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domenica 27 dicembre 2015

LEVINAS: L'ALTRO E'DIO NEL PROSSIMO

IL VOLTO DELL'ALTRO E' PIU' SANTO DELLA TERRA SANTA

Vent’anni fa, nel giorno di Natale, moriva il grande pensatore di origini ebraiche. La sua instancabile ricerca sul volto come metafora attraverso cui praticare il rispetto e la pietà verso l’uomo.

In quel magnifico testo che è Adieu à Emmanuel Lévinas (sintesi perfetta di rigore analitico e ammirazione incondizionata) a un certo punto Derrida scrive: «Qui non posso e neppure vorrei tentare di misurare qualche parola sull’opera di Emmanuel Lévinas, di cui ricorrono a Natale i vent’anni dalla morte. 

Non se ne vedono nemmeno più i confini tanto è ampia (...) Si può prevedere con certezza che secoli di letture vi si dedicheranno (...) si potrà certamente dire che il risuonare di questo pensiero ha cambiato il corso della riflessione filosofica del nostro tempo e della riflessione sulla filosofia, su ciò che la rapporta all’etica, a un altro pensiero dell’etica, della responsabilità, della giustizia, dello Stato, ecc. a un altro pensiero dell’altro, a un pensiero più nuovo di tante altre novità perché si rapporta all’anteriorità assoluta del volto d’altri» ( J. Derrida, Addio, Jaca Book). 

È vero: quando si pensa a Lévinas si pensa subito all’etica, al volto dell’altro come origine dell’etica; d’altra parte è anche vero che così facendo, abbandonandosi a questa evidenza fin troppo luminosa, si rischia anche di lasciarsi sfuggire qualcosa di essenziale di questo pensiero ad un tempo originale e antico. Infatti, era fin troppo facile prevederlo, a partire da una certa interpretazione dell’opera levinassiana, anche se non solo da essa, si è presto sviluppata in questo ultimo decennio un’articolata e insistente retorica dell’altro che ha finito per rendere quasi insopportabile il suono stesso della parola “etica” e certamente sospetto il continuo rinviare al tema della “responsabilità per gli altri”......

giovedì 17 dicembre 2015

BUONI, CATTIVI o COSI' COSI'

Pensieri alla vigilia del Natale

CHI e COME SONO GLI ALTRI PER NOI?lavagna buoni cattivi

Era abitudine, nelle scuole elementari di tanti anni fa, fare scrivere sulla lavagna – in due colonne ben separate – i buoni e i cattivi. Ero andato in una quinta classe per la periodica visita del direttore e, approfittando di una momentanea assenza dell’insegnante, un alunno mi fece notare che mancava la colonna dei “così-così”, perché egli quel giorno si sentiva proprio così. “Io, invece, sono sempre buono!” saltò in piedi, quasi urlando, con visibile aria di arroganza, il ragazzo ritenuto più bravo. Di contro, l’alunno ritenuto peggiore mi disse, con aria beffarda e spavalda: “Direttò, io sono sempre cattivo! Anche a casa mi dicono che sono un ‘malacarne’.”
La fine di ogni anno stimola persone ed istituzioni a valutare l’anno che sta per finire. Ognuno usa parametri diversi ....

venerdì 11 dicembre 2015

don Giulio: LETTERA A PAPA FRANCESCO


Carissimo Padre Francesco,


ho pensato di scriverle perché ho  domande  da sottoporre alla sua attenzione.  Domande semplici, forse infantili, ma non prive di una qualche utilità. Immagino facilmente quanto numerosi e grandi sono i problemi che ogni giorno deve affrontare. Per questo  devo chiarire  le ragioni del mio ingenuo coraggio.
               Da quando lei è comparso alla guida della Chiesa un nuovo entusiasmo ha preso possesso del mio essere prete. Non sono più giovane e conservo nel cuore, con forte e motivata gratitudine, il ricordo del Concilio.
Ho atteso, poi, per diversi anni che  spuntasse l’alba. Gli oltre quaranta anni vissuti  a Roma in veste di Assistente Nazionale di una importante associazione cattolica non mi hanno fatto mancare motivi di gioia ecclesiale. Tante preziose iniziative sono state attuate. Ma c’era qualcosa che non girava per il verso giusto.  II gran parlare che si faceva del Concilio mi pareva non si traducesse in convinta accoglienza delle sue importanti consegne. Ho avuto la sensazione che, soprattutto nella Chiesa Italiana, molti dei percorsi che nel Concilio avevano avuto inizio non riuscissero a trovare adeguata continuazione E’ opportuno spiegarsi.
Penso, in primo luogo, a quella specie di  magnifica autostrada per giungere sicuri al cuore della esperienza cristiana  che aveva trovato espressione nella “Dei Verbum”. Venivamo da un lungo digiuno a motivo delle polemiche con la Riforma. Il Concilio aveva rimesso al centro della liturgia, della  teologia e della vita la Parola di Dio. Fu l’evento più entusiasmante. Dobbiamo riconoscere che qualche frammento di salutare cammino, in proposito, è stato prodotto, ma  troppo poco. Ancora, per gran parte del popolo di Dio lo sguardo alla Bibbia è segnato da pesanti connotazioni di fondamentalismo. Alto è il tasso di estraneità alla Parola di Dio.
Penso, poi, alla configurazione interna della comunità cristiana quale popolo di Dio.... 


