mercoledì 31 dicembre 2025

IL POTERE DELLE PAROLE



-         di MARCO FERRANDO

Avvolti da una spirale di conflittualità che sembra a tratti inarrestabile, nel mondo ma anche intorno a noi, ci ritroviamo sempre più spesso senza parole. Superata la sorpresa, l’indignazione, la preoccupazione, pare che ci resti solo il silenzio. Una tentazione forte, che è anche l’anticamera della resa. Una doppia resa. Perché con il silenzio accettiamo che le cose facciano il loro corso, perché così neghiamo alla parola il potere e la responsabilità di levarsi contro questa stessa spirale. E se non di fermarla, almeno di offrire un’alternativa. Il 2025 si chiude nel solco di come era cominciato. Ma è proprio dentro a questo solco sempre più profondo e più buio che ogni singola scintilla può non solo fare un po’ di luce, ma anche accendere qualcosa, rendersi portatrice di una discontinuità, generare qualcosa di imprevisto. La parola è una delle poche armi che ci restano, soprattutto se si tratta di una parola disarmata e disarmante, espressione nei fatti diventata il controcanto di questo Giubileo della Speranza.

Chiunque dispone della parola, chiunque ne ha la responsabilità, a partire da ciò che dice e da come lo dice. Le cause e gli effetti si moltiplicano poi se dalla dimensione personale si sale fino alla comunicazione, alla comunicazione di massa, all’ecosistema dell’informazione che vi ruota intorno e che vive le stesse fatiche del mondo che dovrebbe raccontare. A quasi un anno di distanza, tornano alla mente le parole di papa Francesco nel messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali il 24 gennaio scorso.

«Troppo spesso oggi la comunicazione non genera speranza, ma paura e disperazione, pregiudizio e rancore, fanatismo e addirittura odio – metteva in guardia Francesco –. Troppe volte semplifica la realtà per suscitare reazioni istintive, usa la parola come una lama, si serve persino di informazioni false o deformate ad arte per lanciare messaggi destinati a eccitare gli animi, a provocare, a ferire».

Parole profetiche, se rivediamo il film di questo drammatico 2025. In cui la comunicazione, e l’informazione, si sono ritrovate al tempo stesso strumento e vittima della polarizzazione che sempre più scandisce il mondo diseguale in cui viviamo. Il crescendo di conflittualità a cui assistiamo ha nell’informazione un potente alleato se ne fornisce i contenuti e si presta nei modi, ma diventa uno dei pochi antidoti nel momento in cui sfugge a questa dinamica. Non è un caso che l’informazione sia finita sempre più spesso nel mirino: lo dimostrano i 67 giornalisti morti (per lo più uccisi) nel corso dell’anno secondo i numeri di Reporters senza Frontiere, lo dimostrano gli interessi (e relativi conflitti) che circondano la proprietà dei media, settore in crisi ma capace di scatenare ancora grandi appetiti, lo dimostrano le conferenze stampa sempre meno frequenti e sempre più scandite da copioni cinematografici. È il fascino, e il potere, della parola. Che può avere esiti deflagranti se chi la pronuncia «ha il fuoco dentro» come Dorothy Day, la giornalista americana evocata da papa Leone XIV a fine novembre, che l’ha eletta a modello della speranza come «prendere posizione», nella sua vita passata a «scrivere e servire», in uno sforzo che la vedeva «unire mente, cuore e mani». Perché dalla parola all’azione il passo è breve, ed è in questa combinazione così umana che si può restare vivi anche in mezzo a tante intelligenze artificiali, è così che si può accendere la speranza mentre tutto parla di guerra, è così che si può dire qualcosa di nuovo mentre tutto sembra già sentito. Ed è così che corriamo il rischio di veder germogliare «all’improvviso» quella «pace selvatica» di cui scriveva il poeta israeliano Yehuda Amichai, citato ancora dal papa nel messaggio Urbi et Orbi.

La parola ha un potere ineffabile e trasformativo. La parola ci fa prossimi di chi ci sta intorno, ci apre, ci pone delle domande, rende utile e imprescindibile interessarci e informarci. E gli algoritmi non potranno averla vinta finché ci saranno di mezzo persone, con i loro valori, i loro gusti, le loro attenzioni. No, il silenzio non può e non deve prevalere.

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