stata la sinergia tra il Movimento Cattolico Mondiale per il Clima italiano e quello africano, supportata dal gruppo che cura la comunicazione per il Movimento e da molti animatori e rappresentanti dei vari circoli italiani.

Le meditazioni legate alle singole stazioni sono state collegate con i temi della Laudato si’ e con il vissuto del momento particolare della pandemia che ha portato a riflettere sulla fragilità e sulle sofferenze dell’intero pianeta. Le lacrime asciugate dalla Veronica, ad esempio, sono state accostate a quelle del popolo siriano, alle lacrime dei poveri. La morte di Cristo in Croce ha portato a riflettere anche sulle tante morti provocate dal coronavirus che ha messo in ginocchio il mondo.

Antonio Caschetto lavora da Assisi alla formazione di Animatori Laudato si’ e, oltre ad essere Coordinatore dei programmi italiani del Movimento Cattolico Mondiale per il Clima, fa parte di un team internazionale di “Eco spiritualità”. Grazie all’esperienza maturata in questo ambito ha potuto contribuire a coordinare la stesura delle meditazioni della Via Crucis. Lo scopo dell’iniziativa si armonizza bene con uno degli inviti principali del Papa nella Laudato si’: «prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare» (19). Dunque proprio la scelta di “trasformare in dolorosa coscienza anche il nostro peccato nei confronti del Pianeta - testimonia Caschetto - ci spinge maggiormente ad ascoltare il grido della terra e dei poveri”.

La relazione uomo-creato durante la pandemia

La lettura della Laudato si’ nel tempo della pandemia ha restituito prospettive inedite che rivelano ancora una volta l’attualità e l’emergenza dei temi proposti dall'enciclica. La stigmatizzazione, nella Via Crucis curata dal Movimento Cattolico Mondiale per il Clima, di pratiche economiche e sociali inique e il richiamare l’attenzione verso i poveri e le diverse fragilità che caratterizzano l’essere umano sono tutti aspetti che possono aiutare a riattivare la consapevolezza, nella speranza che si possa comprendere quanto anche un piccolo gesto  individuale può portare ad un cambiamento a livello planetario.

La meditazione dell’ultima stazione si focalizza, in particolare, sulla relazione dell’uomo con il creato, percezione che è mutata in maniera significativa a seguito del periodo di confinamento tra le mura domestiche. Dalla sofferenza emerge pure un chiaro segnale di speranza: “Questa epidemia è un vero e proprio macigno. Ne dobbiamo prendere atto e allo stesso tempo - si legge nella meditazione - dobbiamo trarre forza da questo momento di difficoltà, affinché anche per noi questo epilogo sia in realtà un nuovo inizio”. L’anno difficile appena trascorso da tutti può trasformarsi in un prezioso insegnamento anche a livello di consapevolezza ambientale, una sfida che può fare evolvere e maturare il genere umano anche rispetto alla cura della casa comune. È necessario tornare a guardare la natura come un’alleata e non come una minaccia, per questo l'itinerario liturgico a seguito della Croce di Cristo curato dal Movimento Cattolico Mondiale per il Clima propone un cammino di riconciliazione con se stessi e con quanto ci circonda, uomini e ambiente.

I crimini contro la natura

Le azioni umane che danneggiano il pianeta si rivelano, in molti casi, veri e propri crimini anche a livello giuridico. Lo sottolinea il professor Marco Monzani, giurista, criminologo e docente universitario, che commenta così la prima stazione della Via Crucis: “L’indifferenza di Pilato che segna il nostro tempo di fronte a crimini ed ingiustizie causati da una economia estrattivista, che sta danneggiando la nostra casa comune ed i nostri fratelli e sorelle, è il frutto del timore di andare contro corrente, di schierarsi tra gli ultimi e con gli ultimi, perché schierarsi costa molto. E così Pilato con il suo silenzio consegna l’innocente e lo consegna ad altri perché sia crocifisso”.

Il criminologo evidenzia, ad esempio, come l’appropriazione clandestina degli elementi naturali di cui vivono tribù indigene da parte di multinazionali sia un crimine gravissimo. Monzani nel saggio “Madre terra è stanca”, scritto a quattro mani con Emilio C. Viano e dedicato proprio al tema dei crimini contro il nostro pianeta, ha messo in evidenza come “le vittime di scelte ambientali volute o provocate dall'uomo sono ancora poco riconosciute come tali dall'opinione pubblica e dalle agenzie di controllo formale e quasi per nulla considerate dalle scelte politiche. La società, per come è organizzata oggi, non va a ricercare le vittime. Devono essere le vittime stesse a richiamare l'attenzione in merito ad un problema che la società non riesce ad affrontare da sola”.

Marco Monzani, che è anche presidente dell’Associazione Italiana di Criminologia (Aic) e componente del Board of Directors della International Society of Criminology (Isc), si augura che possa esserci presto un cambiamento, affinché siano rispettati e supportati i più deboli che hanno bisogno di essere difesi, non attaccati, “affinché madre terra possa divenire un luogo di tutti e per tutti anche in vista del bene di coloro che verranno dopo di noi”.

 Un giovane in ogni stazione

Cube Radio, emittente ufficiale dell’Istituto Universitario Salesiano di Venezia e Verona (Iusve), ha collaborato con il Movimento Cattolico Mondiale per il Clima nella creazione di una particolare Via Crucis digitale per la Quaresima 2021, aggiungendo alle meditazioni e ai testi delle quattordici stazioni una serie di grafiche adatte alla condivisione sui social network. “Con questo servizio ci auguriamo di aver offerto a tanti giovani - spiega il direttore dello Iusve, don Nicola Giacopini - un’opportunità in più per riflettere e pregare durante questa Quaresima, così segnata dalle restrizioni dell’emergenza sanitaria”.