Leggi: Carissimo Padre Francesco

sabato 5 dicembre 2015

LA FORMAZIONE NELL'AIMC PER L'AIMC

Il seminario di formazione "La formazione nell'Aimc per l'Aimc" si terrà in Roma presso la  sede nazionale dal 15 al 17 gennaio 2016. L'iniziativa è rivolta a coloro che saranno disponibili ad essere formatori nell'ambito dei percorsi proposti dall'Aimc a livello territoriale; pertanto si richiede di collaborare nella diffusione del programma e nell'individuazione dei possibili destinatari. 

    L'attivazione dei seminari tematici è subordinata al raggiungimento di un numero minimo di partecipanti. Ulteriori dettagli sulla strutturazione delle giornate e sulla scelta dei relatori saranno inviati in seguito alle adesioni .

Leggi: NOTIZIE LOGISTICHE E SCHEDA ADESIONE

    

mercoledì 2 dicembre 2015

LA PAURA DEL PRESEPE .... Fatti e misfatti di un certo laicismo.

NON SPARATE AL PRESEPE!


di Giovanni Perrone

       Da alcuni anni alla vigilia del Natale, spunta qualche dirigente scolastico o insegnante o genitore che, per un cosiddetto rispetto delle varie culture degli alunni, per un mal compreso concetto di laicità, per ricerca di protagonismo o d’altro, ostacola o addirittura vieta ogni riferimento al Natale cristiano e si affanna nell’inventare modi alternativi (dalla festa d’inverno, ai canti asettici, al vuoto totale). 
      E’ di questi giorni finanche la ‘pregevole’ trovata di trasformare il Natale in una festa d’inverno, trasportata in altra data. Non so se il dirigente di quest’ultima istituzione scolastica, per coerenza, obbligherà docenti ed alunni a saltare le vacanze natalizie e a fare scuola anche nella stessa giornata di Natale. Forse vieterà anche agli alunni di transitare davanti alla chiesa del quartiere o li costringerà a turar le orecchie all’udir delle campane e delle nenie natalizie? Forse costringerà gli alunni a cambiare i nomi che fanno riferimento ai santi?  Forse darà il bando ai tipici dolci natalizi, dichiarandoli velenosi? 
     Forse … ?! .......

lunedì 30 novembre 2015

ELOGIO DELLA MISERICORDIA

Elogio

 della 

misericordia


Don Giulio Cirignano*

Il giorno otto dicembre, come tutti sappiamo, inizierà l’anno santo della misericordia. Molto si è detto e scritto al riguardo. Soprattutto la Bolla di indizione “Misericordiae Vultus”  porta un contributo decisivo per la comprensione. E’ giunto, allora , il momento per tentare una definizione concreta e vitale della misericordia. Una definizione che aiuti ad immergersi con il cuore e la mente nel grande mistero della bontà di Dio.
In termini esistenziali, accostarsi alla misericordia di Dio significa soprattutto rendersi disponibili per una esperienza ineffabile e dolcissima insieme. E’ lasciarsi raggiungere da una carezza. Una carezza di Dio. Questa immagine può risultare inadeguata, di sapore vagamente sentimentale. Ma non è così.
Nella pagina del vangelo di Luca che narra del padre misericordioso, più nota come la pagina del figliol prodigo, ne troviamo  magnifica esemplificazione. E’ il padre il protagonista nelle due vicende dei figli,  quella  del minore che decide di andarsene, stanco e inconsapevole del tesoro che aveva a portata di mano,  quella del   maggiore che, invece, rimane in casa ma che dimostra, alla stessa maniera del fratello  di non conoscere il padre. Non gode della sua presenza e della sua tenerezza. Considera un dovere non riconosciuto il permanere nella fedeltà. I due fratelli si somigliano. Sia colui che parte, sia colui che resta  non hanno compreso la bellezza di abitare sotto lo sguardo affettuoso e tenero  del padre.
Ci possiamo chiedere come mai, ........

ELOGIO DELLA MISERICORDIA

lunedì 16 novembre 2015

PAPA FRANCESCO AL CONVEGNO DI FIRENZE

UNA VOCE PROFETICA 
ALTA ED INCISIVA




di Don Giulio Cirignano*

Ero in duomo a Firenze il giorno in cui Papa Francesco ha portato il suo contributo ai lavori del convegno della Chiesa italiana sull’umanesimo secondo il Vangelo. E’ stata  una mattinata stupenda. Poche volte nella vita mi è capitato di ascoltare una voce profetica così alta e incisiva. Ma procediamo con ordine.
      La prima osservazione che mi viene spontaneo fare è questa: Papa Francesco aveva colto l’occasione del convegno per parlare alla Chiesa italiana. Dalle sue parole si poteva intuire, man mano che il discorso andava avanti, che intendeva levarsi un peso dal cuore. Il peso derivante da una certa indifferenza, una sorta di peccaminosa distrazione rispetto alla spinta innovativa che fin dal suo primo apparire aveva voluto imprimere al cammino della Chiesa. 
       Si era reso conto che lo straordinario progetto indicato nella “Evangelii Gaudium” poco era stato compreso, poco era stato assimilato soprattutto da quanti avrebbero dovuto esultare, i Vescovi cioè, poco si era fatto, di conseguenza, per introdurre il popolo di Dio nello  spirito e nel cuore di quel testo.......


sabato 14 novembre 2015

PARIGI. UNA STRAGE CHE ATTERRISCE, DISORIENTA, INTERROGA

L'Unione Mondiale Insegnanti Cattolici partecipa al dolore dei francesi per i terribili eventi che hanno apportato distruzione e morte a Parigi. 
Condanna ogni forma di violenza e prega per le vittime della strage. Augura una pronta guarigione  ai feriti.
Invita gli insegnanti e le istituzioni educative a rafforzare il loro impegno per una educazione al rispetto e alla pacifica convivenza, alla cooperazione e alla pace, per prevenire il fondamentalismo e la violenza e costruire un mondo ove regnino giustizia e pace.

La Unión Mundial de los Educadores Católicos participa al dolor del pueblo francés por los terribles atentados que han traido muerte y distrucción en Paris.
El UMEC condemna toda forma de violencia y reza por las víctimas del atentado, y desea a todos los heridos que se recuperen pronto.

Invitamos a los profesores/educadores y a las instituciones a reforzar su compromiso para una educación al respecto, y a una convivencia en nombre de la paz, a la cooperación y a la paz, para prevenir el fundamentalismo y la violentai, y construir un mundo en el que dominen justicia y paz.

L’UMEC-WUCT participe à la  douleur  des Français pour les événements terribles  qui ont semé la destruction et la mort à Paris.
L’UMEC-WUCT désapprouve toute forme de violence aveugle et prie  pour les victimes.  Elle espère une guérison rapide pour les personnes blessées.
L’UMEC-WUCT invite les enseignants et les institutions éducatives à renforcer leur engagement pour une éducation de respect et de tolérance, à la coopération et à la paix,  afin de prévenir la violence et le fondamentalisme.



UMEC-WUCT neemt gemeend deel in de plotse, diepe rouw die  onze Franse medeburgers treft bij de aanslagen van 13 november te Parijs.
UMEC-WUCT keurt elke vorm van blind geweld af en vraagt u om mee de overleden slachtoffers te gedenken.  Zij hoopt op een vlug en volledig herstel van zo veel mogelijk gekwetsten.
UMEC-WUCT vraagt aan alle leerkrachten en instellingen waar enige vorm van  onderwijs wordt verstrekt om met een hernieuwd engagement mee te zorgen voor een opvoeding tot respect en verdraagzaamheid. Op die wijze kan men geweld en fundamentalisme trachten tegen te gaan.

EDUCARE PER APPRENDERE LA GIOIA DI VIVERE



Educare, al cuore del metodo


 La via dell’educare, se non si vuole rimanere disorientati dalle pedagogie più o meno riduzionistiche dei nostri tempi, è e resta solo una: Cristo. Egli ha detto di essere la via (Gv 14,6: odòs) e la parola metodo, che contiene la parola via ( metà: dopo più odòs: via), indica l’andar dietro, l’indagare attentamente, il seguire le tracce. Il metodo dell’educazione è Cristo, perché Cristo ne è la via stessa e la meta, la mappa e la destinazione, essendo anche verità e vita. Lo dice in modo efficace la patrona d’Europa Edith Stein, filosofa e martire del XX secolo, in un libro non a caso intitolato 'La vita come totalità': «Col termine educazione intendiamo la formazione dell’essere umano nel suo complesso, con tutte le sue forze e capacità. Cos’altro vogliamo raggiungere coll’educazione se non che il giovane che ci è affidato divenga un essere umano vero e autenticamente se stesso (tale quale Dio prescrive all’uomo di essere e questo sia nel senso generale della natura umana quanto in quello particolare della personalità individuale).
Come conseguire però questo fine? L’educatore deve possedere un’idea chiara e un giudizio vero riguardo a in che consista l’educazione, cioè l’autentica natura umana e l’autentica individualità. Formare esseri umani autentici significa formarli ad immagine di Cristo, ma per farlo l’educatore deve essere lui stesso un essere umano autentico». Solo Cristo è garanzia di autenticità per l’uomo di ogni epoca, perché «Cristo Redentore rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso» ( Redemptor Hominis 9), solo il confronto continuo con la figura di Cristo e la relazione viva con lui prepara e ripara qualsiasi pedagogia incompleta, ora nella considerazione della vera natura umana, ora in quella del concreto e irripetibile darsi della natura umana in quell’uomo o in quella donna. Solo Cristo, come metodo, consente all’educatore la totale apertura all’altro come essere al contempo storico e necessario, perché voluto da Dio come figlio suo dall’eternità, nel tempo concreto che gli è dato vivere. Solo un’antropologia cristologica consente di entrare in tensione positiva con i limiti di ogni cultura ed esistenza, perché va, come il concavo con il convesso, a completare ciò che manca, trasformare ciò che è informe, purificare ciò che è ferito. Questo ci mette al riparo da qualsiasi scoraggiamento o fuga in tempi andati: «Non temete! Tutte queste difficoltà, infatti, non sono insormontabili. Sono piuttosto, per così dire, il rovescio della medaglia di quel dono grande e prezioso che è la nostra libertà, con la responsabilità che giustamente l’accompagna. A differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell’ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell’uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. 