Il legno della Croce e il germoglio verde

In ogni stazione è stato inserito un giovane in abiti contemporanei, segno della partecipazione in prima persona alla sofferenza di Cristo e della vicinanza ai più fragili. “Ogni volta che compare il legno della Croce - spiega Marica Padoan, coordinatrice del team grafico di Cube Radio - c’è anche un germoglio verde, segno di speranza nella Risurrezione, ma anche riferimento al Libro di Ezechiele e al Vangelo di Luca: «se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?»”. Il gruppo di lavoro legato all’emittente accademica dello Iusve ha sviluppato il progetto digitale in collaborazione con alcuni docenti che hanno supportato il team nella cura della coerenza grafica e di quella pastorale: Luca Chiavegato, Federico Gottardo e Carlo Meneghetti oltre al responsabile della comunicazione integrata, Michele Lunardi.

La Via Crucis è stata pubblicata sui social di Cube Radio e sul sito del Settore Ecologia e Creato del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale della Santa Sede.

*Cube Radio - Istituto Universitario Salesiano Venezia e Verona

 

Vatican News

 

 

 

venerdì 26 marzo 2021

GIOVANI GENERAZIONI A RISCHIO


   «Si fanno danni 

per generazioni»

 -      -    PAOLO FERRARIO

-          Tentati suicidi aumentati del 50% e reati che riguardano minori cresciuti del 40%. Anche questi sono gli effetti di un anno di sospensione della scuola in presenza, evidenziati dall’osservatorio del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Milano, Ciro Cascone. Dal suo ufficio passano i casi di bambini, adolescenti e giovani che la prolungata assenza di socialità ha reso più fragili e vulnerabili, ma anche più arrabbiati e, in certi casi, violenti verso sé stessi e gli altri. Anche per questa ragione, il Procuratore fa proprio l’appello di quanti chiedono la riapertura delle scuole, perché «i giovani sono coloro che pagheranno il prezzo più alto di questa crisi», sottolinea. E lo stesso grido d’allarme arriva da tante famiglie che, anche ieri pomeriggio, hanno voluto manifestare davanti a diverse scuole milanesi, colorando con disegni, cartelloni e nastri i cancelli sbarrati. Le iniziative sono state promosse dai comitati di genitori “A scuola!” e “EduChiAmo”.

«I bambini sono invisibili – lancia l’allarme il procuratore Cascone – . E così anche nei provvedimenti emergenziali per prima cosa si pensa di chiudere le scuole. Quando questa emergenza finirà – aggiunge il magistrato – ci troveremo a ricostruire sulle macerie, ma nel settore dell’adolescenza, molti rischiano di portarsi dietro danni a lungo termine, perché non sono visti, non sono accompagnati e non sono curati».

Tra i tantissimi casi aperti che tiene sulla scrivania, Cascone cita quello, «che grida vendetta», di un ragazzino di 11 anni con problemi psichiatrici che, per mancanza di posti in Neuropsichiatria infantile, dovrebbe essere ricoverato in un reparto di Psichiatria per adulti. «Attualmente è in Pediatria ma non ci potrà stare a lungo, perché rischia di fare del male a sé stesso e agli altri bambini – sottolinea Cascone –. Ma è possibile che, in Lombardia, non riusciamo a trovare un posto in Neuropsichiatria infantile? E questa è soltanto la punta dell’iceberg».

La situazione è allarmante anche per i ragazzi più grandi che, «costretti da mesi in spazi angusti», hanno ora una «fame di socialità» inestinguibile, che spesso sfocia in «assembramenti esagerati», come quelli registrati ai Navigli nelle ultime giornate in zona gialla, se non in vere e proprie «esplosioni di aggressività e violenza».

«Sono tutti messaggi che denotano un profondo disagio di natura psichica», riprende Cascone, che non nasconde le perplessità per una chiusura tanto prolungata delle scuole. «Siamo in emergenza e forse non si poteva fare diversamente – precisa il Procuratore minorile –. Però teniamo presente che la didattica a distanza è uno strumento che abbiamo inventato in un anno e che non è certamente perfetto. Anzi, ha fatto emergere profonde diseguaglianze, perché non tutti gli studenti hanno, per esempio, la possibilità di accesso agli strumenti e alle connessioni. Non tutti hanno spazi idonei in casa. La scuola – ricorda Cascone – pur con tutte le sue difficoltà, era un formidabile osservatorio di questi ragazzi. Invece, a distanza non si osserva un bel niente», aggiunge il magistrato, ricordando che, in un anno di Dad, «la dispersione scolastica è esplosa». Ad aumentare è stato anche l’isolamento dei ragazzi, «che sono soli anche in famiglia, perché i genitori sono presi da mille incombenze, come il lavoro che manca e gli anziani da assistere», ricorda Cascone. «Spesso le stesse famiglie non si rendono conto dei bisogni dei figli e dei disagi che vivono – conclude il Procuratore –. In questo senso, la scuola era un momento di vita sociale, un momento terapeutico rispetto a certi malesseri dei ragazzi. Venendo meno questo spazio si amplifica la solitudine. E nella solitudine può capitare di tutto. Con traumi e ferite indelebili».

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