Anche i più grandi valori del passato non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale... Chi crede in Gesù Cristo ha poi un ulteriore e più forte motivo per non avere paura: sa infatti che Dio non ci abbandona, che il suo amore ci raggiunge là dove siamo e così come siamo, con le nostre miserie e debolezze, per offrirci una nuova possibilità di bene» (Lettera di Benedetto XVI sul compito urgente dell’educazione). L’amore di Dio raggiunge la creatura, se l’educatore a cui è affidata, è in relazione diretta e vitale con Cristo. Ciò avviene, per mediazione diretta, attraverso i genitori, a cui Dio affida i figli (pro-creazione), e indiretta attraverso quelle persone a cui i figli sono ulteriormente affidati dal punto di vista educativo (con-creazione). Il mio pensiero corre infatti, da un lato, ai miei genitori, che festeggiano quest’anno 50 anni di matrimonio: a loro devo la vita, l’esempio di un amore fedele, in cui per sempre è sinonimo di ogni 24 ore, e una fede vissuta nel quotidiano, come dono e compito, nelle cose di tutti i giorni, secondo l’insegnamento di San Josemaría Escrivà; e, dall’altro, ai maestri che ho avuto, in particolare il martire e beato Padre Pino Puglisi, professore di religione del mio liceo, capace di far vedere il volto di Cristo persino ai suoi assassini, rieducati alla libertà grazie a quel sorriso. 



Fuori da questa via maestra (Cristo) si scivola in umanesimi parziali e incompleti, anche se a volte apparentemente efficaci e seducenti, ma uno solo resta l’umanesimo integrale: «Siamo quegli esseri complessi che vivono a livelli successivi, a un livello animale e biologico, a un livello intellettuale e umano, e a un livello ultimo che si situa in quegli abissi che sono la vita di Dio e la Trinità. Per questo abbiamo il diritto di dire che il cristianesimo è un umanesimo integrale, e cioè che sviluppa l’uomo a tutti i livelli della sua esperienza. Dobbiamo diffidare sempre di ogni tentativo di ridurre lo spazio in cui si muove la nostra esistenza. Noi respiriamo a fondo solo nella misura in cui non ci lasciamo rinchiudere nella prigione del mondo razionale e psicologico, ma dove una parte di noi sfocia in quei grandi spazi che sono quelli della Trinità. Ciò che fa sì che vi sia una gioia di vivere nel cristianesimo che è incommensurabile» (J.Danielou, Miti pagani e mistero cristiano). 



Il fine dell’educazione è la gioia di vivere, che solo un figlio di Dio, che si sa tale e ne fa esperienza, può sperimentare nel tempo crepuscolare e imperfetto di questa vita. La via dell’educare è Cristo, perfetto Dio e perfetto uomo, gli educatori potranno educare nella misura in cui non sono più loro a vivere, ma Cristo a vivere attraverso loro, perché egli è il metodo stesso della pedagogia divina. Solo così potranno offrire non il respiro corto di se stessi, ma il soffio della vita tutta, piena e indistruttibile, perché «ogni creatura è oggetto della tenerezza del Padre, che le assegna un posto nel mondo. Perfino l’effimera vita dell’essere più insignificante è oggetto del suo amore, e in quei pochi secondi di esistenza, Egli lo circonda con il suo affetto» ( Laudato si’, n.78), se è così per i gigli del campo, cosa sarà per i figli degli uomini, che Dio affida a noi educatori?
                                                                                                             Alessandro D'Avenia

Avvenire, 11.11.15

lunedì 14 settembre 2015

INIZIA UN NUOVO ANNO SCOLASTICO! L'AUGURIO DELL'AIMC

ASSOCIAZIONE   ITALIANA   MAESTRI   CATTOLICI


Comunicato stampa
                     

Che sia realmente buona scuola per tutti!

L’inizio di un nuovo anno scolastico: ritrovarsi, ripartire, un certo entusiasmo, variegate attese, molte speranze,… La scuola di oggi è, forse, soffocata da complessità, difficoltà, disagi, disorientamento, caratteristiche del nostro tempo che si riverberano anche fra le pareti dell’aula.
          L’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC) è convinta che sia urgente recuperare il senso della bellezza dell’educare, dell’insegnare, dell’apprendere. Perché educare è investire nel futuro del Paese. Perché insegnare è un modo per concorrere alla costruzione del tessuto sociale. Perché apprendere codici culturali e umani è farsi consapevoli e liberi. Perché il quotidiano della scuola è scrivere, con gli altri, frammenti di storia. Perché interagire con la scuola è valorizzare una risorsa per il bene comune. Perché nell’aula, giorno dopo giorno, si costruiscono le biografie personali e la biografia collettiva di un popolo.
Solo il recupero di senso può costituire il bagaglio necessario per ripartire nonostante tutto. Nonostante le delusioni, nonostante i ritardi, nonostante le incomprensioni, facendo tesoro, invece, di esperienze di reale “buona scuola” che, certamente, si sono realizzate e sono ancora possibili.
          Allora gli auguri si sostanziano, diventano autentici e si declinano. Auguri agli studenti, bambini e giovani, perché raggiungano nella bellezza dell’imparare risposte significative alle loro attese di crescita; auguri ai professionisti perché trovino nella bellezza dell’insegnare il sostegno della comunità scolastica e del territorio, ma anche dei corpi intermedi quali l’associazionismo, superando l’amaro senso di solitudine in un ambiente, quello scolastico appunto, che è per sua natura luogo di profonda relazionalità; auguri ai genitori perché nella bellezza educativa trovino condivisione nell’azione della scuola; auguri all’Amministrazione, alla società civile, ai politici, ...
Solo dalla concertazione di tutti intorno a questo bene – la scuola – immateriale, ma fondativo della convivenza civile e democratica di un Paese gli auguri di inizio d’anno scolastico potranno essere tradotti in obiettivi all’altezza di un popolo che vive responsabilmente quest’inizio di millennio.
                                                                               La presidenza nazionale AIMC
Roma, 14 settembre 2015
                                                                              


sabato 1 agosto 2015

SCUOLA DI TUTTI e PER TUTTI

La sentenza della Cassazione nel tempo della riforma

OCCASIONE E SFIDA
 PER UNA «SCUOLA DI TUTTI»
Perché tanta attenzione sulla questione del pagamento arretrato dell’Ici richiesto alle due scuole paritarie di Livorno, con una sentenza della Cassazione che smentisce il parere dei giudici dei primi due gradi di giudizio? In Italia la scuola è sempre stata terreno di scontro politico, anche se oggi si è creato un fronte trasversale capace di superare schieramenti e pregiudizi, perché ha posto questioni molto concrete. È possibile non riconoscere finanziamenti per il loro funzionamento (non per la loro istituzione) alle scuole paritarie e, contemporaneamente, imporre che non chiedano una retta agli studenti che le frequentano, per evitare di scivolare fra gli enti che svolgono attività 'commerciali'? Con che fondi si potrebbero pagare gli stipendi degli insegnanti?
Il ministro Padoan in questi giorni ha chiarito bene il punto, ricordando che il regolamento attuativo della norma sul pagamento dell’Imu specifica che è da considerare attività «non commerciale» quella che non chiede una retta superiore al «costo medio» di uno studente allo Stato, calcolato dall’Ocse dai 5.739,17 euro degli asili ai 6.94,17 euro delle superiori. Questo regolamento contiene un principio molto interessante tutte le scuole, paritarie e statali: il costo standard per studente. 
Se alle scuole statali e paritarie fossero riconosciuti finanziamenti adeguati a coprire i costi standard e le famiglie potessero scegliere, sarebbe giusto che le scuole paritarie non chiedessero alcuna retta. Ma, visto che lo Stato versa alle scuole paritarie meno di un decimo dei costi che devono sostenere e che le famiglie, possono ricevere al massimo, come detrazioni fiscali, 70 euro netti all’anno a fronte di rette che vanno da 3.000 a 5.000 euro, come si può considerare «commerciale» un’attività che chiede solo il corrispettivo per la copertura dei costi?
 In questi giorni si è più volte fatto riferimento ai circa 6 miliardi annui che lo Stato di fatto risparmia grazie alle scuole paritarie.
Ma non può essere appena questa la ragione per considerarle un valore.
Oggi, potremmo mai pensare come civile un Paese con un solo giornale, una sola rete televisiva, una sola radio, un solo motore di ricerca sul web? Che cosa può garantire l’esistenza in Italia di un 'servizio pubblico' di qualità in un settore così delicato e strategico come l’educazione sulla base di libertà, efficienza ed equità? Perché non aiutare veramente le famiglie a crescere ed educare i figli, dando loro gli strumenti per farlo? In che modo varrebbe la pena usare i fondi della fiscalità generale che derivano dalle tasse versate da tutti i cittadini, senza avere studenti, genitori, insegnanti, scuole, di 'serie A' e di 'serie B' all’interno del sistema nazionale d’istruzione regolato dalla legge?
Forse uno sguardo a quell’Europa che siamo abituati a citare solo quando fa comodo, potrebbe essere utile. In Finlandia, Paese in vetta alle classifiche internazionali, la parità tra scuole statali e scuole non statali è totale. Le scuole sono gratuite, le famiglie hanno libertà di scelta e sono aiutate con contributi per le spese ulteriori che devono sostenere, a seconda del reddito e del numero dei figli. Nella 'laica' Francia gli insegnanti delle scuole paritarie sono pagati dallo Stato e i costi di gestione sono in parte finanziati dagli Enti locali; le famiglie che hanno figli in età scolare hanno dei contributi che vanno dai 4.123 euro annui a 8.349 (per chi ha 4 figli). In Spagna le scuole paritarie convenzionate sono circa il 30%, ricevono dallo Stato i fondi per pagare gli insegnanti e una parte dei costi di funzionamento, i genitori devono pagare rette molto basse. In Gran Bretagna c’è una lunga tradizione di scuole private convenzionate, totalmente finanziate dallo Stato, si chiamano 'public school'. Anche in questo Paese sono previsti aiuti economici per le famiglie con i figli che vanno a scuola (fino a 9.200 sterline per chi ha 4 figli). In Germania il 20% degli Istituti è paritario ed è finanziato con modalità diverse dai Laender.
Allargando la visuale sui Paesi Ocse, con l’ultima indagine 'Education at a Glance' (2012), emerge, poi, che ormai tre Paesi su quattro coprono più del 50% di spese della scuola paritaria gestita della società civile ( governative dependent private schools) e che in Italia, mentre le spese del bilancio 2012 per le scuole statali sono state di circa 57.571.000.000 per 7 milioni e mezzo di studenti, per le scuole paritarie sono stati spesi 511 milioni euro, per più di 1 milione di studenti. Dopo di noi c’è solo la Grecia.
L’Italia ha una buona legge fatta da Luigi Berlinguer nel 2000 che disegna, rispettando la nostra Costituzione, un sistema nazionale di istruzione formato da scuole statali e paritarie, la 'Buona Scuola' con l’articolo 1 comma 151, ha introdotto la possibilità di detrarre i costi sostenuti per la frequenza delle scuole paritarie (si tratta di una restituzione simbolica alle famiglie che non supererà, come detto, i 70 euro annui, ma stabilisce un principio di giustizia essenziale) e parla di nuovi criteri per l’assegnazione dei fondi alle scuole statali, per la gestione dei bilanci.
Avendo finalmente un po’ più di coraggio nell’affrontare la sfida e, come è già stato annotato su
Avvenire, grazie anche alla riflessione provocata dalla sentenza della Cassazione sulle paritarie livornesi, forse si può costruire un sistema davvero equo, in grado di dare più risorse a una 'scuola di tutti', statale e paritaria, e di aiutare le famiglie a svolgere il proprio compito educativo senza discriminazioni di sorta.

Da AVVENIRE, 1 agosto 2015

CHE LE VACANZE SIANO BUONE E FECONDE!!!!

VACANZA … 
un tempo per svuotarsi dall'effimero e riempirsi del duraturo

            Non c’è dubbio che l’ideale di vacanza è quello di evadere dalla rete del quotidiano, recuperando il tempo del disimpiego, per evadere (se possibile) dall’obbligo.
                  La parola vacanza non ha una bella etimologia, proviene dal verbo latino “vacare”, nel suo significato di vuoto, di ozio. L'aggettivo “vacus”, infatti, distingue una persona senza preoccupazioni, senza amore, quasi indifferente. La vacanza, molto spesso, è proprio così, avvolta nell'indifferenza: si guarda a se stessi, senza pensiero per tutto ciò che succede attorno.
            Ma vorremmo dare un significato diverso “allo svuotarsi”, che non è dall’impegno o dalla responsabilità, ma esattamente al contrario; è recuperare lo spazio del tempo interiore per stare con noi stessi, riscoprire  la dimensione del CUORE; che nella cultura biblica non è un muscolo e neanche il luogo metaforico dell’innamoramento, ma il cuore è la coscienza, è il centro della persona, il  luogo della libertà e dell’intimità, dove tutte le nostre facoltà si incontrano nella libertà di scelta.
       Vacanza in questo senso rende bello quello che facciamo, uno svuotarsi dall’effimero per riempirsi del duraturo, un allontanarsi dall’apparenza per gustare fino in fondo il sapore della sostanza, una sostanza che può essere illuminata dalla luce della verità e dell’amore. Vacanza diventa quindi ritrovare il gusto del fermarsi a riflettere … ritrovando il coraggio di pensare, per aprirci ad un dialogo profondo con l’altro e con l’Alterità.
       Benediciamo quindi questo tempo, e giunga a tutti voi una benedizione antica. Questa Benedizione è  racchiusa in una Poesia, che viene da una voce sconosciuta dalle “terre di Nairi”, dal paese d’Armenia, l’antico altopiano sotto il monte Ararat, dove secondo la leggenda si posò l’arca di Noè.
          E’ un canto di saggezza, parole di un dotto e dolce contadino-veggente che fu un grande poeta, e fu ucciso a trent’anni, nel fiore del suo genio.

ANTASDAN
(Benedizione per i campi dei quattro angoli del mondo)
Nelle plaghe d’Oriente sia pace sulla terra…..
non più sangue, ma sudore irrori le vene dei campi,
e al tocco della campana di ogni paese sia un canto di benedizione.
Nelle plaghe dell’Occidente sia fertilità sulla terra….
Che da ogni stella sgorghi la rugiada e ogni spiga si fonda in oro,
e quando gli agnelli pascoleranno sul monte germoglino e fioriscano le zolle.
Nelle plaghe dell’Aquilone sia pienezza sulla terra…..
Che nel mare d’oro del grano nuoti la falce senza posa,
e quando i granai s’apriranno al frumento si espanda la gioia.
Nelle plaghe del Meridione sia ricca di frutti la terra….
Fiorisca il miele degli alveari, trabocchi dalle coppe il vino,
e quando le spose impasteranno il pane buono sia il canto dell’amore.
Pubblicata nel 1914 in R. Zartarian, Meghaked (libro di letture per le scuole medie). Traduzione di Boghos Levon Zekiya.

Da un messaggio della presidenza del MASCI

domenica 26 luglio 2015

QUALE FUTURO? QUALE ETICA?

RESPONSABILI
 dell'OGGI  e del DOMANI

Papa Francesco nell’Enciclica Laudatu si’ si pone questa domanda: “Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? […].[1] e continua il discorso dicendo
“[…] se questa domanda viene posta con coraggio, ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi? Pertanto, non basta più dire che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra.
Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi, come di fatto sta già avvenendo periodicamente in diverse regioni. L’attenuazione degli effetti dell’attuale squilibrio dipende da ciò che facciamo ora, soprattutto se pensiamo alla responsabilità che ci attribuiranno coloro che dovranno sopportare le peggiori conseguenze”[2].
Come si vede, il Papa si pone dei problemi che riguardano la nostra responsabilità morale riguardo al futuro dell’umanità e dell’ambiente. Propriamente si può affermare che il Pontefice sostiene un’ ”etica del futuro”, la quale è ........

sabato 18 luglio 2015

PAOLO BORSELLINO ...... PERCHE' LA SUA MEMORIA SIA SEMPRE FECONDA DI IMPEGNO NELLA QUOTIDIANITÀ'

L'ultima lettera di Paolo Borsellino...
19 luglio 1992 – ore 5
"Gentilissima" Professoressa,
      uso le virgolette perchè le ha usato lei nello scrivermi, non so se per sottolineare qualcosa e "pentito" mi dichiaro dispiaciutissimo per il disappunto che ho causato agli studenti del suo liceo per la mia mancata presenza all'incontro di Venerdì 24 gennaio.
      Intanto vorrei assicurarla che non mi sono affatto trincerato dietro un compiacente centralino telefonico (suppongo quello della Procura di Marsala) non foss'altro perché a quell'epoca ero stato già applicato per quasi tutta la settimana alla Procura della Repubblica presso il Trib. di Palermo, ove poi da pochi giorni mi sono definitivamente insediato come Procuratore Aggiunto.
      Se le sue telefonate sono state dirette a Marsala non mi meraviglio che non mi abbia mai trovato. Comunque il mio numero di telefono presso la Procura di Palermo è 091/***963, utenza alla quale rispondo direttamente.
      Se ben ricordo, inoltre, in quei giorni mi sono recato per ben due volte a Roma nella stessa settimana e, nell'intervallo, mi sono trattenuto ad Agrigento per le indagini conseguenti alla faida mafiosa di Palma di Montechiaro.
      Ricordo sicuramente che nel gennaio scorso il dr. Vento del Pungolo di Trapani mi parlò della vostra iniziativa per assicurarsi la mia disponibilità, che diedi in linea di massima, pur rappresentandogli le tragiche condizioni di lavoro che mi affligevano. Mi preanunciò che sarei stato contattato da un Preside del quale mi fece anche il nome, che non ricordo, e da allora non ho più sentito nessuno.
      Il 24 gennaio poi, essendo ritornato ad Agrigento, colà qualcuno mi disse di aver sentito alla radio che quel giorno ero a Padova e mi domandò quale mezzo avessi usato per rientrare in Sicilia tanto repentinamente. Capii che era stato "comunque" preannunciata la mia presenza al Vostro convegno, ma mi creda non ebbi proprio il tempo di dolermene purché i miei impegni sono tanti e così incalzanti che raramente ci si può occupare di altro.
      Spero che la prossima volta Lei sarà così gentile da contattarmi personalmente e non affidarsi ad intermediari di sorta o a telefoni sbagliati..
      Oggi non è certo il giorno più adatto per risponderle perchè frattanto la mia città si è di nuovo barbaramente insanguinata ed io non ho tempo da dedicare neanche ai miei figli, che vedo raramente perchè dormono quando esco da casa ed al mio rientro, quasi sempre in ore notturne, li trovo nuovamente addormentati.
     
Ma è la prima domenica, dopo almeno tre mesi, che mi sono imposto di non lavorare e non ho difficoltà a rispondere, però in modo telegrafico, alle Sue domande.
      1) Sono diventato giudice perchè nutrivo grandissima passione per il diritto civile ed entrai in magistratura con l'idea di diventare un civilista, dedito alle ricerche giuridiche e sollevato dalle necessità di inseguire i compensi dei clienti. La magistratura mi appariva la carriera per me più percorribile per dar sfogo al mio desiderio di ricerca giuridica, non appagabile con la carriera universitaria per la quale occorrevano tempo e santi in paradiso.
      Fui fortunato e divenni magistrato nove mesi dopo la laurea (1964) e fino al 1980 mi occupai soprattutto di cause civili, cui dedicavo il meglio di me stesso. E' vero che nel 1975 per rientrare a Palermo, ove ha sempre vissuto la mia famiglia, ero approdato all'Ufficio Istruzione Processi Penali, ma ottenni l'applicazione, anche se saltuaria, ad una sezione civile e continuai a dedicarmi soprattutto alle problematiche dei diritti reali, delle dispute legali, delle divisioni erediatarie etc.
      Il 4 maggio 1980 uccisero il Capitano Emanuele Basile ed il Comm. Chinnici volle che mi occupassi io dell'istruzione del relativo procedimento. Nel mio stesso ufficio frattanto era approdato, provenendo anche egli dal civile, il mio amico di infanzia Giovani Falcone e sin dall'ora capii che il mio lavoro doveva essere un altro.
Avevo scelto di rimanere in Sicilia ed a questa scelta dovevo dare un senso. I nostri problemi erano quelli dei quali avevo preso ad occuparmi quasi casualmente, ma se amavo questa terra di essi dovevo esclusivamente occuparmi.
      Non ho più lasciato questo lavoro e da quel giorno mi occupo pressocchè esclusivamente di criminalità mafiosa. E sono ottimista perché vedo che verso di essa i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarantanni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta.
      2) La DIA è un organismo investigativo formato da elementi dei Carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza e la sua istituzione si propone di realizzare il coordinamento fra queste tre strutture investigative, che fino ad ora, con lodevoli ma scarse eccezioni, hanno agito senza assicurare un reciproco scambio di informazioni ed una auspicabile, razionale divisione dei compiti loro istituzionalmente affidati in modo promiscuo e non codificato.
      La DNA invece è una nuova struttura giuridica che tende ad assicurare soprattutto una circolazione delle informazioni fra i vari organi del Pubblico Ministero distribuiti tra le numerose circoscrizioni territoriali.
      Sino ad ora questi organi hanno agito in assoluta indipendenza ed autonomia l'uno dall'altro (indipendenza ed autonomia che rimangono nonostante la nuova figura del Superprocuratore) ma anche in condizioni di piena separazione, ignorando nella maggior parte dei casi il lavoro e le risultanze investigative e processuali degli altri organi anche confinanti, e senza che vi fosse una struttura sovrapposta delegata ad assicurare il necessario coordinamento e ad intervenire tempestivamente con propri mezzi e proprio personale giudiziario nel caso in cui se ne ravvisi la necessità.

       3) La mafia (Cosa Nostra) è una organizzazione criminale, unitaria e verticisticamente strutturata, che si contraddistingue da ogni altra per la sua caratteristica di "territorialità". Essa e suddivisa in "famiglie", collegate tra loro per la comune dipendenza da una direzione comune (Cupola), che tendono ad esercitare sul territorio la stessa sovranità che su esso esercita, deve esercitare, leggittimamente, lo Stato.
      Ciò comporta che Cosa Nostra tende ad appropriarsi delle ricchezze che si producono o affluiscono sul territorio principalmente con l'imposizione di tangenti (paragonabili alle esazioni fiscali dello Stato) e con l'accaparramento degli appalti pubblici, fornendo nel contempo una serie di servizi apparenti rassembrabili a quelli di giustizia, ordine pubblico, lavoro etc, che dovrebbero essere forniti esclusivamente dallo Stato.
      E' naturalmente una fornitura apparente perchè a somma algebrica zero, nel senso che ogni esigenza di giustizia è soddisfatta dalla mafia mediante una corrispondente ingiustizia. Nel senso che la tutela dalle altre forme di criminalità (storicamente soprattutto dal terrorismo) è fornita attraverso l'imposizione di altra e più grave forma di criminalità. Nel senso che il lavoro è assicurato a taluni (pochi) togliendolo ad altri (molti).
     La produzione ed il commercio della droga, che pur hanno fornito Cosa Nostra di mezzi economici prima impensabili, sono accidenti di questo sistema criminale e non necessari alla sua perpetuazione.
      Il conflitto inevitabile con lo Stato, con cui Cosa Nostra è in sostanziale concorrenza (hanno lo stesso territorio e si attribuiscono le stesse funzioni) è risolto condizionando lo Stato dall'interno, cioè con le infiltrazioni negli organi pubblici che tendono a condizionare la volontà di questi perchè venga indirizzata verso il soddisfacimento degli interessi mafiosi e non di quelli di tutta la comunità sociale.
      Alle altre organizzazioni criminali di tipo mafioso (camorra, "ndrangheta", Sacra Corona Unita etc.) difetta la caratteristica della unitarietà ed esclusività. Sono organizzazioni criminali che agiscono con le stesse caratteristiche di sopraffazione e violenza di Cosa Nostra. ma non hanno l'organizzazione verticistica ed unitaria. Usufruiscono inoltre in forma minore del "consenso" di cui Cosa Nostra si avvale per accreditarsi come istituzione alternativa allo Stato, che tuttavia con gli organi di questo tende a confondersi.